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Il Mattino Rassegna Stampa
06.09.2005 Falsità e omissioni: è l'informazione su Israele
sul quotidiano napoletano

Testata: Il Mattino
Data: 06 settembre 2005
Pagina: 9
Autore: Sergio Buonadonna - un giornalista
Titolo: «Adesso la pace dipende anche dai palestinesi - Nuovi insediamenti in Cisgiordania»
IL MATTINO di martedì 6 settembre 2005 pubblica a pagina 9 un articolo di Sergio Buonadonna, intitolato «Adesso la pace dipende anche dai palestinesi». un'intervista ad Abraham B. Yehoshua.
Buonadonna definisce Sharon "il militare che in nome della Eretz Israel si sporcò con la strage di Sabra e Chatila": una frase che torna ad attribuire falsamnte a Sharon la responsabilità della strage di Sabra e Chatila eche per di più gli attribuisce fantasiosamente un assurdo movente, ovvero l'attaccamento a Eretz Israel.

Ecco il testo:

«Quando due anni fa andai per la prima volta da Sharon e gli proposi lo smantellamento degli insediamenti, lui mi rispose: mai, assolutamente. Ora invece comincia a farlo. Dunque penso che gli scrittori vedano i muri, ma i politici ci devono sbattere contro». Era il mese di novembre dello scorso anno quando in un teatro di Genova, Abraham B. Yehoshua, lo scrittore israeliano del dialogo, campione di moralità e di democrazia, rivelò durante una intervista i particolari di quell’incontro. In quei giorni Arafat era ormai prossimo alla fine e Yehoshua usò parole dure: «Mi dispiace per la sua salute – disse - ma è proprio lui l’ostacolo alla pace. Ha avuto il Nobel, ma ha scelto il caos». A distanza di dieci mesi tutto sembra cambiato. Arafat è morto, Sharon, sia pure attraverso una netta lacerazione nazionale, ha costretto i coloni al ritiro da Gaza e da altri territori della Cisgiordania. Il vecchio generale, il militare che in nome della Eretz Israel si sporcò con la strage di Sabra e Chatila, ha davvero sbattuto il muso contro la realtà? Sono tornato a chiederlo ad Abraham B. Yehoshua. In prima fila nei giornali democratici israeliani durante i giorni caldi dello sgombero, in questi giorni è in «ritiro» a Parigi dove prepara le sue tappe europee: la più importante domenica prossima a Mantova, dove con Claudio Magris chiuderà la nona edizione di Festiva letteratura. Il vecchio saggio dice «sì», ma non è finita. Il cammino della pace tra israeliani e palestinesi «è ancora lungo». La voce – a tratti stanca del settantenne autore di romanzi e saggi memorabili per il loro respiro etico – si fa dura: «Ma ora i palestinesi dovranno stare ai patti. Se Hamas sbaglierà, Israele avrà il diritto di usare la forza. Quel che fino a ieri è stato odioso, domani sarà un diritto». Abraham Yehoshua, parliamo di politica. Che cosa succederà dopo Gaza? Ariel Sharon sarà il nuovo leader della sinistra? «No, non lo credo affatto. Lui ha fatto un gesto politico da destra e non so quanto creda veramente nella creazione di uno Stato palestinese e se è veramente pronto a offrire un compromesso onorevole ai palestinesi. Credo piuttosto che sia disposto a dare solo briciole e che queste non saranno sufficienti per creare un vero Stato». Però è stato di parola... «Sì, ha fatto davvero un buon lavoro e dobbiamo dirgli grazie. Ma dobbiamo sorvegliare con estrema attenzione per capire quello che intende fare veramente, così come dobbiamo osservare quale sarà il comportamento dei palestinesi. Se davvero sono pronti a eliminare il terrorismo allora avremo tutti l’opportunità di un dialogo». Nel suo romanzo più recente, "Il responsabile delle risorse umane", lei ha sostenuto il principio della responsabilità dello scrittore come dovere etico. Quanto lo stesso concetto si applica alla politica? «Chi come me pensa che il sionismo è stato un ideale morale, che ha portato gli ebrei da uno stato di alienazione e di dipendenza (l'odio antisemita, la Shoah), a una piena responsabilità sul proprio destino, deve capire che gli israeliani avranno un debito morale eterno nei confronti dei palestinesi che sono stati costretti a cedere una parte della loro terra in favore del sionismo. Questo debito morale forse non potrà mai essere compensato adeguatamente in termini territoriali, ma può essere risarcito con la tolleranza nei confronti di chi ha dovuto pagare a caro prezzo la convivenza con gli ebrei nella patria comune. Lasciare i Territori perciò è stato un atto di coraggio collettivo. Per lo meno per la maggioranza degli israeliani». Questo significa che la separazione tra Stato e religione può essere vicina? «Le questioni importanti sono due: una è la separazione tra Stato e religione, l’altra è la separazione tra religione e nazionalità. Israele è guidato dal parlamento, dalla volontà popolare; la religione è sostenuta dallo Stato solo in un senso culturale, ci sono alcuni rabbini che ricevono il salario dal governo e ci sono anche centri di comunità gestiti e finanziati dal governo. Solo matrimonio e divorzio sono ancora nelle mani della religione. Credo tuttavia che la separazione tra Stato e religione sia molto più vicina, nonostante i rabbini tentino di alzare la voce: lo Stato dev’essere laico. Molto più delicato il problema della separazione tra nazionalità e religione. Mi spiego: i non-ebrei, i non religiosi, possono far parte del popolo di Israele? È questo il problema che dovremo affrontare, ma richiede un processo molto lungo che è solo all’inizio». Chi vincerà le primarie tra Netanyahu e Sharon? «Non lo so è un problema del Likud, ma ho la sensazione che vincerà Netanyahu. Dipende se e come Sharon sarà in grado di gestire e riottenere il sostegno dal suo partito». Quando la Knesset approvò il ritiro da Gaza, lei disse: "Io non credo in Dio, ma Dio martedì era al lavoro per darci una mano, se quest'uomo, Sharon, che è stato il politico più disastroso per la storia di Israele e che era il migliore amico dei coloni, comincerà, proprio lui, a sradicare i coloni da Gaza. Perché io considero che la cosa più terribile che Israele abbia fatto non sia stato combattere con i palestinesi, visto che loro ci aggrediscono, ma installare propri cittadini nei loro territori. Sharon ha fatto un passo molto importante, ma non perché ha obbedito alla sinistra, bensì perché la realtà lo ha costretto a farlo e lui è riuscito a non essere tanto testardo da opporsi all’evidenza dei fatti. Ma quale sarà il futuro non lo so; spero che gli israeliani continuino a ritirarsi da altri territori". Che cosa significa realmente per Israele, sul piano politico ma anche ideologico, lo smantellamento di insediamenti? «Una cosa molto importante, e cioè che possiamo fare a meno delle colonie, che non sono indispensabili e non scateneranno nessuna guerra civile nel Paese. Le resistenze ci sono solo da piccole minoranze di religiosi fanatici che non hanno la forza di opporsi alla volontà della maggioranza. Il secondo problema naturalmente sono i confini, la fine dell’occupazione e anche quello che vorranno fare e palestinesi: che ora sono responsabili del loro destino. Perciò se ci spareranno avremo la legittimazione morale di reagire con la forza. Se invece non ci saranno ostilità potrà nascere una situazione simile almeno a quella del Libano». Lei torna a Mantova con la ristampa italiana de "L’ultimo comandante", tre racconti sulla banalità della vita e dei comportamenti militari nelle guerre del 1948, del Sinai, della guerra dei sei giorni, del Kippur. Che cosa è cambiato adesso nell’esercito israeliano? «Quello che avete visto a Gaza: un comportamento esemplare che ha avuto per protagonisti i giovani. Un grande segno di speranza».
Sempre a pagina 9 troviamo lo scorretto trafiletto "Nuovi insediamenti in Cisgiordania" che riportiamo:

Israele ha autorizzato ieri la costruzione di tremila nuove unità abitative nell'insediamento urbano di Ariel, vicino a Nablus in Cisgiordania. Il gesto, che ha suscitato reazioni di condanna palestinesi, sembra inoltre segnalare la volontà del premier Sharon di ricucire il dialogo con la destra del suo partito che non gli perdona il ritiro dalla Striscia di Gaza.
Le autorità israeliane hanno fatto sapere di aver autorizzato soltanto la costruzione di 170 appartamenti, smentendo le cifre precedentemente riportate. Ma a IL MATTINO interessa non la notizia bensì la propaganda.

Le vittime palestinesi che muoiono per mano di terrorristi anch'essi palestinesi vanno taciute, completamente omesse. E' il caso dei 4 morti e 30 feriti casuati da terroristi che maneggiavano materiale esplosivo a Gaza in un appartamento adibito a deposito. IL MATTINO non scrive una riga. Le avesse causate Israele il comportamento del quotidiano napoletano sarebbe stato certamente diverso.
Analoga censura per gli utlimi episodi di violenza anticristiana. Una donna musulmana palestinese, incinta, è stata uccisa dalla propria famiglia perchè accusata di avere una relazione con un uomo di religione cristiana. Gli stessi familiari hanno poi dato fuoco a diverse abitazioni appartenenti a famiglie cristiane. IL MATTINO, però, è girato dall'altra parte.


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