Quindici anni di stragi di sciiti: la guerra inivisibile (per il conformismo politicamente corretto) che scuote l'Islam l'analisi di Carlo Panella
Testata: Il Foglio Data: 02 settembre 2005 Pagina: 2 Autore: Carlo Panella Titolo: «Dall’Iraq al Bangladesh c’è uno scontro di civiltà tra musulmani»
Dopo l'ultima, terribile strage del terrorismo in Iraq, un'analisi di Carlo Panella che colloca l'ennesimo massacro di sciiti in una prospettiva storica troppo spesso ignorata: quella di una guerra di religione interna all'islam, proclamata dal fondamentalismo wahabbita cui si rifà anche la jihad antioccidentale di Al Qaeda.
Ecco il testo: Roma. L’ayatollah al Sistani è intervenuto ieri per calmare gli animi e bloccare sul nascere qualsiasi tentazione degli sciiti iracheni di reagire alla strage provocata mercoledì dall’attentato sacrilego dei terroristi sunniti: "Esorto gli iracheni all’unità e a sbarrare la strada a tutti coloro che cercano di seminare discordia". Sicuramente le sue parole saranno ascoltate: mai, infatti, gli sciiti iracheni hanno reagito con atti di violenza contro sunniti, nonostante le decine di stragi di fedeli in preghiera, massacrati da kamikaze wahabiti- salafiti dentro le moschee. Ancora più, questa indicazione pacificatrice verrà seguita oggi, a fronte del primo concreto inizio di recupero dei sunniti al confronto democratico, dopo l’approvazione della Costituzione. Infatti, nonostante il rigetto di parti fondamentali del testo da parte di importanti sunniti (ma non di tutti), non vi è stato nessun appello alla rottura del processo democratico. All’opposto, tutti gli esponenti sunniti – anche gli estremisti del Partito islamico iracheno – hanno questa volta deciso di partecipare al referendum costituzionale del 15 ottobre, magari chiamando a votare un "no", ma esprimendosi col voto, non con le rivolte. Resta il fatto gravissimo di un immenso bagno di sangue, di una giornata da incubo vissuta da Baghdad e di una nuova tappa nella guerra di religione che l’estremismo wahabita ha scatenato nel corpo stesso dell’islam. Un episodio che non ha affatto le sue radici nella situazione irachena di oggi, ma che si inserisce in una "guerra di religione" antica, ripresa con vigore da una quindicina d’anni. Basta consultare un qualsiasi archivio per rendersi conto dell’ampiezza e del lungo cammino di questa guerra di religione in Iraq, Pakistan, Afghanistan e Bangladesh. Sempre lo stesso scenario: fedeli sciiti in preghiera massacrati con bombe o con raffiche di kalashnikov da terroristi sunniti. Soltanto la disattenzione non casuale del giornalismo "politicamente corretto" è riuscita sino a oggi a non vedere – a non avere neanche curiosità, interesse – a fronte di questa scia di sangue che inizia il 21 gennaio 1991 a Multan, in Pakistan, con un bilancio di sette morti e 20 feriti. Quella strage è seguita da una serie di eccidi che cresce con una cadenza impressionante. Il 20 gennaio 1994 è colpita una moschea nella città santa di Meshad, in Iran, vicina alla frontiera col Pakistan. Poi, nel 1995 la successione di attentati diventa convulsa: in Pakistan vi sono 153 morti tra gennaio e febbraio in una dozzina di attentati a moschee; a marzo i morti arrivano a 400. Colpiti luoghi di culto a Karachi, Multan, Zihuz Loom e Lahore. L’organizzazione salafita-wahabita che colpisce si chiama Sipah i Sabah. In alcuni, sporadici casi gli sciiti reagiscono e si vendicano su fedeli sunniti. Nel periodo che precede l’11 settembre 2001, le stragi continuano a martellare Islamabad, Rawalpindi, Bakkar, Quetta e Herat (in Afghanistan). A Bakkar la scelta dei terroristi è particolarmente disgustosa: una kamikaze si fa esplodere nella zona della moschea riservata alle donne, 11 muoiono, con loro un bambino. Difficile una conta dei morti, ma si sfiora sicuramente il migliaio. Tutto questo in paesi musulmani, in cui la sharia è legge, in cui non vi è alcun intervento militare degli Stati Uniti. E’ questo uno dei tanti segnali inequivocabili del fatto che la "guerra di civiltà" è in atto ed è stata proclamata da musulmani contro musulmani, che è diretta contro gli "apostati" dell’islam (gli sciiti appunto) che si vogliono asserviti ai "politeisti", così come contro i "crociati e gli ebrei". I media mondiali, per lunghi anni, voltano la testa da un’altra parte e con un pizzico di razzismo e di cinismo iscrivono questi episodi tra gli usuali massacri asiatici e oggi, con coerente malafede, leggono la "guerra di religione" dei wahabiti contro gli sciiti come conseguenza dell’invasione americana dell’Iraq, come non avesse una storia precedente. E’ invece indispensabile prendere atto che la dinamica di quelle stragi degli anni Novanta si sovrappone a quella delle stragi di questi giorni e disegna un quadro terribile, che ha una sua base storica: l’Arabia Saudita, motore immobile di propagazione del verbo della setta wahabita. L’ideologia del regno, infatti, è definita da Mohammed Wahab nel Settecento, proprio in funzione antisciita. La "riforma dell’islam" che egli propugna, e che la dinastia degli al Saud fa propria, ha nella guerra di religione contro gli sciiti e i loro santuari, il primo e più forte punto di aggregazione. Tutto l’Ottocento, a partire dalla distruzione del santuario sciita di Kerbala nel 1804, è segnato da scontri mortali, complotti, stragi, di wahabiti contro gli sciiti iracheni. Dopo la prima guerra mondiale, Abdulaziz ibn Saud conquista l’intera penisola con i suoi ikhwan, guerriglieri mistici salafiti – che poi stermina – che si danno per un decennio a decine di razzie in Iraq contro gli sciiti, tanto che la Gran Bretagna più volte interviene manu militari. Nati da questo ceppo, gli estremisti formati dalle madrasse wahabite, che Riad finanzia con i suoi petrodollari in Pakistan, indottrinati dagli ulema che l’Arabia Saudita ha istruito dentro la sua tradizione religiosa, trovano negli sciiti pakistani il primo, più facile, più vicino "nemico" da sterminare (poi passano anche ai cristiani). Così nasce il terrorismo islamico: dentro l’islam e contro l’islam, poi contro i cristiani, e contro gli ebrei. Questa è guerra di religione, non altro. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.