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Il Foglio Rassegna Stampa
22.09.2005 Londra e la fine del multiculturalismo
le contraddizioni di un modello tutto da rifare

Testata: Il Foglio
Data: 22 settembre 2005
Pagina: 3
Autore: Carlo Panella -un giornalista - Giancarlo Zucchelli
Titolo: «Dialogli interrotti - Tutto da rifare. Blair lancia la nuova (contro) commissione - Ora anche gli inglesi cominciano adibitare delle madrasse»
IL FOGLIO di giovedì 22 settembre 2005 pubblica a pagina 3 dell'insero l'articolo di Carlo Panella "Dialogli interrotti": "Allori per gli islamisti" recita il sottotitolo "manette per Sharon e i generali israeliani. Tutte le contraddizioni dell'Inghilterra".

Ecco il testo:

Roma. Ariel Sharon, premier israeliano, durante l’Assemblea generale dell’Onu a
New York, non accetta l’invito di Tony Blair per una visita di Stato in Gran Bretagna: teme di essere arrestato dalla polizia inglese all’aeroporto per presunti reati commessi in Israele durante la sua azione di contrasto al terrorismo. La notizia è abnorme, la fonte è autorevole – il Times, ed è stata poi ripresa e confermata dal Monde – la minaccia è credibile. La scorsa settimana il generale israeliano Doran Almog è sfuggito per un caso all’arresto
a Heathrow, ma la notizia non ha avuto alcun rilievo sui mass media. L’arresto
di Sharon è evidentemente vissuto nelle redazioni dei giornali europei come un’eventualità ammissibile, non suscita indignazione. Anzi. S’assiste così allo straordinario spettacolo di un’Inghilterra nella quale l’unico premier che ha sconfitto un’ondata terroristica – l’Intifada palestinese – e che ha costruito le condizioni politiche per l’affermarsi della leadership moderata di Abu Mazen nell’Anp, il premier che ha disposto il ritiro unilaterale da Gaza – con enormi costi politici – può essere arrestato a causa di una legislazione impazzita che attribuisce a un giudice inglese la possibilità di giudicare reati non commessi in Inghilterra, né contro cittadini britannici, da persone che non hanno la cittadinanza inglese. Questi reati, poi, sono indefiniti: riguardano "la violazione dei diritti dell’uomo", dicitura ambigua che apre la prospettiva a un’inquietante dimensione di governo planetario dei giudici. Si tratta di una violazione dei principi del diritto internazionale, dell’"habeas corpus" e del diritto al giudice naturale, come dimostra il caso del generale Almog, contro cui è oggi in vigore un mandato d’arresto di un magistrato londinese, per l’accusa di aver distrutto 59 case di palestinesi – vuote – durante un’operazione antiterroristica a Gaza, secondo una procedura praticata a Gaza e in tutta la Palestina proprio dalle truppe inglesi tra il 1918 e il 1948. Anche l’ex capo di Stato maggiore Moshè Yaalon, il suo successore Dan Haloutz e tutti
i comandanti che hanno diretto negli ultimi anni le operazioni a Gaza sono incriminati da giudici di Londra e, in alcuni casi, inseguiti da ordine di cattura. La magistratura inglese si sta arrogando il diritto di agire da "tribunale internazionale contro i crimini israeliani in Palestina", perseguendo i responsabili militari israeliani esattamente come la Corte dell’Aia fa con quelli serbi e croati. Sharon, scrive il Times, avrebbe affrontato il tema con un certo spirito baldanzoso di fronte a un contrito Tony Blair: "Mi piacerebbe molto visitare la Gran Bretagna; il problema è che, come il generale Almog, anch’io sono stato nell’esercito israeliano per molti anni. Anch’io sono un generale. Ho sentito dire che le prigioni del Regno Unito sono molto dure e non mi piacerebbe finirci dentro". Non è dato sapere la reazione di
Blair, ma dovrà rapidamente occuparsi del dossier perché – scrive l’israeliano Haaretz – Gerusalemme ha deciso di investire un milione di dollari per un piano di difesa dell’agibilità giuridica dei militari all’estero. La persecuzione giudiziaria inglese è impressionante non solo perché si verifica nella Londra degli attentati islamici del 7/7, ma perché è contemporanea alla celebrazione
del sindaco di Londra, Ken Livingstone, delle virtù di Yusuf al Qaradawi, teorico del terrorismo suicida contro i civili in Palestina, Iraq e Cecenia, e al primo parere espresso dalla Commissione antiterrorismo organizzata da Blair: la richiesta di abolire il giorno di commemorazione della Shoa. A questo punto gli interrogativi vanno al di là della critica al multiculturalismo e ai suoi rapporti con l’innesco del terrorismo in Eurabia. E’ necessaria una franca discussione su quanto questa concatenazione di scelte – gli allori per Qaradawi e Tariq Ramadan, le manette per i generali israeliani e Sharon – dipenda dall’antico antisemitismo di un’Inghilterra che fu pur sempre il primo paese europeo a espellere gli ebrei. Ma correva l’anno 1240, in pieno medioevo.
Sempre a pagina 3 dell'inserto si trovano l'articolo "Tutto da rifare. Blair lancia la nuova (contro) commissione", che riportiamo:
Londra. Il governo britannico è pronto a rifiutare le proposte elaborate dalla Commissione musulmana nominata il mese scorso per trovare delle soluzioni al problema dell’estremismo islamico in Inghilterra. Oggi il ministro dell’Interno, Charles Clarke, incontra ufficialmente il gruppo di lavoro, formato da personalità variegate della comunità musulmana, compresi il controverso professore Tariq Ramadan e il variopinto e convertito Cat Stevens. Secondo le indiscrezioni rivelate dal Times, l’incontro servirà soltanto a formalizzare il rigetto della più importante fra le idee elaborate dalla taskforce musulmana. Tra le diverse risposte per combattere l’estremismo fra i musulmani britannici, infatti, quella più importante prevede la creazione di una Commissione reale che indaghi su come e perché sono avvenuti gli attentati
terroristici di Londra. Insomma, una sorta di nuova "controcommissione". I membri del gruppo di lavoro – oltre ai già citati Ramadan e Cat Stevens, ci sono
rappresentanti di organizzazioni da alcuni considerate tutt’altro che moderate, come il Muslim Council of Britain – sono convinti che la politica estera del governo di Tony Blair – in particolare la guerra in Iraq – abbia giocato un ruolo importante nell’alienare le comunità musulmane dal resto della società britannica. Questo avrebbe contribuito a spingere gli elementi più influenzabili
nelle mani dei terroristi. L’idea è quindi che la Commissione reale possa servire a esplorare questi temi delicati, stimolando un dibattito che aiuti alcuni musulmani a risolvere il conflitto personale vissuto tra la fede e i valori rappresentati dal paese in cui vivono. L’esecutivo, però, teme che una simile Commissione non fornisca la risposta immediata che l’opinione pubblica si aspetta, soprattutto ora, dopo che sono emersi nuovi dettagli sull’organizzazione degli attentati del 7 luglio. Rimane aperta, invece, la possibilità dell’approvazione di altre proposte fra quelle avanzate dalla taskforce, fra cui quella di creare un’unità addetta al monitoraggio dei
mass media per controllare come l’islam e i suoi seguaci sono rappresentati. L’ufficio avrebbe il compito di contrastare stereotipi negativi e controbattere le visioni estremiste del Corano; un’altra proposta prevede l’introduzione dell’educazione civica nelle scuole musulmane per aumentare il senso di appartenenza alla Corona britannica; infine la creazione di un centro con il
compito di monitorare gli estremisti nel paese. Aspettando la presentazione ufficiale delle proposte del gruppo di lavoro musulmano, il ministro dell’Interno non è rimasto fermo. Realizzando uno dei 12 punti annunciati da Blair prima della pausa estiva, ieri Clarke ha presentato il progetto di una Commissione per l’integrazione. Il nuovo organismo – presieduto dal sottosegretario Hazel Blears – sarà aperto al dialogo con le minoranze religiose e servirà per proporre soluzioni alla crescente emarginazione di alcune parti della società. Intanto la capitale britannica è ripiombata nella paura. Mentre a Bruxelles veniva approvato il pacchetto antiterrorismo deciso e voluto dopo il 7 luglio, emergevano sempre nuovi dettagli – con tanto di immagini – sul commando delle bombe nella metropolitana londinese. Le immagini sono state scovate dalla polizia dopo aver setacciato più di 80 mila videocassette registrate sui mezzi pubblici londinesi. Risalgono a 10 giorni prima dell’attentato: la mattina del 28 giugno, tre dei quattro kamikaze hanno deciso di recarsi a Londra per quella che Scotland Yard ha definito una perlustrazione del teatro dell’azione terroristica. "Sappiamo che controllare i tempi, i luoghi e le misure di sicurezza fa parte della metodologia terroristica", ha dichiarato Peter Clarke, vicedirettore della Metropolitan
Police. Niente più dubbi, quindi, sulla piena consapevolezza dei giovani terroristi. Lontani dall’essere stati ingannati a portare le bombe – come suggerito in alcuni ambienti dietrologisti – le immagini provano che i kamikaze
hanno accuratamente pianificato la loro azione. Il fatto, però, che Hasib Hussain, unico dei quattro che si è fatto esplodere su un autobus, mancasse alla ricognizione, ha riacceso le speculazioni sul suo ruolo. Così come la rivelazione del ritrovamento di un quinto zaino contenente due bombe pronte a esplodere. La borsa era sotto un sedile della macchina con cui gli attentatori hanno raggiunto la stazione di Luton prima di prendere un treno che li ha portati nel cuore della capitale.
