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Il Foglio Rassegna Stampa
23.09.2005 Nemici in Arabia Saudita, amici che vorrebbero tornare in Siria
realtà trascurate si impongono all'attenzione di Washington

Testata: Il Foglio
Data: 23 settembre 2005
Pagina: 4
Autore: Christian Rocca - Anna Barducci Mahjar
Titolo: «Washington si accorge che il nemico non è soltanto al Qaida, ma l’islamismo saudita - Bush accusa la Siria. L’opposizione in esilio già si organizza»
IL FOGLIO di venerdì 23 settembre 2005 pubblica a pagina 4 dell'inserto un articolo di Christian Rocca su un rapporto federale che "per la prima volta non fa sconti all'estremismo wahabita e ammette di non sapere se riad stia davvero facendo qualcosa contro il terrorismo".

Ecco il testo:

Gli Stati Uniti si sono accorti ufficialmente
che il loro nemico non è soltanto
al Qaida, ma soprattutto il culto salafita e
wahabita che è religione di Stato in Arabia
Saudita. Sono trascorsi quattro anni dall’11
settembre del 2001 e un anno da quando la
famosa Commissione d’inchiesta bipartisan
del Congresso non trovò nessuna prova persuasiva
che il governo saudita avesse finanziato
Osama bin Laden. Questa volta, come
ha svelato Stephen Schwartz sul Weekly
Standard, c’è un rapporto federale a suonare
come un atto d’accusa nei confronti del
regno saudita. Il Gao (Government Accountability
Office) è l’ufficio investigativo, di revisione
e di valutazione delle politiche federali
istituito al Congresso per migliorare
la performance del governo e assicurare ai
cittadini che lo Stato si assuma le responsabilità
delle proprie scelte. Su richiesta di
due Commissioni della Camera e del Senato,
il Gao ha condotto dal giugno 2004 al luglio
2005 un’inchiesta sulle azioni e sulle
strategie politiche che le varie strutture federali
hanno condotto per fronteggiare l’estremismo
islamico. Il risultato è un rapporto
di 27 pagine, cui ne seguirà un altro che
non sarà reso pubblico. Il documento si basa
su un’attenta ricognizione delle attività di
intelligence, delle strategie del dipartimento
di Stato, del Pentagono e delle agenzie di
aiuti. Al Gao era stato chiesto di determinare
che cosa stesse facendo Washington per
identificare, monitorare e sconfiggere "la
diffusione globale dell’estremismo islamico
con particolare attenzione al sostegno e al finanziamento
proveniente dall’Arabia Saudita".
E, inoltre, di capire l’efficacia delle
politiche di Riad contro l’estremismo. La relazione
del Gao ammette che gli Stati Uniti
ancora oggi non sono in grado di stabilire se
il governo di Riad abbia davvero limitato
finanziamento e il sostegno dell’estremismo.
Il regno wahabita aveva annunciato una serie
di misure interne per contrastare il terrorismo
e la propaganda estremista islamica,
ma non c’è alcuna certezza che queste
misure siano state davvero messe in atto.
La campagna di sostituzione dei libri di
testo fondamentalisti distribuiti nelle scuole
e nelle madrasse di tutto il mondo è stata
condotta in modo così vago che nessuna
struttura del governo americano può confermarne
il successo. Quanto ai finanziamenti
ai terroristi, la chiave di volta è il reticolo
di istituzioni benefiche (charity) su cui
si basa il welfare state islamico. Attraverso
le charity diversi sauditi finanziano le organizzazioni
terroriste e al Qaida. Il rapporto
del Gao ricorda il coinvolgimento di alcune
delle principali charity saudite sia in attività
estremiste sia in operazioni terroriste: tra le
prime c’è la Lega mondiale musulmana, l’International
islamic relief organization e l’Assemblea
mondiale della Gioventù islamica;
tra le seconde ci sono i nove uffici dell’Haramain
Islamic Foundation. Riad aveva promesso
la chiusura dell’Haramain, ma il governo
americano non può confermarla.
