La vita notturna di Tel Aviv descritta da Renato Caprile
Testata: La Repubblica delle donne Data: 10 ottobre 2005 Pagina: 60 Autore: Renato Caprile Titolo: «Spudorata Tel Aviv»
Riportiamo da LA REPUBBLICA DELLE DONNE dell'8 ottobre 2005 un articolo di Renato Caprile sulla vita notturna di Tel Aviv.
Ecco il testo: Lo slogan la vuole come una città in eterno movimento. Un po’ come New York. Aperta e disponibile a ogni genere di divertimento e trasgressione 24 ore su 24. Tanto è statica, monumentale, bigotta Gerusalemme, tanto è frenetica, moderna, laica e spudorata Tel Aviv. Provare per credere. Non ne hanno fiaccato la voglia di vivere neppure i kamikaze che pure qui a suon di bombe hanno seminato morte e dolore. L’ultima in ordine di tempo il 25 febbraio scorso allo Stage, un localino di karaoke sul lungomare. Sette mesi dopo quel tragico episodio è consegnato agli archivi. Tutta Israele, anche per effetto della fragile "tregua" col nemico palestinese, sta vivendo una sorta di boom del turismo. Era già andata alla grande l’anno scorso, più 42% rispetto al 2003. Sata andando ancora meglio nel 2005, i cui primi 7 mesi fanno segnare un’ulteriore impennata: più 29%. E cos’è Tel Aviv, 400 mila abitanti scarsi, un milione mezzo se si considerano i sobborghi, oltre a grandi alberghi, teatri, ristoranti e club d’ogni genere, se non vita notturna? Sbaglierebbe però chi pensasse che a cercare piccole e grandi emozioni siano solo i turisti. I più assidui frequentatori infatti di locali e localini sono proprio gli israeliani. Immergersi nella notte dell’ex piccola Odessa è dolce come questa fine di settembre. Decidiamo di iniziare in maniera soft con visita a un locale per famiglie piccolo medie borghesi. Si chiama Flaka, "applauso". E’ a Shont-zino, nella zona industriale della città, dove ci sono concessionarie e mega store di ricambi d’auto. Il caso ha voluto che questo ristorante-dancing fosse accanto a un bordello. Le facce dei tanti che ogni sera infilano la porta sbagliata sono una candid camera a ciclo continuo. Ci arriviamo alle dieci e mezzo di un venerdì sera. Troppo presto dicono quelli della sicurezza, tre armadi russi di poche parole, armati di Bull, la più micidiale delle 9 millimetri, di fabbricazione israeliana.. Alon, l’amico che ci accompagna, fa la fesseria di dire che siamo dei giornalisti. Apriti cielo, arriva subito il direttore. Possiamo entrare, ma senza scrivere una sola parola senza il permesso del boss. D’accordo. Luci soffuse, arredamento in stile orientale, palco per l’orchestrina, pisat da ballo e un mare di tavoli. Roba per coppie di mezza età. Si mangia si ascolta un po’ di musica live, soprattutto folk israeliano ma anche successi internazionali. Stasera c’è addirittura Arcadi Bucrin, una sorta di Pupo extra europeo. Di "peccati" però neanche a parlarne gli unici possibili qui sono quelli di gola. Usciamo. Il buttadentro della "porta accanto" è poco incline al sorriso. E’ un palestinese di quelli cattivi. I curiosi non gli piacciono mette subito in chiaro. Se vogliamo dare soltanto un’occhiata dobbiamo sbrigarci, altrimenti ci pensa lui a spedirci fuori a calci. Perché contraddirlo? Uno stretto corridoio ci introduce in un’ampia stanza poco illuminate ai lati della quale ci sono sette mastodontiche poltrone stile impero su cui siedono altrettante ragazze, alcune carine, altre decisamente sciupate. Di fronte aloro un paio di sgangherati divani dove i clienti possono osservare la merce, scegliere, pagare 250 shekel e appartarsi in un loculo per 40 minuti di sesso. Tra i 20 e i trenta, di origine russa o ucraina quelle giovani donne hanno facce tristissime. Schiave di una mafia spietata e incredibilmente tollerata. Nei minuti in cui restiamo a fissarle nessuna di loro ci rivolge un solo sguardo, un ammiccamento un sorriso. Meglio andare via, il tempo concessoci dall’energumeno alla porta, oltre tutto, è già ampiamente scaduto. Terza tappa, la stazione centraled ei bus, i vicoli aridosso della quale ricordano una Napoli d’altri tempi. Bui, stretti, maleodoranti, i turisti si guardano bene dal mettervi piede. E’ la Disneyland dei più poveri tra gli immigrati di Israele. Bische, sesso e droga en plen air. Tutto a pochi shekel , ma ad altissimo rischio. Rafi, soprannome Rambo, è un tassista che conosce la Tel Aiv del peccato come pochi altri. "Il paradosso", dice è che da noi questo genere di cose sono legali e illegali al tempo steso. Il confine dipende da molti fattori, dal poliziotto che chiude un occhio, dal potere della criminalità russa, dal fatto che i nostri governanti hanno un bel po’ di altre cose per la testa. Il Carpe Diem è uno dei quattro gay bar di Tel Aviv . siamo al numero 17 di Montefiori Street. Zona borghese. Rambo si rifiuta di