Intervista tendenziosa ad Abraham B. Yehoshua sul quotidiano cattolico
Testata: Avvenire Data: 02 settembre 2005 Pagina: 27 Autore: Luigi Geninazzi Titolo: «Gaza, il passo giusto»
AVVENIRE di venerdì 2 settembre 2005 pubblica un'intervista di Luigi Geninazzi allo scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua.
Segnaliamo la natura tendenziosa di alcune delle domande di Geninazzi, per esempio: "C'è un altro grande ostacolo sulla via della pace ed è il problema degli insediamenti ebraici nei Territori palestinesi. Lei è sempre stato contro i coloni ma recentemente, in occasione del ritiro da Gaza, ha avuto parole di comprensione nei loro confronti. Ha cambiato idea?" o "C'è una frase ripetuta spesso dai coloni che si opponevano allo sgombero: un ebreo non caccia un altro ebreo. Vuol dire che può cacciare tutti gli altri?", volte a presentare i coloni come un "ostacolo alla pace" e come un gruppo di fanatici razzisti.
Ecco il testo dell'articolo: E' lo scrittore israeliano più noto e probabilmente anche il più premiato. Abraham Yehoshua, 69 anni, rappresenta una figura d'intellettuale a tutto campo, sionista convinto ma aperto al dialogo con il mondo arabo. Al prossimo Festival della letteratura di Mantova sarà presente ad una tavola rotonda dove si discuterà dei suoi ultimi romanzi (tra cui Il responsabile delle risorse umane, edito da Einaudi). L'abbiamo incontrato poco prima della sua partenza per l'Italia. Professor Yehoshua, nel suo ultimo romanzo l'attualità entra in modo prepotente. Possiamo dire che si tratta di una riflessione sul terrorismo? «Il mio romanzo prende il via da un attentato compiuto a Gerusalemme e la vittima diventa il simbolo della confusione emotiva che avviene attorno al suo cadavere non identificato. Cerco di descrivere l'intreccio che si crea da un lato tra indifferenza e burocrazia e dall'altro tra processo d'identificazione e amore. Per me la questione centrale però non è tanto il terrorismo quanto piuttosto Gerusalemme. È il luogo santo per eccellenza, un luogo che non appartiene solo agli ebrei ma a tutto il mondo. Sono convinto che non ci sarà soluzione al conflitto tra israeliani e palestinesi se non si farà uscirà la città santa di Gerusalemme da ogni tipo di dominazione nazionale affidandole uno status spirituale e internazionale». C'è un altro grande ostacolo sulla via della pace ed è il problema degli insediamenti ebraici nei Territori palestinesi. Lei è sempre stato contro i coloni ma recentemente, in occasione del ritiro da Gaza, ha avuto parole di comprensione nei loro confronti. Ha cambiato idea? «No, sono sempre convinto che le colonie ebraiche vadano smantellate. Ma devo riconoscere che in Israele c'è una grande simpatia nei loro riguardi. Il test cruciale del disimpegno da Gaza è andato molto bene: non c'è stata nessuna guerra civile e solo una piccola minoranza si è comportata in modo violento. I coloni hanno tenuto un comportamento molto dignitoso, così come la polizia e l'esercito. E questo fa onore alla democrazia d'Israele». Lei ha scritto recentemente che le lacrime dei bambini dei coloni le hanno spezzato il cuore... «La fine degli insediamenti a Gaza è stata una grande vittoria. Ma i vincitori non devono comportarsi in modo crudele, l'accanimento sui vinti è qualcosa d'inumano. Dobbiamo capire il dolore di chi è stato costretto a lasciare la sua casa, dobbiamo asciugare le sue lacrime, fare opera di consolazione». C'è chi ha lasciato le colonie innalzando i simboli dell'Olocausto, paragonandosi ai deportati di Auschwitz. Quale è stata la sua reazione? «Ah, mi sono infuriato! È una cosa abominevole. Dobbiamo smettere di tirare in ballo la Shoah nelle nostre questioni politiche. Lo dico anche alla sinistra che in passato ha chiamato nazista il nostro esercito». C'è una frase ripetuta spesso dai coloni che si opponevano allo sgombero: un ebreo non caccia un altro ebreo. Vuol dire che può cacciare tutti gli altri? «È una frase bizzarra. Forse che un francese non ha cacciato un altro francese durante la decolonizzazione dell'Algeria? E forse che un ebreo non manda un altro ebreo in guerra? Se mio figlio deve rischiare la vita per difendere l'insediamento di Gush Katif allora ho il diritto di chiedere il ritiro da Gaza senza venir accusato di cacciare un mio connazionale. No, è una frase senza senso». Secondo molti osservatori in Israele si sta creando una spaccatura profonda tra religiosi e laici, tra «ebrei» e «israeliani». Lei è d'accordo? «Assolutamente no. Per me l'israeliano è l'ebreo totale, cioè colui che si prende la responsabilità di tutte le componenti della sua esistenza, personale e sociale. I religiosi ultra-ortodossi non hanno questo concetto, per loro l'ebreo è colui che pensa solo a se stesso, se ne frega di quel che accade intorno, non gli interessa che i suoi vicini palestinesi vivano nei campi profughi. È esattamente la figura dell'ebreo che viveva in Russia o in Polonia, chiuso nel suo mondo». Per gli ebrei ultra-ortodossi i confini dello Stato d'Israele sono fissati dalla Bibbia... «Giudea e Samaria sono qualcosa che ovviamente c'entra con la patria storica degli ebrei. Ma appartengono anche ai palestinesi. Da questo intreccio se ne esce solo col concetto di Hifardut, separazione. Israeliani e palestinesi devono dividersi in due Stati». E i 230 mila coloni ebrei di Giudea e Samaria si possono evacuare come è successo con quelli di Gaza? «Credo che molti di loro potranno rimanere dove sono, come cittadini ebrei di uno Stato palestinese. Nel mondo ci sono tante minoranze etniche che vivono sotto la giurisdizione di un altro Stato. Perché dobbiamo escludere questa possibilità per il futuro del Medio Oriente? È l'unica strada per la pace». Cosa pensa della svolta compiuta da Sharon? «Lo conosco bene, era il mio comandante quando stavo nell'esercito negli anni Cinquanta. Ha sempre fatto di testa sua, nel bene e nel male. Ha compiuto immensi danni ma finalmente ha preso atto della realtà. Io l'ho incontrato due anni fa nel suo ranch nel Negev, abbiamo parlato a lungo e gli ho detto che bisognava assolutamente farla finita con le colonie di Gaza». Sembra che le abbia dato retta. Vuol dire che scrittori e intellettuali possono avere un ruolo positivo in politica? «Siamo come piccolo gocce d'olio versate sulle ruote. La macchina però corre dove vuole il guidatore». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Avvenire. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.