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Libero Rassegna Stampa
28.09.2005 I tagliagole palestinesi e i loro amici italiani
che offrono sostegno politico e, talora, economico

Testata: Libero
Data: 28 settembre 2005
Pagina: 1
Autore: Angelo Pezzana - Andrea Morigi
Titolo: «I Palestinesi amici dell'Ulivo fanno come i tagliagole - Gli amici italiani dei killer palestinesi»
LIBERO di mercoledì 28 settembre 2005 pubblica in prima pagina e a pagina 11 un articolo di Angelo Pezzana, "I Palestinesi amici dell'Ulivo fanno come i tagliagole".

Ecco il testo:

Ci siamo. C’è una nuova sigla che si aggiunge a quelle che abbiamo imparato a conoscere in questi anni nella galassia del terrorismo palestinese. Si chiama, brutalmente, "Unità Rapimenti". E’ Hamas che l’ha generata, non soddisfatta evidentemente del sangue già versato. Ed è entrata subito in azione. Nuriel Sasson,50 anni, un commerciante che abitava a Pisgat Zeev, alla periferia nord di Gerusalemme, scomparso una settimana fa, è stato ritrovato cadavere lunedì mattina nel villaggio di Beitunya, vicino a Ramallah. Il suo assassinio è stato rivendicato da Hamas che ha diffuso le immagini di Sasson legato e bendato, secondo la ben nota tecnica dei terroristi islamici. Il nuovo gruppo avrebbe dovuto iniziare, su scala diffusa, la cattura di israeliani per usarli poi come merce di scambio per il rilascio di detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Ma la voglia di uccidere è stata più forte, avere l’occasione di poter imitare al Qaida con tutto il suo macabro armamentario di immagini da poter mostrare ad un Occidente impaurito ha superato il già vergognoso calcolo politico. Nuriel Sasson è stato giudicato più utile da morto che da vivo. Questa valutazione contiene una sua logica, per quanto criminale possa essere. Israele, dopo la coraggiosa decisione di Arik Sharon di consegnare Gaza all’Autorità palestinese, sta ricevendo apprezzamenti non solo fra le democrazie occidentali, ma anche da Stati arabi e musulmani, che hanno capito, anche se con ritardo colpevole, quanto lo Stato ebraico sia sincero nella sua ricerca di ogni mezzo per giungere non solo alla pace, ma anche alla costituzione di uno Stato autonomo palestinese. Questi apprezzameti preoccupano il terrorismo fondamentalisti palestinese. Lo stesso Sharon, che fino a pochi mesi fa veniva apostrofato con gli epiteti più ingiuriosi sui giornali di tutto il mondo, oggi viene considerato uno statista coraggioso, un uomo che non ha paura di affrontare crisi di governo, la stessa dissoluzione del proprio partito, pur di affermare la politica che ritiene più giusta per il futuro di Israele. Persino l’Europa comincia ad accorgersi di averlo sempre giudicato con gli occhi velati dal pregiudizio e, pur avendo sostanzialmente modificato il proprio giudizio, non ha ancora fatto con decisione il passo successivo. L’attenzione di tutti i media, italiani e non, è ancora puntata su Israele. Non è bastata l’uscita da Gaza, non è bastata l’evacuazione di novemila israeliani, non è bastato che Israele abbia abbattuto le loro case su precisa richiesta di Abu Mazen dando l’impressione al mondo intero che ne ha seguito le immagini in TV che la decisione fosse sua e non dell’Autorità palestinese. Non è bastato. Non aveva ancora finito di bruciare l’ultima sinagoga ad opera dei palestinesi finalmente liberi di mostrare quanto siano pronti a dar vita ad uno Stato libero e indipendente, che Israele si è vista presentare un nuovo conto. Non è bastato aver lasciato Gaza e quattro insediamenti in Cisgiordania, il conto che le è stato subito presentato diceva e ripeteva solo: Cisgiordania, allora, quand’è che si ritorna ai