Condannare poliziotti israeliani presi a caso? è la "giustizia" secondo il quotidiano comunista
Testata: Il Manifesto Data: 20 settembre 2005 Pagina: 7 Autore: Michele Giorgio Titolo: «Tredici morti, senza giustizia»
IL MANIFESTO di martedì 20 settembre 2005 pubblica a pagina 7 l'articolo di Michele Giorgio "Tredici morti, senza giustizia". Il sottottitolo spiega "Israele "Non condannabili" gli agenti che uccisero 13 palestinesi. Sdegno rìtra gli arabi della Galilea che annunciano: sciopero generale" Soltanto nell'articolo si viene a sapere che gli agenti non sono "condannabili" in quanto, secondo le autorità israeliane "non identificabili" (ma la tesi è è presentata ovviamente con molto scetticismo. Secondo il quotidiano comunista bisognava condannare qualche poliziotto israeliano a caso?
Nassun cenno viene fatto che durante le "proteste" degli arabi israeliani, di cui si ammette il carattere violento e durante le quali anche un automobilista ebreo israeliano trovo la morte, avevano tagliato in due una delle principali vie di comunicazione del paese, prprio nel momento dell'erompere della "seconda intifad". Si era dunque di fronte a una vera e propria minaccia alla sicurezza di Israele, non semplicemente a scontri di piazza.
Ecco l'articolo: «Non ci resta che la protesta. Chiedo a tutti gli israeliani ebrei realmente democratici di unirsi a noi». Non riusciva a trattenere le lacrime ieri Jamila Assileh. Per cinque anni la donna si è tenuta dentro sentimenti di dolore e rabbia ma ha sempre creduto di poter avere giustizia per il figlio ucciso dalla polizia cinque anni fa, assieme ad altri 12 giovani palestinesi israeliani, durante le manifestazioni esplose in Galilea nei giorni successivi all'inizio (28 settembre) dell'Intifada contro l'occupazione di Cisgiordania e Gaza. Ora è delusa ed esausta. «Lo Stato di Israele ci chiede di essere cittadini fedeli ma, allo stesso tempo, non ci garantisce giustizia e uguaglianza», ha commentato Jamila con amarezza. A cinque anni dalle proteste arabe in Galilea, domenica lo Stato ha comunicato che non è più possibile identificare i singoli responsabili di ciascun evento e di conseguenza non ci saranno incriminazioni di agenti. È questa la conclusione del rapporto pubblicato da «Mahash» (acronimo ebraico di «Dipartimento per la investigazione degli agenti» del ministero della giustizia), incaricato di indagare sulle uccisioni dei 13 palestinesi israeliani (1,3 milioni, circa il 20% della popolazione). «Non dobbiamo rassegnarci - ha esortato il deputato Azmi Bishara, uno degli esponenti di punta della minoranza palestinese - lo Stato non può giocare con la vita dei cittadini arabi».
Il Consiglio supremo arabo ieri è rimasto riunito tutto il giorno. Il suo presidente Shawki Khatib proclamerà, forse già oggi, uno sciopero generale all'inizio di ottobre. Le indagini di «Mahash» erano state formalmente chieste due anni fa dalla commissione di inchiesta, presieduta dal giudice Teodoro Orr, che a conclusione dei suoi lavori si era astenuta dall'ordinare provvedimenti punitivi concreti contro i poliziotti dal grilletto facile e si era limitata a fare delle «raccomandazioni». I componenti di «Mahash» si sono detti impotenti, perché non hanno potuto raccogliere le prove. In Galilea cinque anni fa per alcuni giorni gruppi di giovani dimostranti riuscirono a bloccare alcune strade, soprattutto nella zona del cosiddetto «Triangolo arabo»: ci furono 14 vittime, 12 palestinesi israeliani, un automobilista ebreo israeliano e un palestinese di Gaza. Le proteste furono violente ma in nessun caso, come hanno accertato sia la commissione Orr che «Mahash», i dimostranti fecero uso di armi da fuoco.
«Mahash» dice di aver cercato di far luce sulle uccisioni ma i congiunti delle vittime non hanno collaborato alle indagini e alcuni testimoni si sarebbero rifiutati di deporre. Questa versione contrasta con quella fornita da Adalah, un centro per la difesa dei diritti dei palestinesi in Israele, i cui responsabili hanno riferito che è stato proprio «Mahash» a sottrarsi sistematicamente ai suoi doveri: «Fin dall'inizio di ottobre il dipartimento ricevette quattro autopsie di vittime ma non fece niente». Adalah sostiene che il primo ministro laburista Ehud Barak «non mantenne uno stretto controllo sulle operazioni della polizia», in particolare sul ricorso ai cecchini che furono i principali responsabili delle uccisioni. «Mahash» invece ha trovato «giustificabile» il ricorso ai tiratori scelti. Cinque anni fa perciò non è accaduto nulla: 13 cittadini palestinesi sono stati uccisi, nessuno di loro aveva un'arma ma avevano scandito slogan, lanciato pietre e bloccato strade. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita