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Avvenire Rassegna Stampa
27.09.2005 "Giù il cappello davanti ad Ariel Sharon"
un editoriale del quotidiano cattolico

Testata: Avvenire
Data: 27 settembre 2005
Pagina: 2
Autore: Elio Maraone
Titolo: «Vecchio e superato, Sharon? No. E vedrete il futuro»
AVVENIRE di martedì 27 settembre 2005 pubblica un editoriale di Elio Maraone che riportiamo:
Giù il cappello davanti ad Ariel Sharon. In un momento cruciale per il futuro del Paese, il premier israeliano non si è scostato dalla linea saggia che lo aveva portato a realizzare il ritiro da Gaza e ha strappato una importante vittoria all'interno del suo partito. Nemmeno quando, come nelle ultime settimane, gran parte del Likud gli si era rivoltato contro, mostrando per un attimo di preferire al «falco» ammorbidito, cioè al vecchio generale che ha lasciato le armi per la diplomazia, il suo più giovane sfidante, Benjamin Netanyahu. Il quale, appoggiato direttamente dai coloni sfrattati da Gaza e indirettamente da Hamas e Jihad islamica (i movimenti palestinesi che con i loro attentati e razzi anti-israeliani lavorano in realtà contro il proprio popolo), insisteva per la scelta di un nuovo leader del Likud - cioè se stesso - mediante «primarie» anticipate che avrebbero portato ad elezioni politiche pure anticipate. La data delle «primarie» scelta da Netanyahu e da chi lo ha fiancheggiato anche a sorpresa, come il presidente della Knesset (Parlamento) Reuven Rivlin, doveva cadere attorno alla metà di novembre. Ma non era solo questione di data, era questione di stile e di visione del mondo. Netanyahu ha cavalcato pesantemente la bestia del nazionalismo becero, insistendo sui temi del Grande Israele e sulla sicurezza del Paese che, dice, Sharon non sarebbe più in grado di garantire, e che è oggettivamente e stolidamente insidiata dall'estremismo palestinese. Il primo ministro, con una agilità politico-diplomatica inedita, si è tenuto in equilibrio (anche nel suo recente discorso alle Nazioni Unite) fra l'esigenza di ribattere colpo su colpo ai terroristi e il riconoscimento dei diritti palestinesi. Riconoscimento inverato per ora attraverso scelte unilaterali, come il ritiro da Gaza, in attesa dei tempi migliori e augurabili nei quali tutto, a cominciare dalla fissazione di frontiere definitive, sarà il risultato di negoziati fra due popoli sovrani. Ecco perché la «due giorni» del Comitato centrale del Likud a Tel Aviv è andata ben oltre le piccole beghe di partito e le rivalità personali. Si è trattato infatti di decidere non soltanto le possibili date per le «primarie», e di conseguenza sul come e quando metter fine alla contrastata leadership di Sharon, ma anche e soprattutto i modi e i tempi della fine del controllo armato di Israele sui palestinesi. E Sharon l'ha spuntata. Anche Netanyahu, anche la destra più a destra nel Likud in cuor loro sanno che la stagione del nazionalismo oltranzista sta finendo, e che il ritiro da quasi tutti i territori occupati è soltanto una questione di tempo. Ma ancora non osano riconoscerlo apertamente, preferendo una linea attendista e di demonizzazione dell'avversario (Sharon) che crediamo porterà, prima o poi, alla spaccatura del Likud (come si è visto nel voto di ieri sera) o comunque alla sua perdita di peso specifico. Non è questo, nemmeno in Israele, un bel momento per il mondo politico tradizionale. Ma pur nell'amarezza per i tradimenti e per le offese, culminate l'altro giorno nel sabotaggio del suo previsto discorso al Comitato centrale, Ariel Sharon ne ricava qualche vantaggio. Era pronto a guidare una nuova formazione moderata, centrista, che - dicono i sondaggi - toglierebbe molto spazio al vecchio Likud nonché al sempre più vacuo e deludente Partito laburista. Qualunque cosa Sharon abbia realmente nella testa, quali che siano i suoi veri progetti sui piani interno e internazionale, oggi è lui il vincitore della battaglia politica israeliana. Sarebbe bello che, in un futuro non troppo lontano, la sua vittoria fosse anche quella della pace.
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