Inoltre, di Gianluca Zucchelli, "Ora anche gli inglesi cominciano adibitare delle madrasse":
Londra. Piedi scalzi, tuniche larghe e cappelli da preghiera. Gli allievi della London Islamic School durante la mattina studiano in inglese il programma ministeriale e, durante il pomeriggio, imparano a memoria le settantasettemila parole arabe scritte nel Corano. Sono cinque su un centinaio le scuole islamiche o madrasse che ricevono finanziamenti dallo Stato britannico. Le altre sono private e una di loro – il Feversham College di Bradford – è in testa
alla classifica nazionale delle scuole superiori "per valore aggiunto", cioè per il salto qualitativo fatto in un anno. La distribuzione geografica di queste scuole si espande da Londra (23 scuole) verso il centro e il nord: Birmingham, Bradford, Gloucester, Dewsbury, Manchester. "Le madrasse dovrebbero insegnare tutti gli elementi dell’islam, compreso il jihad", ha detto con candore all’Independent Anjem Choudry, leader uscente del gruppo islamista al Muhajiron, in cui militava anche lo sceicco Omar Bakri, il primo caso di espulsione (seppure involontaria: era andato a Beirut all’insaputa del governo
britannico, che poi gli ha impedito il ritorno), l’autore della frase : "I londinesi hanno comprato gli attentati del 7 luglio in un unico pacchetto votando Tony Blair". Ma anche per un radicale come Choudry un conto è la guerra santa, un altro è uccidere civili inermi: "Forse più religione a scuola e non meno è il modo di tenere a bada i terroristi". Tra studiosi e moderati è diffusa
l’opinione che "se gli attentatori avessero studiato nelle scuole islamiche non
avrebbero abbracciato queste ideologie estremiste". Lo dice il professore di studi islamici dell’università di Birmingham, Jorgen Nielsen, lo ripete Jamil Ahmed, governatore di sette scuole musulmane su dieci nel Regno Unito. Eppure almeno uno degli attentatori di Londra aveva frequentato una madrassa in Pakistan: la rivelazione ha seminato dubbi nell’opinione pubblica britannica
sulla legittimità della continua crescita delle scuole religiose. La prima scuola islamica in Gran Bretagna – col velo obbligatorio dai nove anni in su – nacque in pieno thatcherismo, nel 1982, grazie all’aiuto del cantante Cat Stevens, convertito all’islam. Superato il sospetto di essere una scuola dove si insegnava a fabbricare molotov, la Islamiya Primary School – con i suoi duecento allievi – riuscì nel 1993 a ottenere i finanziamenti statali. Poi, grazie anche alla politica laburista, altre quattro la seguirono. Simbolo del multiculturalismo blairiano, la Islamiya è diventata uno dei luoghi del trauma dopo l’11 settembre e ancor di più dopo il 7 luglio. "Come nei divorzi – racconta un insegnante – i bambini si colpevolizzano e noi cerchiamo di liberarli delle loro ansie facendoli parlare in classe di cosa accade nel mondo". Impietosi i media britannici inseguono i ragazzi davanti alle scuole
statali di ghetti musulmani come Luton e Bradford ogni qualvolta i fatti di cronaca pongono un conflitto di identità. Secondo alcuni, è una manifestazione d’islamofobia. Il bersaglio è un milione e 600 mila cittadini britannici, di cui l’88 per cento, secondo un sondaggio della Bbc, tifa l’Inghilterra nelcricket e ritiene essenziale imparare l’inglese. Soltanto il 18 per cento afferma che l’islam non è compatibile con la democrazia. Su un campione di oltre mille intervistati, il 57 per cento è favorevole alle scuole islamiche
e il 67 alle scuole cristiane; il 64 per cento trova giusto che le scuole confessionali siano finanziate dallo Stato. Su un campione più ristretto, composto soltanto da islamici, il 79 per cento risulta favorevole all’ingresso
dei cristiani nelle scuole musulmane. Di fatto, non ce ne sono. Il capo degli ispettori scolastici Ofsted, David Bell, ha lanciato accuse alle madrasse: "Sfidano la coerenza dell’identità nazionale". Ma il Muslim Council ha obiettato che solo il 3 per cento dei bambini musulmani va in scuole islamiche e ha bollato le dichiarazioni di Bell come irresponsabili. Il fenomeno delle madrase però è avvertito come un problema anche da intellettuali
islamici moderata, come Maruf Khwaja, che sostiene che per troppo tempo le autorità hanno chiuso un occhio e i talebani si sono aperti un varco. Per le madrasse adesso non c’è più medicina: secondo Khwaja andrebbero chiuse, in attesa di rifarne di nuove a prova di fedeltà democratica.
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