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Il Foglio Rassegna Stampa
01.09.2005 Dal comunismo all'islamismo
le sfide totalitarie all'Occidente viste dal grande sovietologo Richard Pipes

Testata: Il Foglio
Data: 01 settembre 2005
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Meticciato e islam. Parla Ricahrd Pipes, il teorico dell'impero del male»
A pagina 2 dell'inserto IL FOGLIO di giovedì 1 settembre 2005 pubblica una interessante conversazione di Giulio Meotti con il grande sovietologo Richard Pipes.

A una stimolante e profonda discussione della minaccia islamica, comparata a quella comunista e delle diverse reazioni ad entrambe da parte di Europa e Stati Uniti, Pipes aggiunge interessanti considerazioni su Israele sul suo rapporto con l'Occidente.

Ecco il testo:

Roma. "Very sound", scrisse Ronald Reagan sul paper che Richard Pipes gli aveva preparato. Sarebbe diventata l’ispirazione principale per il famoso discorso
sull’"Impero del male". Visto il clamore scatenato, Reagan disse al suo esperto di Unione Sovietica: "Abbiamo toccato un nervo". I suoi ottantadue anni Pipes se li porta benissimo. Un giorno Richard Nixon gli chiese quanti ne avesse. Pipes gli rispose cinquantasei. "Una buona età, ha molti anni davanti a sé. Solo non diventi ambasciatore". Sotto i suoi occhi ha sfilato tutta la storia del Novecento. Il 6 ottobre del 1939 osservò Hitler sotto la sua finestra di Varsavia. "Pensai a quanto sarebbe stato facile assassinarlo". Il giorno della sua laurea, nel giugno del 1947, a premiarlo c’era il generale George Marshall, quello del piano. Per il Daily Telegraph se "fosse stata assegnata una medaglia al coraggio morale durante la Guerra fredda Richard Pipes l’avrebbe vinta diverse volte". L’Economist lo chiama il "solitario aratore". Pipes ride al pensiero che gli europei possano riconoscere la necessità dell’idea di impero nella lotta all’islamismo. E al Foglio spiega perché. "Gli europei sono grati
agli Stati Uniti per la sconfitta del nazismo e la distruzione dell’impero sovietico, perché entrambi li minacciavano direttamente. Purtroppo oggi non percepiscono lo stesso pericolo dall’islam. A partire dal collasso dell’Unione Sovietica, l’Europa è diventata isolazionista: l’esperienza di due guerre mondiali l’ha spinta a voler vivere in pace e a godersi la sua prosperità, come hanno fatto gli Stati Uniti negli anni Trenta. Non importa se gli arabi vogliono distruggere Israele o se l’islamismo vorrebbe imporre loro il proprio modo di vivere. Ma l’Europa pagherà molto rapidamente questo atteggiamento.
Israele è un miracolo, nessuna nazione è mai ritornata alla propria patria dopo
duemila anni di esilio. Se è importante per l’occidente? Sì, se l’occidente iniziasse ad apprezzare questo miracolo. Israele è l’unico paese che ha ottenuto dei successi contro il terrorismo. Ho approvato il ritiro da Gaza perché Gaza non aveva significato religioso né importanza strategica. Ho simpatizzato col cuore con i coloni, la resistenza la capivo, si è consumata una tragedia con Sharon che faceva la cosa giusta". C’è poi il problema del meticciato e del multiculturalismo. Su cui Pipes riflette in questi termini: "Prendiamo i francesi. Hanno creato un enorme problema consentendo indiscriminatamente a milioni di musulmani nordafricani di emigrare al proprio
interno. Sarà la struttura giacobina, ma la Francia è molto diversa dagli Stati
Uniti: qui la tolleranza sfiora l’indifferenza, ma non è un questione di cultura nazionale, come invece la definisce la Francia. Dove i colonizzati si aspettano di essere assimilati. Senza successo. La pratica anglosassone è molto differente. I musulmani francesi sono degli outsider, frustrati e proni alla violenza. Un problema che non sarà risolvibile in una o due generazioni. Il multiculturalismo è una possibilità solo negli Stati Uniti, che vivono di una cultura giovane. In Europa è impossibile perché vecchia e formalizzata". Stephen Sestanovich, storico e consigliere di Clinton, lo considera il padrino della lotta al terrorismo. Molti, come la first lady Nancy, non lo sopportavano.
