Le riforme fanno bene all'economia israeliana un'analisi
Testata: Il Foglio Data: 30 settembre 2005 Pagina: 2 Autore: Rolla Scolari Titolo: «I conti (belli) di bibi»
A pagina 2 dell'inserto IL FOGLIO di venerdì 30 settembre pubblica un articolo di Rolla Scolari che riportiamo L’economia israeliana ha accolto bene la notizia della vittoria del premier Ariel Sharon nello scontro interno del Likud. Il primo ministro ha battuto il rivale e compagno di gruppo, Benjamin Netanyahu. Il ballottaggio aveva un fine procedurale: tenere primarie in aprile o rinviarle a novembre 2006. Quei 104 voti in più raccolti da Sharon sono, per l’economia del paese e per gli investitori stranieri, garanzia di stabilità, almeno fino all’autunno prossimo. Dopo una settimana d’incertezze, la Borsa di Tel Aviv ha guadagnato, in due giorni, il 3,5 per cento. L’Ufficio centrale delle statistiche israeliano ha dichiarato mercoledì che ci sarà una crescita percentuale dell’economia del 5,1 per cento, più di quanto Israele si aspettasse. Le previsioni della Banca centrale erano più limitate: 4,5 per cento nel 2005. Il governatore dell’istituto bancario, Stanley Fischer, ha confermato la tendenza positiva in un discorso al Fondo monetario internazionale, qualche giorno fa. La promessa di stabilità politica e la speranza della ripresa di un processo di pace dopo il ritiro da Gaza, nonostante la situazione tesa degli ultimi giorni all’interno della Striscia, hanno contribuito al recente ottimismo dei mercati. Il paese è passato attraverso una violenta recessione economica dopo lo scoppio della seconda Intifada, tra il 2001 e il 2002. La ripresa del terrorismo palestinese ha allontanato dal paese gli investimenti stranieri e ha dato un colpo al consumo interno. Nel 2004 queste tendenze si sono invertite, secondo molte analisi economiche, grazie anche alla migliore situazione di sicurezza interna, raggiunta attraverso le strategie politiche del governo Sharon giudicate negativamente dalla comunità internazionale: l’impiego di uccisioni mirate per indebolire i vertici delle organizzazioni armate palestinesi e la costruzione della barriera difensiva tra Israele e Cisgiordania. Il premier e il suo ex ministro delle Finanze e attuale rivale in casa, Bibi Netanyahu, hanno deciso di applicare riduzioni della spesa pubblica e di limitare l’intervento dello Stato nella vita economica del paese, eredità principale del laburismo. Netanyahu, sempre appoggiato da Sharon, ha puntato negli ultimi tre anni sulle privatizzazioni di banche e imprese e sulla riduzione dei sussidi di Stato. La sinistra ha criticato la sua politica, accusandolo di peggiorare il welfare israeliano. Negli ultimi mesi ci sono stati una ripresa dei mercati e un nuovo afflusso d’investimenti esteri che hanno dato una spinta all’industria interna; la fiducia dei consumatori è cresciuta; c’è un nuovo sviluppo del turismo, calato dopo lo scoppio della seconda Intifada. Allo stesso tempo, dopo il ritiro dalla Striscia di Gaza, sembrano essersi aperte possibilità di dialogo con alcuni Stati della regione. Il segretario generale della Lega araba, Amr Moussa, ha detto che alcuni paesi arabi avrebbero preso contatti con Israele, in occasione dell’ultima sessione dell’Assemblea generale dell’Onu. L’eventualità aprirebbe nuovi spazi all’economia israeliana. Le riforme avviate da Netanyahu non sono state messe da parte da Sharon dopo le dimissioni del ministro, ad agosto. Il rivale lasciò il governo poche ore prima dell’inizio del disimpegno dalla Striscia di Gaza, per marcare il suo disaccordo con la politica del premier, per sottolineare la sua opposizione al ritiro. Da allora guida l’ala più conservatrice del Likud, contro il primo ministro. Sharon, sul piano economico, continua a sostenere l’attrazione d’investimenti esteri. Bibi ha dato le sue dimissioni a pochi mesi dell’approvazione della Finanziaria di fine anno. Non è sicuro che l’esecutivo, senza una maggioranza certa, riuscirà a far passare il budget statale per il 2006 a tempo debito, prima della fine di dicembre. Laburisti in agguato A minacciare la riuscita dell’operazione sono soprattutto i laburisti, avversari storici del Likud, in crisi d’identità e fortemente indeboliti. Nel 2004 avevano appoggiato la finanziaria del governo, nonostante fosse contro la loro linea storica, perché favorevoli al disimpegno dalla Striscia di Gaza. Oggi devono riconquistare la propria base elettorale e quindi il rischio che non si schierino con la Finanziaria è alto. Se Sharon non riuscirà a far passare la legge di bilancio entro fine anno, il governo inizierà quest’anno, come è successo anche lo scorso, con un interim budget meno consistente, che non permetterà di portare a termine le riforme promesse. Con i laburisti contro, non è neppure certo che Sharon ottenga una maggioranza che appoggi la Finanziaria entro la fine di marzo. In tal caso, la Knesset sarà sciolta e si andrà, dopo 60 giorni, ad elezioni anticipate. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.