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La Stampa Rassegna Stampa
07.10.2005 George W: Bush: un leader nella lotta al terrorismo
da cui Abu Mazen dovrebbe prendere esempio

Testata: La Stampa
Data: 07 ottobre 2005
Pagina: 9
Autore: Paolo Mastrolilli
Titolo: «Minaccia alla metropolitana di New York»
LA STAMPA di venerdì 7 ottobre 2005 pubblica a pagina 9 un articolo di Paolo Mastrolilli, "Minaccia alla metropolitana di New York". Lo pubblichiamo perché a nostro avviso permette di comprendere come un paese, in questo caso gli Stati Uniti d'America, e un leader politico, in questo caso George W. Bush, possano affrontare con determinazione ed efficacia la minaccia terroristica.

Segnaliamo anche un passaggio che induce a una riflessione: "Proprio da Londra, però", scrive Mastrolilli, "è arrivato lo sgambetto di un documentario della Bbc, in cui i leader palestinesi Abu Mazen e Nabil Shaath rivelano che Bush ha detto loro di aver attaccato l'Afghanistan e l'Iraq perché «glielo ha ordinato personalmente Dio»".

Posto che ciò che Abu Mazen e Nabil Shaath hanno detto alla BBC (la cui credibilità è per altro a pezzi dopo che si è appurato che ha manipolato le notizie in funzione anti-Blair nel caso Kelly) sia vero, si dovrebbe consigliare loro di prendere esempio da Bush nella lotta al terrorismo di Hamas, invece di dedicarsi a diffondere indiscrezioni sui media.

Ecco il testo dell'articolo:

La metropolitana di New York è nel mirino di al Qaeda. L'allarme è stato lanciato ieri sera dal sindaco Bloomberg, proprio nel giorno in cui il presidente Bush aveva tenuto un discorso sulla guerra al terrorismo, rivelando che «dopo l'11 settembre gli Usa e i loro alleati hanno sventato dieci attentati. Tre erano diretti contro l'America, dove in altre cinque occasioni gli investigatori hanno bloccato tentativi di infiltrare il Paese».
La soffiata raccolta dagli investigatori viene dall'estero, probabilmente dall'Iraq, e parla di attacchi coordinati contro la subway nella seconda settimana di ottobre. I terroristi vorrebbero piazzare 19 valigette bomba in alcune delle 468 stazioni, dove ogni giorno passano 4,5 milioni di passeggeri, oppure riempire di esplosivo carrozzine e zainetti.
La stessa soffiata ha portato la Cia e l'Fbi a lanciare un raid a Sud di Baghdad, dove sono stati catturati diversi membri di al Qaeda. Bloomberg aveva la notizia da due giorni ma non l'ha rivelata prima proprio per consentire questa retata, in cui forse sono stati catturati dei militanti destinati a colpire a New York. Il capo della polizia Kelly ha alzato il livello di allerta nella metropolitana, mobilitando centinaia di agenti, perché l'emergenza non è finita e gli attentati potrebbero avvenire nei prossimi giorni. Bloomberg però ha detto che lui continuerà a prendere i treni, mentre il dipartimento della Sicurezza Interna ha definito la minaccia non molto credibile.
Poche ore prima dell'allarme, il presidente Bush aveva tenuto un discorso sulla guerra al terrorismo pensato per rispondere ai critici dell'Iraq, arginare la caduta nei sondaggi, e riconquistare la fiducia degli americani col suo tradizionale punto forte.
Il capo della Casa Bianca ha riaffermato che quella in corso è una sfida decisiva per la democrazia e la libertà. Gli estremisti hanno tre obiettivi: mettere fine all'influenza americana e occidentale in Medio Oriente; approfittare del vuoto per occupare un paese da usare come base; fomentare i popoli per rovesciare tutti i governi moderati della regione. In questo quadro, «i terroristi considerano l'Iraq come il fronte centrale della loro guerra contro l'umanità. Credono che controllare una nazione permetterà di mobilitare le masse musulmane, creando un impero islamico radicale dalla Spagna all'Indonesia». I loro leader, tipo bin Laden e Zarqawi, sono come Hitler, Stalin e Pol Pot. La loro ideologia è simile al comunismo, perché ha obiettivi totalitari, non rispetta la libertà, e sacrifica innocenti per i suoi scopi politici.
Bush ha risposto ai critici che imputano le violenze proprio all'intervento in Iraq: «Gli attentati dell'11 settembre sono avvenuti prima. Non c'è concessione che accontenterà gli assassini. Contro un tale nemico c'è una sola risposta: la vittoria completa».
Per arrivarci, il presidente ha enunciato una strategia in cinque punti. Primo, potenziare la sicurezza interna per prevenire gli attentati. Secondo, negare ai terroristi le armi di distruzione di massa. Terzo, chiudere i santuari: «Stati sponsor come la Siria e l'Iran hanno una lunga storia di collaborazione con i terroristi. Gli Usa non fanno distinzione fra chi commette i crimini e chi li aiuta». Un avvertimento rinforzato anche dal premier britannico Blair, che ricevendo a Londra il presidente iracheno Talabani ha accusato Hezbollah o Teheran di alimentare l'insurrezione. Proprio da Londra, però, è arrivato lo sgambetto di un documentario della Bbc, in cui i leader palestinesi Abu Mazen e Nabil Shaath rivelano che Bush ha detto loro di aver attaccato l'Afghanistan e l'Iraq perché «glielo ha ordinato personalmente Dio».
Il quarto punto della strategia nega ai militanti il controllo di una nazione, e qui rientra in gioco l'Iraq: «Le guerre non si vincono senza sacrifici, e questa ne richiederà ancora». Bush ha ribadito che la soluzione ha due componenti: militare, attraverso l'impegno delle forze internazionali contro gli insorti e l'addestramento di quelle irachene; e politica, tramite le elezioni e il consolidamento della democrazia. «Alcuni - ha detto il presidente, pensando forse ai pacifisti di Cindy Sheehan - dicono che l'America farebbe meglio a scappare. È un'illusione pericolosa, a cui si risponde con una domanda: saremmo più sicuri se Zarqawi o bin Laden controllassero l'Iraq? In Iraq non c'è pace senza vittoria. Noi terremo i nervi saldi e vinceremo».
Il quinto punto della strategia è impedire ai terroristi di reclutare nuovi militanti. Perciò in Medio Oriente servono sviluppo, riforme, e la denuncia della violenza da parte dei musulmani moderati. Se l'America avrà la determinazione di seguire il suo piano, Bush non ha dubbi sull'esito: «Non conosciamo il corso che seguirà la nostra battaglia, ma sappiamo che la causa della libertà prevarrà».
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