"Michael Deaver e James Baker vedevano Reagan come un nonno con un umorismo
da non prendere seriamente". Generalmente è molto cauto nelle interviste.
Nel marzo del 1981 rilasciò alcune dichiarazioni al corrispondente della Reuters
a Washington. Il giorno dopo uscì la notizia che "un alto funzionario della Casa Bianca" aveva dichiarato "morta" la détente. Reagan fu costretto a precisare che Pipes aveva parlato a titolo personale. Ci dice che "l’onore di essere un ‘eroe della Guerra fredda’, come mi hanno chiamato, appartiene a Lenin, Stalin, Breznev e Krushev. Non sono in grado di fare un bilancio della mia vita, ma il mio ruolo è stato modesto ed è consistito principalmente nel mettere in guardia l’occidente dal non rimanere deluso dal suo pensiero illusorio". Ama definirsi un "ebreo ortodosso non osservante". Le sue prime ricerche sulla Russia incassarono il plauso di George Kennan, che gli scrisse una lettera "piena di ammirazione e gratitudine". E’ stato uno degli amici più fidati Kerensky, l’anti-Lenin in esilio negli Stati Uniti. E’ cresciuto nel campus di Harvard, quando l’università si credeva annessa alla Casa Bianca negli anni del clan Kennedy. Nel luglio del 1978, una delle accuse rivolte a Mosca contro il dissidente Anatoly Sharansky fu quella di aver avuto numerosi contatti con Pipes. E’ la bestia nera della storiografia sulla Guerra fredda. Ricorda che lo slogan dei liberal durante lo scontro con i sovietici era: "Meglio rossi che morti". Odiatissimo dal Dipartimento di Stato, faceva parte dei "trogloditi" e degli "uomini di Neanderthal", solo alcune delle espressioni con cui in Europa veniva dipinta l’amministrazione Reagan. Accanto alla Pravda, che nel febbraio del 1981 scrisse un affondo contro Pipes, titolando "Attention: Pipes!", c’era il nemico di sempre, Henry Kissinger, che
in un faccia a faccia gli disse: "Pipes, posso distruggerti. Come? Dicendo che sono d’accordo con te". Amico intimo di Isaiah Berlin, nel 1971 Pipes gli chiese se avrebbe votato per George McGovern. "Voterò per Nixon, ma non lo dire a nessuno", gli rispose Berlin. Nel dicembre del 1987, durante un pranzo al Dipartimento di Stato, Gorbaciov gli chiese provocatoriamente davanti a tutti se
gli fosse piaciuto il suo libro sulla Perestroika (quella di Pipes sul Wall Street Journal era stata l’unica recensione negativa negli Usa), Pipes gli rispose: "No, non mi è piaciuto" e Gorbaciov si allontanò dicendo "Lei è solo un accademico". Al Foglio dice che "è giusta l’idea di una riscoperta dell’impero. Ma dobbiamo capire che gli alleati europei semplicemente si rifiutavano già di accettare che la Guerra fredda fosse un conflitto globale e l’Unione Sovietica un ‘impero del male’. Ogni volta che proponevamo aiuti agli europei orientali, i tedeschi automaticamente si dissociavano da noi. La mentalità riecheggiava quella francese e britannica prima del 1939 e rifletteva
lo stesso spirito della capitolazione morale. Quei francesi che avevano promesso
ai polacchi che sarebbero intervenuti sul fronte occidentale. Vedo quindi dei parallellismi fortissimi fra la reazione europea al comunismo e quella all’islamismo. In entrambi i casi, i politici europei, intimiditi da francesi e tedeschi, hanno disprezzato gli Stati Uniti, continuato nel loro appeasement verso i nemici sia dell’Europa sia dell’America. Mentre servivo Reagan alla Casa Bianca fra il 1981 e il 1982, ero paralizzato e mi vergognavo per la resistenza degli alleati nella Nato verso ogni iniziativa che prendevamo contro i sovietici. Alla conferenza di Bilderberg, nel giugno del 1981, l’ambasciatore
