Ritiro da Gaza, primo passo per la pace intervista a Shimon Peres
Testata: La Repubblica Data: 05 settembre 2005 Pagina: 19 Autore: Marco Ansaldo Titolo: «Peres:»
LA REPUBBLICA di lunedì 5 settembre 2005 pubblica un' intervista di Marco Ansaldo al vice premier israeliano Shimon Peres sulle prospettive di pace in Medio Oriente dopo il ritiro da Gaza.
Ecco il testo: «Hamas non canti troppo vittoria. Non fosse stato a causa del loro movimento, Israele avrebbe lasciato la Striscia di Gaza già dieci anni fa. Continuino su questa strada, e sarà Hamas a perdere di nuovo». Sono passate due settimane dal ritiro dei coloni ebrei da Gaza, ma la situazione in Medio Oriente continua a essere sotto gli occhi di tutti. Anche al Workshop Ambosetti a Cernobbio, dove Shimon Peres, leader laburista israeliano e premio Nobel per la Pace, ha spiegato a una ristretta platea di imprenditori i prossimi passi del governo che guida come vice premier nella coalizione con Ariel Sharon. Repubblica lo ha incontrato. Come giudica il disimpegno da Gaza? «È stata una decisione difficile. Ma possiamo dire che le cose siano andate bene. Le operazioni di smantellamento nella Striscia dovrebbero terminare entro un mese. Dobbiamo piuttosto pensare al prossimo passo». Quale sarà? «Il mio desiderio è quello di veder continuare il processo di pace. Concretamente il secondo passo sarà l´attuazione della road moap messa a punto dal Quartetto formato da Unione europea, Nazioni Unite, Russia e Stati Uniti». I palestinesi da parte loro come devono procedere nella fase successiva al ritiro? «Devono dimostrare la volontà di gestire la situazione a Gaza. Perché il processo di pace va difeso a prescindere dai risultati elettorali, che rischiano invece di rafforzare i gruppi armati». Nella Striscia c´è chi, dopo il ritiro dei coloni, ha dichiarato vittoria. Hanno forse ragione? «La mia risposta è semplice. Non fosse stato a causa di Hamas, noi avremmo abbandonato Gaza già dieci anni fa. Invece proprio loro ci fermarono in questo progetto. Se continueranno a comportarsi così, saranno loro a perdere di nuovo». Il confronto continua a essere aspro: la preoccupazione più grande sembra legata alla sicurezza lungo i passaggi di confine della Striscia. «I palestinesi vogliono essere certi della loro libertà di movimento, e noi della nostra sicurezza. Stiamo lavorando assieme a loro per trovare un compromesso che soddisfi tutti gli abitanti di entrambe le parti nelle zone di confine». E per lo sviluppo dei territori quali progetti sono in cantiere? «C´è la richiesta di far costruire ampie zone industriali in alcune aree di Gaza. Con possibilità di partecipazioni e investimenti dall´estero. Alcune proposte sono già avviate. Si tratta di joint venture costituite da imprenditori israeliani con businessmen stranieri». C´è collaborazione su questo con i palestinesi? «Ho parlato con loro. E ne ho accennato anche qui (al seminario di Cernobbio è presente il ministro palestinese Saeb Erekat, ndr). Bisognerebbe che qualche paese terzo li aiutasse a sviluppare il turismo. Nella Striscia di Gaza, forse non tutti lo sanno, c´è una spiaggia fra le più belle, lunga 43 chilometri». Il ritiro ha riguardato Gaza, e solo in parte la Cisgiordania, dove invece si concentrerà il prossimo disimpegno. E lo sviluppo in questa parte di territorio? «Anche qui ho suggerito che vengano costruite aree industriali. Perché da un punto di vista politico noi abbiamo separato la Striscia di Gaza dal territorio della Cisgiordania, ma sotto il profilo economico no. E c´è un indubbio interesse da parte di imprenditori esteri a impegnarsi in alcuni progetti». Il ministro Netanyahu ha abbandonato Sharon, e ha lanciato la propria candidatura. È un´iniziativa che può portare problemi al partito Likud ma anche allo stesso governo? «Per il governo questo è solo un problema che si aggiunge a tanti altri». Ma Sharon sembra avere problemi seri anche dentro il Likud. «Sì, è così. Spero che li superi, dico sul serio». Insieme avete preparato il recente incontro di Istanbul fra Israele e Pakistan. Per questo vertice il governo pachistano è stato attaccato da diversi paesi arabi. Cosa ne pensa? «Che costoro non hanno compreso che si è trattato invece di un summit importante. Che condurrà a buoni sviluppi. E la Turchia si è dimostrata un luogo ideale per questo tipo di incontri». Perché la Turchia? «Ne ho parlato faccia a faccia ieri con Erdogan, il premier di Ankara. Il suo paese può giocare un ruolo davvero determinante nel processo di pace in Medio Oriente. La Turchia è un paese islamico e moderno, ha buone relazioni con tutte le parti. E lo stesso primo ministro è molto interessato nell´arrivare a una soluzione positiva. L´Europa non deve perdere l´opportunità di aprire ad Ankara. Ci troviamo non di fronte a uno scontro di civiltà, ma a uno scontro di periodi storici. C´è una vecchia era che sta finendo e una nuova era che comincia. La Turchia rappresenta la nuova era, perché è musulmana e moderna allo stesso tempo». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.