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La Repubblica Rassegna Stampa
13.09.2005 Tra polemiche ed amnesie selettive Viola non si smentisce
in una risposta a Piero Ostellino che non convince per nulla

Testata: La Repubblica
Data: 13 settembre 2005
Pagina: 1
Autore: Sandro Viola
Titolo: «La questione morale di Gerusalemme»
Viola si è sentito punto sul vivo dall' editoriale di Piero Ostellino
(Corriere della Sera del 12 settembre, "I palestinesi dimenticati") che ha
accusato la sinistra di aver trascurato di criticare la leadership
palestinese per dedicarsi a tempo pieno alle accuse nei confronti di quella
israeliana.
Certamente, Viola, qualunque sia il suo riferimento partitico, scrive da
tempo immemorabile su un quotidiano cosiddetto di sinistra (qualcuno lo
definisce diversamente), e da tempo immemorabile segue cocciutamente questa
linea di condotta così ben descritta ed evidenziata da Ostellino. Che ora,
morto Arafat, di tanto in tanto Viola senta l'esigenza di spendere qualche
debole accenno critico nei confronti della leadership di chi osannava in
vita - e lo fa anche in questo articolo - non dimostra buona fede o acume
politologico, ma unicamente quel mellifluo "senno di poi" con il quale a
sinistra si sente talora dire oggi "ci eravamo sbagliati" , oppure "abbiamo
esagerato un pò".
Ma entriamo nel merito di quanto scrive Viola.
L'approccio con il tema è brusco: si deve essere pro-palestinesi perché si
tratta di "un popolo da quasi quarant'anni sotto occupazione militare". Già,
ma perché? Su questa domanda Viola, come sempre fa, tace.Che si sia trattato
della conseguenza di guerre scatenate da arabi e palestinesi per annientare
Israele, e che arabi e palestinesi per decenni abbiano rifiutato di trattare
con Israele o di riconoscere il diritto di Israele ad esistere non ha alcuna
importanza per questo giornalista affetto da amnesia cronica.
Per Viola è "facile dimostrare" che i palestinesi non hanno sofferto a causa
della corruzione, del malgoverno, della violenza dei propri dirigenti ma
solo a causa di Israele. Aveva sempre ragione la sinistra, afferma Viola, a
prendersela col solo Israele. Anzi, rincara, la sinistra ha sempre saputo
(parole sue) che "la caparbietà" della politica "intransigente" d' Israele
avrebbe portato come conseguenze "squilibrio demografico, crescita
dell'integralismo islamico, esplosione terroristica". In altre parole: se
esistono l' integralismo islamico ed il terrorismo la colpa è del solo
Israele, la cui politica ne è la sola causa.
Certo, è vero che "i cervelli più lucidi e coraggiosi" (solo i cervelli che
piacciono a Viola sono lucidi e coraggiosi, gli altri, si chiamino pure Elie
Wiesel, sono offuscati e vigliacchi) d' Israele erano sulle posizioni della
sinistra occidentale. Ma è altrettanto vero che Viola potrebbe passare i
prossimi vent' anni nel cercare cinque, dicesi cinque, "cervelli lucidi e
coraggiosi" sul versante arabo senza riuscire a trovarli.
La sostanza di cui si nutrono gli articoli di Viola sempre la medesima:
premesse false, cancellazione dei contesti storico-politici, silenzio sulla
mancanza di volontà di pacificazione da parte dei nemici di Israele, e
conclusioni inevitabilmente faziose e false.
Con giornalisti di questa risma c'è poco da stupirsi se poi Ostellino ed
oramai molti altri "cervelli lucidi e coraggiosi" trovano con facilità
valide argomentazioni per mettere a nudo le ipocrisie e le manipolazioni di
una certa sinistra occidentale.

Ecco l'articolo:

