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La Stampa Rassegna Stampa
21.09.2005 La miglior difesa è la resa, la peggiore aggressione è la difesa dell'Occidente
Michelangelo Bovero sulla guerra al terrorismo

Testata: La Stampa
Data: 21 settembre 2005
Pagina: 27
Autore: Michelangelo Bovero
Titolo: «Le bombe come difesa preventiva? Un non senso»
LA STAMPA di mercoledì 21 settembre 2005 pubblica un estratto della realzione che Michelangelo Bovero, politologo dell'Università di Torino terrà il 22 settembre in apertura del convegno "Gli squlibri del terrore".

Ecco il testo:

IL concetto di difesa preventiva è di per sé ambuigo e scivoloso. Quale difesa, quale prevenzione? E da che cosa? Contro chi? Nel caso specifico della risposta ad attentati terroristici, per quanto spaventosa ne sia la portata e la gravità, è anzitutto contestabile che la difesa preventiva possa o debba consistere nella guerra. È lecito difendersi dal terrorismo con i bombardamenti? Come giudicheremmo, ad esempio, la decisione di combattere la mafia bombardando una città o una regione in cui essa si fosse radicata, eventualmente anche con la protezione e la connivenza del ceto politico locale? Ed è sensato reagire con la guerra ad attentati terroristici per prevenirne altri?
In primo luogo, la stessa espressione «guerra al terrorismo» può al massimo avere un significato metaforico, appunto come «guerra alla mafia»: se intese in senso non metaforico, queste formule sono entrambe assurde. Il terrorismo non è un soggetto contro il quale sia logicamente e materialmente possibile muovere una guerra. E infatti, le due imprese belliche sinora scatenate sotto l'emblema assurdo della «guerra al terrorismo» sono state condotte, e non poteva essere altrimenti, contro Stati e regimi politici, l'Afghanistan dei taleban e l'Iraq di Saddam, accusati con o senza fondamento di corresponsabilità con le organizzazioni del terrore (sappiamo che nel caso iracheno quel fondamento era del tutto inesistente).
Non è possibile in effetti, fare guerra al "terrorismo" inteso come "tecnica" . Non è possibile fare guerra a un strumento. Invece, è ovviamente possibile combattere con mezzi militari le organizzazioni che fanno uso del terrorismo, e anche gli stati che le proteggono e le finaziano, passaggio non risolutivo, ma indispensabile.
La scelta di una risposta militare al terrorismo, di per sè legittima, diventa una chiara necessità quando la minaccia terroristica assume dimensioni "catastrofiche". La violenza scatenata l'11 settembre aveva evidentemente una portata bellica, ovvero commisurata all'obiettivo della distruzione del nemico. E i veri esperti di terrorismo, per esempio Walter Laquerur, avvertono, inascoltati da professori universitari persi in astrazioni accademiche e da giornalisti intrisi di pregiudizi ideologici, che i rischi che corriamo sono tali che al confronto il ricordo dell'11 settembre potrebbe impallidire.
Davvero Bovero pensa che fare la guerra a chi progetta un bombardamento atomico delle nostra città sia un'assurdità?

Inoltre è falso che "nel caso iracheno quel fondamento (il legame del regime con il terrorismo) era del tutto inesistente".
Al contrario i legami del regime baathista con il terrorismo legato ad Al Qaeda operante in Kurdistan sono certi e documentati prima della guerra, come pure i finanziamenti al terrorismo palestinese. Certi sono pure contatti e prospettive di collaborazione con agenti di Al Qaeda.

In secondo luogo, e di conseguenza, il terrorismo non può essere «sconfitto» nello stesso senso in cui diciamo che si può sconfiggere uno Stato o abbattere un regime. Né dalla sconfitta di un certo Stato o regime consegue di per sé la «sconfitta» del terrorismo: quand'anche una centrale del terrore fosse insediata nel territorio di uno Stato, sconfitto con una guerra quello Stato l'organizzazione terrorista può migrare altrove, o se smembrata può rigenerare ovunque altri organismi dai tronconi sopravvissuti - un po' come succede a certe strane specie animali.
Il terrorismo deve essere sconfitto anche politicamente, e la distruzione delle sue basi e dei suoi santuari nei paesi che lo appoggiano è solo una parte dell'opera di smatellamento delle sue reti. Tuttavia, nessuna lotta al terrorismo può essere efficacemente condotta senza includere una dimensione militare, e lasciando che i terroristi abbiano dei luoghi in cui possono ritenersi al sicuro e dei generosi contribuenti.
In terzo luogo, e per di più, con le devastazioni e i massacri indiscriminati provocati dalle guerre di «difesa preventiva» si creano le condizioni più favorevoli alle organizzazioni del terrore, ramificate ormai in ogni parte del globo, per guadagnare sempre nuovi proseliti alla propria causa, a questo o quel credo fondamentalista, alla «guerra santa» contro l'Occidente, e al rovesciamento di certi regimi considerati «conniventi» con il Nemico. Almeno dopo l'Iraq, dovrebbe risultare evidente a chiunque che una simile difesa preventiva non previene proprio nulla: il terrorismo non ne risulta estirpato, bensì alimentato.
Nient'affatto: non esiste alcuna relazione causale tra la guerra in Iraq e il terrorismo attuale. Il terrorismo esisteva prima della guerra e avrebbe continuato ad esistere senza di essa.
Inoltre, il punto cruciale non sono i relativi vantaggi che l'azione di risposta al terrorismo può arrecare a quest'ultimo (per esempio, e la cosa resta da dimostrare, facilitando gli aurolamenti).
Il terrorismo islamista, per la sua natura ideologica, costituirà un minaccia fino ache non sarà sconfitto.
Perciò soltanto il raggiungimento di questo obiettivo, per il quale è necessario combattere, con tutti i rischi del caso, potrà garantire la nostra sicurezza.

Insomma: la guerra come forma di difesa preventiva contro il terrorismo è irrazionale in tutti i sensi. Dunque, o chi la sostiene è un insensato, perché si serve di un mezzo inadatto allo scopo dichiarato, oppure quel mezzo in realtà serve a un altro scopo, non dichiarato. La difesa preventiva è una figura retorica, cui si è sempre fatto ricorso per procurare legittimazione a guerre offensive.
Ecco la conclusione che è in realtà la premessa occulta del ragionamento di Bovero. La difesa dell'Occidente dal terrorismo è in realtà, per lui, un'aggressione.

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