confini del ’67 ? o a quelli del ’48 ? Israele, sempre e solo Israele. E i palestinesi ? C’è stato qualcuno che gli abbia chiesto perché non hanno ancora provveduto a combattere il terrorismo ? Si sprecano sui nostri giornali le interviste ai leader palestinesi, che però non sanno far altro che continuare ad accusare l’ "occupazione" israeliana di tutti i mali che li affliggono. Dovrebbero invece avere l’onestà di riconoscere che la democrazia è una parola che non riescono ancora a declinare, che l’unico linguaggio che conoscono è quello delle armi, dire chiaramente che non gliene importa niente di conquistare per il loro popolo uno Stato indipendente. Altrimenti dovrebbero ammettere che le trattative si fanno intorno a un tavolo e non con il lancio dei Bazooka sulle città israeliane che si trovano al confine con Gaza. Già, Gaza. Doveva essere il banco di prova per il futuro Stato, ma, al punto al quale siamo arrivati, bisogna avere il coraggio di parlare chiaro. O Abu Mazen sconfigge Hamas, riconoscendolo per quello che è, una banda di criminali esattamente come i seguaci di bin Laden, smettendo quindi di classificarla come se fosse un normale gruppo politico, o può fin da oggi alzare bandiera bianca. Sharon è stato chiarissimo. Israele non tollererà più alcuna ostilità, considerando qualsiasi attacco al suo territorio e ai suoi cittadini come un atto di guerra. L’ha affermato anche nel suo discorso all’ONU. La risposta di Israele sarà durissima. L’Europa purtroppo sembra solo preoccupata di far giungere ai palestinesi montagne di soldi, il che andrebbe anche bene se ad accogliere gli aiuti ci fosse una popolazione pronta ad assumersi le proprie responsabilità, con l’intenzione, come abbiamo più volte scritto, di rimboccarsi le maniche e collaborare con Israele per giungere ad un accordo finale di riconoscimento reciproco. Succede invece che Abu Mazen non controlla un bel niente, anche se onestamente dobbiamo riconoscere che qualche tentativo cerca di farlo, come quando ha escluso che ci fosse Israele dietro l’esplosione che a Gaza ha ucciso e ferito molti palestinesi durante un corteo nel quale si "festeggiava" la conquistata libertà. E’ stato persino più coraggioso e sincero della maggior parte dei nostri media che si sono subito bevuti la versione di Hamas che accusava Israele. Ma oltre Abu Mazen non ce la fa ad andare. E Hamas è libero di uccidere come meglio crede. L’Unione europea, che peraltro ha classificato Hamas come movimento fuorilegge, si guarda bene dal prendere qualsiasi iniziativa. Idem i singoli governi europei, per i quali, se non ci sono motivi per accusare Israele, brillano per il loro silenzio. Editoriali sui nostri giornali se ne vedono in giro pochi che abbiano il coraggio di dire basta al terrorismo palestinese. La maggior parte dei nostri "esperti" si guarda bene dal valutare la tremenda situazione nella quale è venuta a trovarsi Israele dopo aver dato prova, con l’uscita da Gaza, della più totale disponibilità nei confronti di un popolo la cui leadership in questi decenni ha dato invece prova di non aver mai realmente voluto uno Stato per sé cercando piuttosto la distruzione di Israele. Che in questi giorni sta dando prove di grande saggezza. Sharon è riuscito a battere Netanyahu, nel Likud non è prevalsa la posizione estremista. Nell’intero paese una solida maggioranza è d’accordo con Sharon che pur di arrivare ad un accordo Israele è pronta a fare ancora altri "dolorosi sacrifici", come Sharon aveva già detto riguardo a Gaza e Cisgiordania. Ma dall’altra parte deve esserci un interlocutore armato di buona volontà e non di Bazooka, devono esserci delle persone pronte a discutere non a uccidere.