In un suo articolo sul Corriere della Sera, Piero Ostellino rimproverava ieri alla «sinistra internazionale» d´aver brandito come una clava il problema palestinese al solo scopo di «mettere sotto accusa Israele». Le sventure subite dai palestinesi sarebbero state quindi evocate, descritte, spinte sotto gli occhi dell´opinione pubblica, non per senso di giustizia e solidarietà verso un popolo da quasi quarant´anni sotto occupazione militare, bensì per stendere una cortina fumogena dietro la quale era facile intravedere il pregiudizio anti-israeliano, se non addirittura antisemita.
Mentre la responsabilità di quel che hanno sofferto e soffrono i palestinesi, non è di Israele: è della loro classe dirigente, incapace e corrotta, oltre che degli Stati Arabi.
Le cose non stanno così, ed è assai facile dimostrarlo. Quel che sta avvenendo oggi in Israele, le svolte nella politica di governo e negli orientamenti dell´elettorato che si sono manifestate con il ritiro da Gaza e la formazione d´una maggioranza favorevole all´abbandono di quasi tutti i Territori occupati, corrisponde esattamente a quel che la sinistra chiedeva da un paio di decenni ad Israele.
Sharon e la società israeliana sono oggi, infatti, più vicini alle posizioni di chi ne aveva osteggiato la politica dei fatti compiuti, l´intransigenza nei confronti dei palestinesi, che non alle posizioni di chi ne aveva spalleggiato senza mai dubbi o ripensamenti, la scelta miope, catastrofica, d´una politica della forza. In altre parole, Israele sembra avviarsi proprio sulla strada raccomandata da chi criticava la condotta dei suoi governi: e cioè fine dell´occupazione, negoziato con i palestinesi, compromesso territoriale che consenta la nascita d´uno Stato di Palestina.
Non era quindi per «mettere sotto accusa Israele» che la sinistra indicava la via d´uscita dalla occupazione dei Territori, ben sapendo quali pericoli (squilibrio demografico, crescita dell´integralismo islamico, esplosione terroristica) potessero venire dalla caparbietà con cui le destre politiche e religiose israeliane si rifiutavano di restituire un solo metro della terra di Eretz Israel. E qui parlo, beninteso, di sinistra democratica: non certo della canea inscenata nelle piazze dagli Agnoletto, Casarini e altri «no global», né della «sinistra internazionale» cui allude Ostellino, che non so bene cosa sia. Sto parlando di quei vasti settori dell´opinione pubblica europea rappresentati da giornali come questo su cui scrivo, o il Guardian, il Monde, il País.
Del resto, l´orientamento di quei settori dell´opinione pubblica europea per così dire «di sinistra», veniva in parte dai giudizi che davano sul conflitto israelo-palestinese i cervelli più lucidi e coraggiosi d´Israele: grandi scrittori come Amos Oz, David Grossman e Abraham Yehoshua, filosofi come Avishai Margalit e Menahem Brinker, storici come Ehud Sprinzhak, David Sternhell e Tom Segev, e la schiera dei giornalisti di Haaretz. Tutta gente che non intendeva certo «mettere sotto accusa» il proprio paese, ma solo dissociarsi dalla linea politica dei suoi governi.
Da anni, ormai il tema principale nelle critiche di questi israeliani alla loro classe politica, era proprio il problema palestinese. L´umiliazione degli abitanti dei Territori occupati, le loro terre progressivamente sottratte per l´ampliamento delle colonie e la costruzione del Muro, le violenze fisiche subite da parte dei coloni, e quelle psicologiche sofferte con la demolizione delle case, le file interminabili ai posti di blocco, i lunghi coprifuoco.
E infatti non è un caso che nel corso dell´infuocato dibattito svoltosi alla vigilia e nel corso del ritiro da Gaza, nel confronto tra i due Israele – da una parte i favorevoli al ritiro, dall´altra il sionismo religioso e l´estrema destra politica – , l´intelligentsija israeliana sia ricorsa sovente al concetto d´una questione morale.
Sostenendo che la frattura emersa nella società d´Israele non era tanto politica, ormai, quanto morale. Nel senso che l´occupazione stava facendo marcire le fondamenta etiche dello Stato, che la politica forsennata degli insediamenti aveva inquinato i valori originari del sionismo, e che solo il ritiro dai Territori avrebbe potuto evitare che la politica dei governi di Gerusalemme si configurasse definitivamente come una politica coloniale.
Questo per chiarire che la sorte disgraziata dei palestinesi non è solo colpa, come argomenta Ostellino, dei loro dirigenti. Poi, certo, si può parlare di queste colpe.
Della corruzione, del nepotismo, della disastrosa inefficienza dimostrata tra il ´94 e il 2000, quando Gaza e una parte della Cisgiordania vennero affidate – in base agli accordi di Oslo – all´Autorità palestinese. Si può parlare della loro incapacità di tenere la situazione sotto controllo, come s´è visto ieri con la stupida, anzi barbara, distruzione delle sinagoghe a Gaza. E soprattutto non va dimenticata la doppiezza di Arafat durante la Seconda Intifada, il suo calcolo obbrobrioso di lasciare via libera al terrorismo dei kamikaze nell´intento di vincere la partita sul terreno.
Ma la questione palestinese, l´ingiustizia subita da questo popolo, restava e resta al di là degli errori e deficienze della sua classe dirigente.
Una questione morale all´interno della contesa tra i due nazionalismi, che la sinistra ha fatto bene, negli anni, a non perdere di vista.
E che oggi è finalmente al centro del dibattito politico in Israele, la premessa d´una sconfitta delle destre oltranziste, il primo, vero avvio d´una soluzione del conflitto.
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