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Il Giornale Rassegna Stampa
22.09.2005 Terroristi alle elezioni? Non è "democrazia"
come pensa invece Gian Micalessin

Testata: Il Giornale
Data: 22 settembre 2005
Pagina: 12
Autore: Gian Micalessin
Titolo: «Guerra di Israele ad Hamas: non deve votare»
IL GIORNALE di giovedì 22 settembre 2005 pubblica un articolo di Gian Micalessin sul confronto tra Israele e Stati Uniti circa la partecipazione di Hamas alle elezioni palestinesi.
Fin dall'esordio ("La ricetta americana per il Medio Oriente basata sulla lotta al terrorismo e sull'avvio di libere elezioni democratiche nella regione è alle prese con l'imprevista incognita delle elezioni palestinesi del prossimo gennaio. Per il premier israeliano Ariel Sharon l'interpretazione della regola è semplice. È più importante combattere il terrorismo e dunque bisogna impedire lo svolgimento del voto fino a quando Hamas non rinuncerà alle armi e ai suoi propositi di «distruzione dello Stato sionista»") Micalessin mostra di considerare invalide le ragioni di Israele, senza argomentare la sua posizione.
In realtà, com'è evidente, non è possibile considerare realmente democratiche elezioni nelle quali le "forze politiche" concorrenti dispongono di armi e di un' organizzazione militare, che evidentemente potrebbero influenzare l'esito della consultazione.
Tra democratizzazione e lotta al terrorismo non è affato necessario stabilire delle priorità: l'una non può avvenire senza l'altra.

Ecco il testo:

La ricetta americana per il Medio Oriente basata sulla lotta al terrorismo e sull'avvio di libere elezioni democratiche nella regione è alle prese con l'imprevista incognita delle elezioni palestinesi del prossimo gennaio. Per il premier israeliano Ariel Sharon l'interpretazione della regola è semplice. È più importante combattere il terrorismo e dunque bisogna impedire lo svolgimento del voto fino a quando Hamas non rinuncerà alle armi e ai suoi propositi di «distruzione dello Stato sionista».
L'assioma espresso da Sharon dopo la partecipazione al summit dell'Onu - un assioma che fa salira nuovamente la tensione nei Territori - è stato riproposto ieri dal ministro agli Esteri Sylvan Shalom. Ma a destituirlo di ogni fondamento ci pensa il segretario di Stato americano Condoleezza Rice che ribadisce l'importanza di favorire il processo elettorale palestinese. L'amministrazione americana per salvare la propria ricetta si ritrova, insomma, a sostenere la legittimità delle candidature di Hamas al nuovo parlamento di Ramallah.
E Hamas, in campagna elettorale sin dal ritiro israeliano da Gaza, rilancia annunciando di voler utilizzare l'edificio che ospitava la sinagoga dell'insediamento di Netzarim per allestire una mostra sulla «lotta alle forze d'occupazione sionista». In pratica l'ex sinagoga, svuotata dalle autorità religiose israeliane e data poi alle fiamme dalle folle palestinesi, ospiterà per tre giorni le armi, le cinture esplosive e le immagini degli attentatori suicidi delle Brigate Ezzedin Qassam, la struttura militare dell'organizzazione fondamentalista.
L'annunciata occupazione dell'ex sinagoga per organizzarvi la mostra è, di fatto, un'altra sfida all'Autorità Palestinese a cui spetta, in teoria, il completo controllo di territori ed edifici abbandonati dagli israeliani.
Il faccia a faccia sulle elezioni palestinesi tra il ministro degli Esteri israeliano e il segretario di Stato americano s'innesca dopo un'intervista alla radio israeliana. «Non permetteremo - ribadisce Shalom - che Hamas partecipi alle elezioni, non forniremo all'Autorità Palestinese né assistenza né aiuto se Hamas, un'organizzazione che rifiuta di riconoscere l'esistenza dello Stato d'Israele e ne chiede la distruzione, parteciperà alle elezioni». A mettere in riga il governo israeliano ci pensa il segretario di stato Condoleezza Rice chiarendo immediatamente il punto di vista americano sulle elezioni per il rinnovo del parlamento di Ramallah.
«Sarà un processo palestinese», chiarisce la Rice dopo un incontro con il cosiddetto Quartetto, l'entità diplomatica formata da Usa, Russia, Unione Europea e Nazioni Unite per sviluppare il processo di pace medio-orientale.
«Penso si debba dare ai palestinesi un po' di spazio per permettere l'evoluzione del loro processo politico. Speriamo – ha aggiunto la Rice - che quelle elezioni possano arrivare a compimento e che ciascuno lavori per renderle possibili».
L'amministrazione Usa contesta anche l'interpretazione israeliana del documento in cui il Quartetto chiarisce che «alla fine chi partecipa al processo politico è tenuto ad evitare qualsiasi coinvolgimento con gruppi armati o milizie». Dal punto di vista israeliano quel passaggio rafforzava le tesi di Sharon e Shalom.
Ma secondo un diplomatico americano reduce dalla riunione del Quartetto «la parola alla fine è stata scelta con attenzione» proprio per evidenziare le fasi del processo.
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