Avevamo sperato che con la morte di Arafat le cose in campo palestinese sarebbero migliorate. Purtroppo la mala pianta aveva ramificato dovunque, spargendo semi avvelenati in gran parte della società palestinese. Ora o mai più, viene da pensare. Abu Mazen ha di fronte a sé tra pochissimo tempo le elezioni, Se sul campo Hamas continuerà ad avere mano libera, il 25 gennaio prossimo l’avrà anche nelle urne elettorali. La sua vittoria sarà definitiva. Deve agire subito. I nomi dei criminali li conosce Sharon, ma sono gli stessi che conosce anche Abu Mazen. Li catturi, li metta in prigione, disarmi quelli che nostri media continuano graziosamente a chiamare "militanti" e faccia rispettare la legge. Se non lo farà sarà guerra. E’ già guerra.
Sempre a pagina 11 LIBERO pubblica un articolo di Andrea Morigi su "Gli amici italiani dei killer palestinesi".

Ecco il testo:

MILANO Non vi è dubbio, scriveva il giudice Guido Salvini, in un'ordinanza del luglio scorso, che « il gruppo Hamas agisca in nome della causa nazionale palestinese » , ma « è altrettanto indubbio che non per questo l'azione contro un autobus di civili israeliani resti un attentato terroristico » . Eppure c'è ancora chi non può fare a meno di distinguere. E chi non poteva evitare di finanziarli, come hanno fatto con almeno 4 miliardi di dollari tra il 1998 e il 2003 i sovrani wahhabiti, tramite alcune associazioni umanitarie. Anche qui in Italia non è difficile sostenere - e in compenso è anche poco rischioso - " sostenere la resistenza dell'eroico popolo palestinese". Le prime avanguardie islamiche sbarcate nel nostro Paese si erano insediate infatti a Perugia nei primi anni Settanta, nella folta comunità di studenti dell'Università per stranieri. Erano palestinesi politicizzati, più inclini a simpatizzare con Yasser Arafat che a sua volta propendeva per il Patto di Varsavia che gli forniva armi e denaro per distruggere Israele. Intanto però, nei Territori e nella Striscia di Gaza cresceva il movimento dei Fratelli Musulmani, tramite la sua branca palestinese, Hamas appunto. Che a sua volta dispone di un braccio armato, le Brigate Ezzedin el Qassam, responsabili di innumerevoli stragi di civili israeliani nel corso degli ultimi anni. La branca italiana dello stesso movimento è rappresentata all'interno dell'Ucoii, che non a caso, condannando il terrorismo in un documento del luglio scorso non ometteva di indicare la necessità di aiutare i fratelli impegnati in guerra. Più esplicito, ma pur sempre esponente di punta dell'Ucoii, Nabil Bayoumi, 69 anni, egiziano e responsabile della moschea di Bologna, che in un'intervista televisiva del 9 settembre ha pubblicamente giustificato i kamikaze palestinesi sostenendo che « in certe situazioni » hanno ragione. Nessuno dell'Ucoii ha preso ufficialmente le distanze. Si fa ma non si dice, è il motto dei fiancheggiatori che vogliono mantenere una facciata legale e perfino rispettabile. Chi ha manenuto i contatti con Hamas non è andato a urlarlo ai quattro venti. come Abdelkader Es Sayed, noto come Abu Saleh, l'egiziano fondatore della prima cellula italiana di Al Qaeda. Si era piazzato a Milano, in via Quaranta. Il luogo attualmente è più noto per aver ospitato per anni una scuola clandestina islamica. Ora è morto in Afghanistan, secondo gli investigatori. Sono vivi e vegeti, invece, Youssef Nada e Ahmed Idris Nasreddin, considerati dall'Onu i maggiori finanziatori di Hamas tramite la banca Al Takwa. Loro non se ne curano molto. Il primo è solito sorbire un caffè ogni mattina in un bar di via Ariosto, a Lugano. L'altro vive in Tunisia, ma è proprietario di varie società e di un albergo, il Nasco Hotel, in corso Sempione, a Milano. Mai sequestrato e ancora oggi in piena attività.
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