I sauditi hanno annunciato riforme su vasta
scala per controllare le attività delle charity
a partire dall’istituzione di una Commissione
nazionale attraverso la quale sarebbero
dovuti passare i finanziamenti sauditi
all’estero. Il dipartimento del Tesoro
americano ha spiegato che la Commissione
nazionale non è operativa. Al Gao, insomma,
risultano finanziamenti sauditi per propagandare
"l’intolleranza religiosa, l’odio per
valori occidentali e il sostegno ad attività
terroristiche" e, a fronte di dichiarazioni
buoniste dei regnanti locali, nessuna seria
ed efficace iniziativa per limitarli.
Il Gao è chiaro sulla definizione di estremismo
musulmano: è "l’ideologia islamica
che nega la legittimità degli infedeli e di altre
pratiche islamiche", cioè diverse da
quelle saudite. Questa ideologia, si legge nel
rapporto, "promuove esplicitamente l’odio,
l’intolleranza e la violenza". Dietro la diffusione di questo credo che le varie branche
del governo americano chiamano in modo
diverso (wahabismo, salafismo, jihadismo,
radicalismo, Islam militante, fondamentalismo)
c’è sempre un finanziamento esterno,
"specialmente dell’Arabia Saudita".
Non è la prima volta che Washington affronta
il problema saudita, ovvero l’imbarazzante
dossier degli stretti rapporti iniziati
nel 1945 sotto la presidenza di Franklin
Delano Roosevelt in funzione antisovietica
e di approviggionamento energetico. La strana
e pericolosa alleanza Usa-Arabia Saudita
ha storia, tradizione e fondamento ben
più serie delle caricature che si leggono sulla
stampa michaelmoorizzata a proposito
dei rapporti tra i Bush e i sauditi. Bill Clinton
e i suoi principali consiglieri, per esempio,
negli ultimi anni sono stati spesso ospiti
e consulenti della straordinaria macchina
di relazioni pubbliche che è il governo saudita.
E con loro c’è l’establishment politicofinanziario
americano che si è sempre opposto alla dottrina Bush in medio oriente.
Resta il fatto che la Casa Bianca è molto
ambigua rispetto a Riad: dopo l’11 settembre
Bush non aveva inserito l’Arabia Saudita
nell’Asse del male e oggi continua a
ostentare la sua amicizia con i vertici del
Regno. Ma, allo stesso tempo, li ha rimbrottati
nel discorso di inaugurazione del secondo
mandato proprio mentre il dipartimento
di Stato ha inserito l’Arabia Saudita
nell’elenco dei paesi che destano particolare
preoccupazione, poi tra i violatori dei diritti
umani, infine tra i paesi schiavisti. Un
altro rapporto di Freedom House per conto
del Congresso ha svelato la campagna razzista
e antioccidentale condotta dai sauditi
attraverso le pubblicazioni estremiste distribuite
nelle moschee americane. La stessa
cauta Commissione sull’11 settembre ha
definito il Regno saudita "un alleato problematico".
Il nuovo rapporto del Gao rinsalda
i problemi e indebolisce l’alleanza.
Nela stessa pagina troviamo anche l'articolo di Anna Barducci Majar "Bush accusa la Siria. L'opposizione in esilio già si organizza", che riportiamo:
Washington. La settimana scorsa l’ambasciatore
americano in Iraq, Zalmay Khalilzad,
aveva messo in guardia il presidente
siriano Bashar al Assad: "La pazienza
degli Stati Uniti nei confronti della Siria è
al limite. Sapete cosa intendo". Alle sue
parole sono poi seguiti gli ammonimenti
del segretario di Stato, Condoleezza Rice
e, ieri, del presidente George W. Bush: "La
loro risposta non è soddisfacente. Per rendere
sicura una frontiera serve collaborazione,
e quella che stiamo avendo da Damasco
è limitata". Washington non intende
allentare le pressioni sulla Siria e accusa
il regime di permettere ai terroristi d’infiltrarsi
in Iraq attraverso il suo confine
per destabilizzare il paese. Damasco, da
parte sua, smentisce, come nega anche le
sue implicazioni nell’assassinio dell’ex
premier libanese, Rafiq Hariri. Ma due giorni fa, proprio approfittando del clima
di pressioni internazionali, il commissario
delle Nazioni Unite incaricato di indagare
sul caso, il tedesco Detlev Mehlis, è arrivato
a bordo di un convoglio blindato nella
capitale della Siria, seguendo i numerosi
indizi in suo possesso che collegherebbero
l’omicidio di Hariri ai servizi segreti di Assad.
