Per l'Anp Israele ancora non esiste la disastrosa eredità politica di Arafat nelle proteste contro l'apertura pakistana
Testata: Il Foglio Data: 07 settembre 2005 Pagina: 2 Autore: un giornalista Titolo: «Musharraf frena l'apertura a Israele, ma l'Anp non smette di preoccuparsi»
Da pagina 2 dell'inserto del FOGLIO di mercoledì 7 settembre 2005, riportiamo un'analisi delle proteste palestinesi contro l'apertura del Pakistan a Israele.
Ecco il testo: Roma. Nabil Shaath, vice premier dell’Autorità nazionale palestinese, ha subito criticato l’iniziativa del Pakistan che, con la mediazione del leader turco Tayyp Erdogan, ha avviato a Istanbul contatti con il governo israeliano del primo ministro Ariel Sharon, per definire le modalità del riconoscimento da parte di Islamabad dello Stato d’Israele. A dir la verità, i toni di questa apertura pachistana sono già cambiati: il presidente Pervez Musharraf ha detto che "non pensa di incontrare" Sharon a New York in occasione del 60° anniversario delle Nazioni Unite. Nonostante la smentita pachistana, l’Anp continua a essere agitata: "Siamo preoccupati perché non è questo il momento di instaurare relazioni con Israele – ha detto Shaath – Lo sarà quando si ritirerà da tutti i Territori occupati nel 1967 e risolverà il problema dei rifugiati". Il vice di Abu Mazen ha così ribadito le responsabilità palestinesi nella mancata nascita di un futuro Stato e ha dato il segno di quanto pesi ancora sulla leadership dell’Anp l’eredità negativa dell’ex rais Yasser Arafat. Il riconoscimento dell’esistenza d’Israele non è negoziabile, non soltanto perché i governanti di Gerusalemme si rifiutano di farlo, ma anche e soprattutto perché la piena, assoluta e totale legittimità del paese è sancita da un voto dell’Assemblea generale dell’Onu (l’assemblea plenaria, non il Consiglio) del 29 novembre 1947 ed è un caposaldo della legalità internazionale (anche se è negato da 19 paesi arabi su 23). Ma, nel 2005, il vice premier dell’Anp non si è ancora reso conto che una trattativa con Gerusalemme per barattare il riconoscimento del diritto alla vita d’Israele con contropartite è un "monstrum" diplomatico, che è stato reso possibile soltanto dalla complice sponda dell’Urss, ma che è decaduto nel 1989, quando la potenza sovietica è implosa. Nabil Shaath non ha preso atto che l’unica strategia che avrebbe permesso all’Olp di ottenere uno Stato palestinese è quella disegnata dall’ex presidente egiziano Anwar al Sadat, che fece un gesto simbolico di rottura, andando nel 1977 a parlare alla Knesset per dare una concreta e visiva prova del pieno riconoscimento del diritto di vita dello Stato degli ebrei e che, soltanto dopo quella visita, iniziò una tesa trattativa con il governo di Menachem Begin, che si concluse con gli accordi di pace di Camp David del 1979, la restituzione del Sinai e la definizione dei confini riconosciuti. Arafat minacciò subito di morte Sadat (fu poi accontentato due anni dopo) e organizzò con l’ex dittatore iracheno Saddam Hussein, il presidente libico Muammar Gheddafi e quello siriano Hafez al Assad il "Fronte del rifiuto"contro ogni tipo di negoziato di pace con Israele, continuando la sua politica terroristica. Oggi Nabil Shaath ripropone lo stesso schema strategico di Arafat, provando così al mondo che, mentre Israele con Sharon sa "fare il gesto", ovvero rompere l’inerzia e compiere sacrifici, il mondo politico palestinese è chiuso nel suo piccolo orizzonte di sempre. Questa impotenza risalta ancora di più a fronte di un’iniziativa come quella pachistana, favorita da un’accorta regia turca e che riserva altre sorprese nella stessa direzione. Erdogan, avendo assunto da pochi mesi la presidenza dell’Oci, l’Organizzazione della conferenza islamica formata da 56 paesi musulmani, dimostra ora di avere intenzione di usarla per dare un forte segno personale all’evoluzione del medio oriente. Il premier turco offre infatti un aiuto forte e convinto al processo costituzionale in Iraq (ed è il leader di un partito esplicitamente sunnita alla guida del più grande paese sunnita del Mediterraneo) e lancia un’offensiva diplomatica tesa a offrire a Israele il riconoscimento senza contropartite da parte di fondamentali paesi islamici, su cui avviare in un secondo momento una stretta negoziale con il governo di Gerusalemme. E’ la stessa strategia che l’ex presidente tunisino, Habib Bourghiba, propose 40 anni fa, l’11 marzo 1965, nella capitale giordana di Amman, e che fu allora respinta. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.