Egitto: prime elezioni pluraliste, non ancora libere una cronaca e le discutibili opinioni personali di UgoTramballi
Testata:Informazione Corretta Autore: la redazione Titolo: «L'Egitto non è più il feudo di Mubarak - Egitto, prove (timide) di democrazia»
Il CORRIERE DELLA SERA di lunedì 5 settembre 2005 pubblica a pagina 14 un documentato articolo di Cecilia Zecchinelli sulle imminenti elezioni egiziane, "L'Egitto non è più il feudo di Mubarak".
Ecco il testo: Parla bene Ayman Nour nella calda notte di Port Said, mentre le navi passano silenziose lungo il Canale di Suez. Sotto una grande tenda colorata, il parlamentare 41enne simbolo del nuovo Egitto, l'unico candidato in grado di scuotere l'assoluto potere di Hosni Mubarak è ascoltato con attenzione da qualche migliaio di persone. «Le nostre radici affondano nella democrazia e nella libertà, ma questo Paese è diventato il feudo di un solo uomo. Una prigione dove tutto è proibito e la crisi economica getta la gente nella miseria. E' ora di cambiare», urla il capo del nuovo partito Al Ghad (Il Domani) a operai e commercianti, islamici con barba (pochi) e donne perlopiù velate. Molti di loro, o almeno quelli che si sono registrati entro gennaio, mercoledì parteciperanno alle prime elezioni «libere» del più grande Paese arabo. Sceglieranno tra 10 candidati, 7 di loro semisconosciuti, anziché limitarsi a scrivere sì o no come nei passati referendum a candidato unico, gli ultimi quattro «vinti» da Mubarak. Dopo 24 anni al potere, la spunterà ancora il vecchio raìs, è certo. Ma Nour e il capo del glorioso partito Wafd ora in declino, Noaman Gomaa, gli daranno del filo da torcere. Soprattutto Nour. «Se queste elezioni fossero pulite avrei il 40%, andremmo al ballottaggio e vincerei con il 60%», ci aveva detto poco prima nella sua lussuosa casa del Cairo. Affabile anche se stanchissimo per i 18 giorni di maratona elettorale insieme alla moglie Gamila (ex star della tv), Nour parla solo arabo ma sa bene quanto il mondo possa influire sul futuro suo e dell'Egitto. Pochi mesi fa, la sua scarcerazione dopo 45 giorni in prigione con l'accusa («inventata») di aver falsificato le firme per registrare il partito era stata agevolata dall'intervento del Parlamento Europeo ma soprattutto di Condoleezza Rice. I suoi oppositori l'hanno poi accusato di essere un «agente degli Usa». Per questo non ha chiesto osservatori internazionali? «Non si deve essere per forza agenti Usa per volere democrazia e libertà. E se all'inizio non ritenevo necessari osservatori stranieri, ora, vista l'illegalità del processo elettorale, sono favorevole a ogni tipo di monitoraggio. Un Paese democratico non dovrebbe temere niente, tanto più che l'Egitto ha mandato osservatori in Iraq e Palestina». Ieri Mubarak ha bandito tutti gli osservatori indipendenti. E' sicuro che ci saranno brogli? «Basti dire che le liste elettorali sono un segreto di Stato. Nessuno le può vedere e sapere esattamente quanti e chi sono gli elettori registrati, anche se è sicuro che milioni di quei nomi sono di persone morte o sono doppi. Come evitare brogli senza osservatori? Mandare i nostri rappresentanti è impossibile. Mubarak ha perfino proibito a 2 mila giudici di controllare il voto perché avevano denunciato brogli all'ultimo referendum sulla riforma costituzionale». La riforma che apre a più candidati è un passo avanti però, no? «E' solo cosmetica, fatta apposta per preparare la successione al figlio del raìs, Gamal. Già quest'anno pone moltissimi limiti ma la prossima volta i candidati dovranno appartenere a partiti esistenti da 5 anni almeno. Se votassimo tra tre anni, io non potrei candidarmi. Mubarak è stato abile». Cosa pensa del raìs? «Si crede un semi-dio ma è un militare dalla mentalità ristretta, credo non abbia letto un libro in vita sua. E so che è molto irritato perché è stato costretto a questa pur parziale apertura. Mi hanno detto che si è lamentato in privato di essere come "qualcuno che possiede già una casa e ora deve partecipare a un'asta per mantenerla". La casa è l'Egitto». Può sintetizzare il suo programma? «Una terza via, come esiste in Europa: liberalismo e forti privatizzazioni in economia, un ruolo sociale per lo Stato. E poi, fine delle leggi speciali, limite di soli due mandati da quattro anni per il presidente. Se sarò eletto, per due anni attueremo le riforme necessarie, poi chiederemo nuove elezioni. Aperte a tutti, anche ai Fratelli Musulmani se vorranno essere un partito civile e non religioso». Nour aggiunge di esser pronto a lanciare una «campagna di disobbedienza civile e pacifica con ogni mezzo» dopo il voto. E alla domanda se non ci sia proprio niente di positivo in quanto sta accadendo lungo il Nilo risponde: «La sola esistenza del nostro partito indica che abbiamo rotto il muro di silenzio e paura. La gente ha iniziato a capire che un regime militare fascista può essere sostituito non solo da un regime islamico altrettanto dispotico, ma da una vera democrazia». Vero, ma solo in parte. Poche ore dopo queste parole, mentre Nour tentava di convincere i cittadini di Port Said nella piazza addobbata da centinaia di striscioni per il 99% pro Mubarak, quasi tutti i presenti dichiaravano di essere a favore dei cambiamenti ma che avrebbero poi votato per il raìs. «Hanno tutti paura di parlare, non ti diranno mai la verità» è stato il commento a bassa voce di un commerciante sessantenne, indicando i numerosi, riconoscibilissimi, uomini della polizia in borghese. «Io voterò Nour anche se non servirà molto, la cricca al potere sarà sempre quella. Ma magari è il primo passo». E' interessante confrontare le osservazioni di questo articolo con le opinioni personali di Ugo Tramballi, espresse domenica 4 settembre sul SOLE 24 ORE, nell'articolo "Egitto, prove (timide) di democrazia", pubblicato a pagina 7. Vi si legge: Mubarak avrebbe vinto anche concedendo elezioni meno pilotate, perché gli egiziani amano i volti famigliari e la tradizione. Dopo un quarto di secolo al potere lui garantisce l'uno e l'altro: è sicurezza e continuità, lotta al terrorismo e difesa dei palestinesi dall'occupazione israeliana, orgoglio anti-americano e alleanza con l'America e i suoi soldi, è secolarismo e Islam.
A parte la certezza infondata con cui Tramballi dà per vincente Mubarak anche in elezioni eque, in questo passo è da rilevare il significativo accostamento di tre coppie di "opposti inconciliabili" che caratterizzerebbero il regime di Mubarak:"lotta al terrorismo e difesa dei palestinesi dall'occupazione israeliana", "orgoglio anti-americano e alleanza con l'America e i suoi soldi", "secolarismo e Islam".
Implicito in questo elenco un giudizio sul terrorismo, che assurge a "difensore" dei palestinesi.
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