Secondo il quotidiano del Kuwait al
Seyassah, Mehlis è in possesso di una cassetta
– registrata dallo stesso ex premier libanese
con una speciale penna procuratagli
dai francesi – in cui Assad minaccerebbe
di morte Hariri, e, nel caso di una sua
opposizione, di distruggere il Libano in soltanto
"dieci minuti". La numerosa comunità
siriana negli Stati Uniti guarda con attenzione
l’evolversi della situazione. Farid
Ghadry, presidente del Reform party of Syria
a Washington, è una voce sempre più
ascoltata – sia dai politici in occidente sia
fra i giovani siriani negli Stati Uniti – che si
contrappone al presidente Assad e al contempo
anche alla numerosa opposizione siriana
formata dai Fratelli musulmani. "Dopo
gli attentati dell’11 settembre, io e altri
attivisti abbiamo pensato che dovevamo fare
qualcosa – dice Ghadry al Foglio – Il medio
oriente aveva bisogno di riforme, dovevamo
agire e l’unico modo era creare un
partito: un veicolo per la democrazia contro
l’autocrazia". Ghadry ha creato una rete di attivisti politici
siriani, che in questi ultimi anni hanno
collaborato sia con la Casa Bianca sia con
l’Unione europea per "spiegare la necessità
di un cambiamento di poteri nella regione".
In cooperazione con altri movimenti dell’opposizione,
il Reform party of Syria – dice
Ghadry – sta cercando inoltre di costituire
un Parlamento in esilio. Un’idea – riportata
anche da vari quotidiani arabi – che
sembra seguire lo sviluppo degli eventi a
Damasco: se come predicono i maggiori media
del medio oriente il regime di Assad cadrà
entro la fine del 2006, sarà necessario avere una nuova Assemblea dei deputati
transitoria fino alle prime elezioni legislative
nel paese. Il Reform party of Syria cerca
pertanto, sin da adesso, di offrire gli strumenti
necessari per un futuro processo di
democratizzazione a Damasco.
L’opposizione siriana aspettava da molto
tempo un passo falso del regime. Ora si prepara
a cogliere l’opportunità per mettere in
pratica il lavoro politico portato avanti dalla
capitale. "Il nostro partito, nonostante le
difficoltà dovute all’oppressione del regime
dittatoriale, è anche seguito e appoggiato in
Siria – dice Ghadry – Abbiamo intellettuali,
attivisti e studenti nella capitale che partecipano
da lontano alle nostre attività e che ci tengono aggiornati". Quando Ghadry inizia
a parlare di Beirut sorride, facendo capire
di sperare una rivoluzione dei cedri
anche per Damasco. "Molte persone sono
state assassinate in Libano per la loro opposizione
alla Siria – dice Ghadry – Il regime
non si tira indietro quando si tratta di
eliminare gli oppositori. Lo scopo della famiglia
Assad è intimidire i libanesi e di
soggiogarli ancora". Spiega che il suo partito
guarda però con ottimismo agli ultimi
sviluppi in medio oriente. L’Iraq, liberato
dall’ideologia Baath che governa Damasco
– dice il presidente del partito – in futuro
giocherà un ruolo di accelerazione per la
democrazia, in particolar modo in Siria. "Il
regime Assad alimenta il terrorismo e lo
sponsorizza – dice Ghadry – è così che fino
a oggi ha destabilizzato l’intera regione".
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