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La Stampa Rassegna Stampa
25.09.2005 Se il giornalista che scrive è onesto
anche il desk esteri è costretto a titolare correttamente. La cronaca di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 25 settembre 2005
Pagina: 8
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Gaza in fiamme ma Abu Mazen si dissocia da Hams»
Ieri tutti i quotidiani hanno evidenziato nelle titolazioni la possibile responsabilità di Israele nell'esplosione che ha causato morti e feriti fra i palestinesi a Gaza. Questo malgrado la stessa ANP avesse dichiarato che escludeva tale possibilità. La notizia vera, quella importante, doveva essere la dichiarazione di Abu Mazen che dava la colpa ad Hamas dell'accaduto. Invece la notizia vera finiva dentro le corrispondenze, scomparendo, lasciando il posto a Israele che nella faccenda non c'entrava nulla. Idem per quanto riguarda le TV. Persino il TG5 (ma ne sarà ancora direttore Carlo Rossella ?) guidato ormai dal sempre ostile Sposini che ha trasormato i servizi da Israele in una succursale di Rai3, disinforma i telespettatori. Si può affermare tranquillamente che Mediaset, a volte, è peggio della RAI. Il che è tutto dire.
Pubblichiamo l'articolo di Fiamma Nirenstein dalla STAMPA di oggi 25-9-2005 quale esempio di informazione corretta. Il che significa che anche la redazione esteri che fa il titolo non può non tenere conto del contenuto dell'articolo.
Ecco il pezzo:

La guerra non è finita. L’esercito israeliano ha ripreso la sua politica di esecuzioni mirate, dopo un bombardamento di 40 missili Kassam sulla città di Sderot. Il ministro della Difesa Shaul Mofaz suggerisce l’uso di forze di terra, e Sharon soppesa questa opzione, che è certo la più impegnativa. Hamas è andato oltre ogni limite e il peggior incubo, quello che Gaza si trasformasse in un Hamastan, è diventato realtà. Perché a Gaza, per ora non si inaugurano nuove imprese agricole, non si pongono pietre angolari di scuole, case, fabbriche che dovrebbero costruire un domani diverso, non si pronunciano parole che pavimentino la via verso un accordo, nonostante il flusso degli aiuti e la trepida attenzione internazionale siano enormi.
E’ incredibile che tuttora le immagini e i suoni siano invece i soliti: sangue, esplosivo, sirene. Le ultime notizie sembrano promettere quell’escalation di violenza di cui parlavano gli antagonisti del ritiro dell’esercito israeliano. Sharon stesso, ora che affronta le forche caudine del suo comitato centrale e di Netanyahu che lo vuole eliminare, certo non è avvantaggiato da questa escalation.
Ieri, dopo una nottata di orrore per i cittadini di Sderot e di alcuni kibbutz vicini, l’esercito israeliano ha ucciso quattro palestinesi di Hamas. E in serata un elicottero israeliano ha lanciato tre missili contro la città palestinese di Khan Yunis, nella Striscia di Gaza. Il numero delle eventuali vittime non è stato reso noto. Lungo il confine Nord di Gaza, le truppe minacciano poi di entrare per fermare la pioggia di Kassam. Il giorno prima, dopo molta discussione l’Autorità Palestinese dopo quattro ore di riunione ha denunciato la responsabilità di Hamas rispetto ai 19 morti e ai più di cento feriti causati da un «incidente di lavoro» occorso nel trasportare armi, esplosivi, terroristi. Il tentativo di dare la colpa a Israele non ha convinto Abbas, che le ha coraggiosamente dato torto.
E’ una reazione interessante, una dissociazione potente da chi cerca ormai di usare Gaza in funzione antagonista all’attuale leadership palestinese. Gaza è infatti diventata per Abu Mazen una potenza nemica: ha bruciato e attaccato in ogni modo le sinagoghe abbandonate; ha occupato con le armi ogni angolo; contro ogni accordo ha invaso le rovine di Kfar Darom dando a una delle maggiori cittadine della striscia il nome dello sceicco Yassin; ha accompagnato la richiesta di partecipare alle elezioni con rally armati e dispiegamento di forze mascherate e ben equipaggiate; ha pianificato nella sinagoga di Netzarim una mostra del gruppo armato Izz el Din al Qassam annunciando, il 21, il dispiegamento per tre giorni di tutto l’apparato per gli attacchi suicidi, i missili «usati per abolire l’occupazione di Gaza». Con parate e sparatorie ha alzato il profilo della propria organizzazione e non ha mai cessato di utilizzare e di esibire come elemento portante della propria potenza a Gaza, assieme alla Jihad islamica, le proprie strutture militari e di lanciare missili.
Intanto le armi sono affluite in massa dal confine egiziano appena aperto. Abbas intanto, sulle rovine di Arafat, si è trovato di fronte a una dura crisi interna del Fatah. Martedì scorso l’ala armata, le Brigate dei martiri di Al Aqsa, ha tentato di assassinare a Nablus l’ex ministro degli Interni Hani al Hassan, dopo che tre settimane fa era stato ucciso Musa Arafat a Gaza. Il primo ministro Ahmad Qoreia (Abu Ala) è costretto a sottoporre il governo a una verifica della fiducia e si indebolisce ulteriormente Fatah di fronte alla rampante ascesa di Hamas.
Non è tanto la forza militare che manca al leader, quanto la possibilità di utilizzare l’appiglio di una cultura di pace che gli consenta, con un seguito di massa, di dire «basta» alle organizzazioni terroriste. Forse la mossa di ieri di Abu Mazen di denunciare la bugia di Hamas e di imporre (così ha annunciato giovedì) che da ieri notte non circolino più milizie armate per Gaza, è un segnale di riscossa e anche una mossa rivolta a Israele per indurlo a trattenere le truppe da movimenti di terra che lo riportino dentro Gaza. Ma Gaza libera, invece di diventare una speranza di pace, si fa di nuovo pomo della discordia, e si può solo sperare che Abu Mazen esprima finalmente una certa determinazione a battere Hamas, che giochi quella palla che tutto il mondo sostiene essere oggi nel suo campo.
Sempre di Fiamma Nirenstein, segue un'intervista a Abu Ziad, membro del consiglio direttivo dell'ANP.
Ecco il testo:

GERUSALEMME
Ziad abu Ziad, eminente membro del consiglio legislativo dell’Autorità Palestinese ed ex ministro per Gerusalemme, appare preoccupato: la fragile sensazione di tregua dei giorni dopo il ritiro è in crisi. Abu Ziad di fronte al palese desiderio di Hamas di creare una situazione di escalation incolpa Israele che ammassa truppe in prossimità di Gaza e rilancia le uccisioni mirate.
Non le sembra che Hamas stia mettendo nei guai qualsiasi speranza di pace con gli attacchi dei Kassam e il continuo assedio alla politica del Fatah?
«La prima responsabilità è di Israele: dopo che Hamas aveva detto che era stata Israele a uccidere 19 palestinesi e l’esercito aveva affermato che non c’entrava niente, doveva lasciarci il tempo di indagare per conto nostro senza interferire, con pazienza. Invece spara, accumula truppe sul confine Nord. Questo è il modo di dare di nuovo fuoco a tutta l’area».
Non le sembra, tuttavia, che Hamas abbia una sua clamorosa parte in tutto ciò? Ha stabilito dallo sgombero un nuovo clima di violenza, ostenta armi, spara Kassam, minaccia di distruggere Israele..
«Noi abbiamo fatto del nostro meglio stabilendo un cessate il fuoco a febbraio. Sta a Israele dare un segnale di pazienza e di autentica intenzione di pace».
Un segnale più chiaro di quello che ha dato Sharon uscendo da Gaza e sfidando tutta la destra, fino alla possibile conclusione della sua carriera politica?
«Ho rispetto per la scelta di Sharon e credo che sia stato coraggioso. Ma non bisogna confondere questo concetto con l’idea che Gaza sia stata veramente liberata».
Il mare e l’aria non sono nelle vostre mani, ma il territorio è libero e finchè il terrorismo controllerà il campo, Israele non farà altre mosse. L’Autorità Palestinese non si decide a disarmare Hamas, anzi, promette ai suoi uomini la partecipazione alle elezioni. Israele dopotutto chiede un segnale di lotta la terrorismo.
«Prima di tutto, noi siamo determinati a permettere a tutti i palestinesi quali che siano le loro idee di partecipare a libere elezioni. E’ nostro diritto. E inoltre: che segnale possiamo dare a chi seguita a costruire negli insediamenti, a chi seguita a voler occupare indefinitamente la Cisgiordania? Il discorso di Sharon all’Onu non è stato un segnale di pace, Gaza deve essere un primo passo, non l’ultimo. Inoltre la continua minaccia di rioccupare la Striscia, non aiuta a creare fiducia».
Non pensa tuttavia che Israele potrà trattare solo se dall’Autorità verrà un segnale deciso contro il terrore? E che voi stessi salverete l’Autorità Palestinese se avete la forza per imporre una svolta?
«Abbiamo parecchi problemi interni, e quando cerchiamo di risolverli, ecco che subito l’esercito israeliano ci viene addosso. Quanto al terrore, io sono contro ogni forma di violenza contro i civili, credo che i Kassam danneggino più i palestinesi che gli israeliani, sono dell’idea che le armi debbano essere deposte e noi ci impegneremo a raccoglierle, ma abbiamo bisogno di tempo».
Il tempo qui vuole dire vite umane. Difficile nel caos capire se e quando ci sarà la svolta.
«Gennaio, le elezioni: allora tanta gente nuova, tante energie verranno alla luce, e avremo più forza per istaurare un’autentica democrazia, la cosa che più ci sta a cuore».



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