accompagnarci. Dice che ci perderebbe la faccia. E che sarà mai? Il locale è invece carino e tranquillo. Arredamento di qualità, ottimo bar e buona musica. Drink, sorrisi e tenerezze. Frequentatissimo dunque, in barba ai pregiudizi di Rambo. Imbocchiamo il lungo mare di Ha Taylet. Cinque chilometri di alberghi, locali, ristoranti, caffetterie, che si affacciano alla spiaggia. Nonostante sia mezzanotte passata siamo al limite dell’ingorgo. Parcheggiare è pressoché impossibile, meglio ritornare al centro. Dove ci sono i clubbini della Tel Aviv bene. Lilenblum, una corta stradina con la più alta densità di discoteche e pub possibili. Le auto, le moto parcheggiate nei pressi la dicono lunga sulle possibilità finanziarie di questi giovani. C’è il pienone dappertutto, con file di teen ager in attesa che qualcuno esca per poterne prendere il posto. Per gli adolescenti non c’è niente di meglio che Lilenblum. "Qui l’acchiappo è garantito" si vantano Yaron e Moshe. Ma se siete soli ? "E’ solo l’una. E’ ancora troppo presto, fidati" Ci fidiamo. Velevet è la discoteca più in di Tel Aviv. Varcarne la soglia però è quasi più difficile che ottenere un biglietto per una prima alla Scala. Due visibilissimi cartelli informano che dentro non ci stanno più di 310 persone e che quelli della sicurezza, a loro insindacabile giudizio, possono decidere chi entra e chi no. Dana e Sharar, carine e in tiro per il loro venerdì da sballo sono in attesa già da due ore. Chiacchierano, fumano, lanciano sguardi assassini a qualche coetaneo e non demordono. Velvet deve essere e, periamo per loro, Velvet sarà. Grattacieli di vetro piantati tra le rovine della città vecchia, le vetrine delle gioiellerie tax free ancora illuminate. Di giorno qui è tutto un via vai di brokers, di uomini d’affari col cellulare all’orecchio, di auto di lusso coi vetri oscurati. Siamo a Ramat Gan, il quartiere dove si trattano bussines da milioni di dollari che al calar delle tenebre diventa qualcosa d’altro. Il cauto procedere di automobilisti che occhieggiano le insegne dei club, ragazze che si raccolgono agli angoli delle strade, barboni ubriachi che chiedono la carità. Il Borsa, topless bar tra i più hard della città è manco a dirlo pieno come un uovo. Qui, a parte i soliti controlli, si entra relativamente facile. Dentro è una bolgia con camerierine che fanno slalom tra i divanetti su cui procaci fanciulle sono impegnate in corpo a corpo con clienti disposti infilare nei loro mini slip almeno 20 shekel ogni due-tre minuti. Per i più esigenti ci sono anche dei privè. Mini alcove in cui la tariffa cresce in maniera direttamente proporzionale alla disponibilità della show girl, immancabilmente est europea. Il Borsa è una via di mezzo tra il night club classico e la discoteca. Contrariamente ai night club italiani, in genere frequentati da persone di mezza età – non fosse altro che vi spendono cifre che di solito i giovani non hanno – qui è pieno di ragazzi. Soldati che vogliono festeggiare la fine dei tre anni di naia, promessi sposi che danno l’addio al celibato. Di donne non c’è n’è una che non sia lì per lavoro. Mega schermi diffondono immagini di porno spinto, ma non c’è morbosità, solo lazzi e risate. Giovanotti che montano sul palco e mostrano il sedere al pubblico, altri che scimmiottano le virtuose della lap dance, altri che mettono in scena comicissimi spogliarelli. Alle tre in punto il dj annuncia il clou della serata: Randi. Vent’anni, creola di probabili origini etiopi. Silenzio in sala. La star cala lentamente dal cielo, nuda, all’interno di una specie di gabbia dalle pareti di vetro. In realtà è un a cabina doccia. La prosperosissima vedette prima si insapona diligentemente e poi invita uno del pubblico a darle una mano. Nessun problema, quelli disponibili a farle compagnia sono almeno dieci. Alla fine la spunterà il venticinquenne Elon, baganato come un pulcino, ma ampiamente ricompensato dal morbido corpo a corpo offertogli, stavolta gratis, da Randi. L’ultima puntata la vorremmo fare in Alanby, lì c’è un jazz bar il Temptation, dove si può ascoltare un po’ di buona musica live. Solo che di lì non si passa.C’è il pieno di polizia per un allarme bomba. Per fortuna gli artificieri non troveranno alcun ordigno. Mai abbassare la guardia, questa la regola prima di Israele. Va bene il divertimento, la voglia di tirar tardi, di dimenticare sia pure per lo spazio di una sola serata quanto sia difficile vivere da queste parti, ma la realtà può essere amara. Questo è un paese in guerra e nonostante l’alto livello di quelli che combattono il terrorismo la morte continua a essere in agguato. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de La Repubblica delle donne. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.