Il Likud si divide su Sharon nonostante i successi diplomatici e l'appoggio dell'elettorato israeliano: l'analisi di Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa Data: 23 settembre 2005 Pagina: 8 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Il paradossale dilemma di Ariel Sharon»
LA STAMPA di venerdì 23 settembre 2005 pubblica a pagina 8 un articolo di Fiamma Nirenstein che riportiamo: Certo che la storia è impietosa: prende un corpulento signore di 78 anni che ha appena compiuto un atto eroico come sgomberare Gaza nonostante un’opposizione micidiale; lo porta a fare un discorso all’ONU che promette uno Stato ai palestinesi e di nuovo prevede lacrime e sangue per i suoi, e poi, prima che possa rimettersi dal jet lag, gli prepara due fra i giorni più caldi della sua vita. Questa è l’avventura di Ariel Sharon in queste ore in cui si susseguono centinaia di telefonate e incontri in cui il vecchio premier chiede disperamente voti. La scadenza è quella di domenica, quando comincerà il comitato centrale del Likud, il partito di destra di cui Sharon è il leader. La grande antipatia e persino l’odio che ormai regna in un largo settore del suo partito, un tempo abituato a considerarlo il leader che crea gli insedimenti e non quello che li distrugge, ha trovato un catalizzatore nell’ex ministro del Tesoro e ex primo ministro Benyamin Netanyahu, che insieme a un altro ex ministro, Uzi Landau, guida la rivolta per defenestrare Sharon da capo del partito e da primo ministro. Nentanyahu ha infatto convocato questo comitato con l’ordine del giorno di anticipare le primarie, quindi di dichiarare Sharon finito una volta sconfitto con i numeri, e quindi di avviarsi alle elezioni. Di fronte a questo disegno, ecco il grande dilemma di Sharon: se perde, sarebbe forse meglio per lui e per le sue idee lasciare il fedifrago Likud e avventurarsi verso la fondazione di un nuovo partito che, più a sinistra, raccogliesse i consensi di tutti quelli che sperano nella pace con i palestinesi. Per ora Sharon, secondo i sondaggi, raccoglie nel Likud un 40 per cento (contro l’anticipazione delle primarie), mentre a Netanyahu va il 45,5 per cento. L’11,5 non sa; il 2,7 non vuole rispondere. Ma gli elettori, i deputati, i ministri del Likud una cosa la sanno molto bene: se Sharon guiderà il Likud, alle prossime elezioni esso riceverà più del 40 per cento dei voti dell’elettorato; se invece Netanyahu dovesse essere il primo ministro designato, allora si andrebbe a meno di 30; se poi Sharon formasse un Likud numero due, il primo Likud potrebbe calare fino al record negativo di 13 seggi. Un vero e proprio suicidio politico. Per evitarlo, Netnayahu ha cercato in tutti i modi di estorcere a Sharon la promessa che resterà nel partito anche se lunedì (il giorno del voto nel comitato centrale) dovesse essere sconfitto. Ma naturalmente il premier si guarda bene dal promettere, e ripete che la vittoria sarà sua. La sinistra guarda speranzosa, paradossalmente alla possibile vittoria di Netanyahu: sarebbe l’unica porta aperta, in una breve prospettiva, verso il potere. Ma conviene perdere un leader della portata di Sharon? Gli uomini del Likud sanno che non si tratta solo di una frattura interna, ma un problema mondiale. Bush seguita a cercare di aiutarlo ripetendo, e ancora mercoledì l’ha fatto da Washington, che Sharon è un partner per la pace. In generale, ha un aspetto perverso e bizzarro il tentativo di far fuori un leader al culmine del successo. Ancora la parola «fine» non è stata scritta. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.