sovietico paragonò gli Stati Uniti alla Germania nazista. Questa incredibile provocazione non provocò nessuna reazione nell’auditorium. Eravamo vittime della miopia europea, che pensava che il silenzio sul comunismo potesse garantire loro una sorta di protezione. Ora stanno adottando la stessa strategia verso l’islamismo, opponendosi alle riforme in Iraq e stando sempre con i palestinesi contro gli israeliani. E’ una politica sciagurata. L’appeasement è parte integrante della mentalità occidentale, a volte ha funzionato, ma nel caso dell’islamismo incoraggerà solo la violenza e il terrore. L’Europa è decrepita, era già totalmente insensibile all’oltraggio morale del comunismo. Penso che gli Stati Uniti siano, paradossalmente, una delle cause del declino europeo, l’hanno difesa dal comunismo quando doveva farlo da sola". Secondo Pipes l’appeasement era l’idea "che l’Unione Sovietica non avrebbe potuto trionfare senza il sostegno popolare, che il mondo non comunista non avesse scelta e dovesse accettare il blocco sovietico e che misure conciliatorie avrebbero dovuto essere accompagnate da una politica di ‘contenimento’. Si stavano comportando in un modo non diverso dai britannici con Hitler. Churchill, come Reagan, fu l’unica voce di coraggio in un coro di accomodamento". Non è facile spiegare in termini razionali la guerra islamista contro l’occidente, perché secondo Pipes la mentalità musulmana è totalmente aliena dai nostri modi di concepire politica e religione. "Nella seconda metà del XX secolo il conflitto fra l’occidente e il mondo arabo-islamico ha assunto caratteristiche senza precedenti: anche chi non vuole sentir parlare di ‘scontro di civiltà’, deve ammettere che quello iniziato l’11 settembre del 2001 è un assalto frontale impero del male" all’occidente degli islamisti. L’islam è una religione aggressiva, immune da quella tolleranza e razionalità che ha modificato la cristianità nel corso dei secoli. Anche se ci sono, come credo, dei musulmani moderati, il significato di questa religione è di conquistare il mondo e di convertire gli infedeli, con la persuasione se possibile, con la violenza se necessario. Il mondo islamico ha sofferto per secoli di un senso di inferiorità e ora è venuto il momento di vendicare quelle
che considerano ‘umiliazioni’. L’immensa ricchezza petrolifera rende questo possibile. La riforma del medio oriente è necessaria, ma non porrà fine al jihad che ha radici psicologiche devastanti. Approvo le politiche nazionali del presidente Bush, anche se sono un po’ spaventato dal deficit di spesa pubblica e la politica sul mercato cinese. Sono un po’ più scettico che si possano impiantare valori occidentali nel mondo arabo. Ma resto d’accordo con Bush, lo ero sull’Iraq perché l’insistenza sulla democrazia ha portato a risultati spettacolari in Georgia, Ucraina, Libia e in Asia centrale. Le Nazioni Unite hanno creato la sensazione che esistesse un’unità globale, fasulla in verità, fittizia, perché Israele è l’unica nazione del medio oriente degna di stare a quel tavolo, ma è sbarrata la sua strada a un Consiglio di sicurezza corrotto e immorale. Prendiamo poi tutte le storie fatte circolare su Guantanamo. Ho una lettera di una madre russa il cui figlio è incarcerato là e che prega gli americani di tenercelo perché sta meglio che in qualunque altro posto". A chi gli chiede cosa fosse per lui il comunismo, Pipes risponde con questa vicenda
della biblioteca di Mosca. Era in attesa che aprisse, non c’era nessuno, Pipes si avvicina alla funzionaria, le chiede se può aiutarlo, ma lei gli risponde che doveva ancora aspettare quindici minuti. Poi appende un biglietto con scritto "fuori per un the", e se ne va. O quando nel metro di Mosca il trenò arrivò davanti alla banchina, ma rimase chiuso al suono di "le porte si stanno aprendo". E ripartì, senza che i passeggeri dicessero niente, come assuefatti. "In Israele avrebbero demolito il vagone" dice Pipes. E’ fiero dei suoi mille aneddoti e ne racconta un altro. Nel novembre del 1988 Andrei
Sakharov fu invitato all’American Academy of Arts and Sciences di Cambridge. Davanti a centinaia di persone dell’intellighenzia liberal americana il celebre dissidente sovietico non ebbe remore, li ringraziò per i loro soldi ma disse anche loro in faccia che il novanta per cento dei presenti erano solo dei pericolosi "amici dell’Unione Sovietica" e figli di "una persuasione di estrema sinistra". Poi si avvicinò a Pipes e gli chiese: "Cosa ne pensa del futuro dell’Urss?". Pipes gli rispose che non aveva un futuro, e gli citò quello che gli disse una donna nel 1957, a Leningrado: "Viviamo come cani, non dovremmo? Me lo dica per favore".
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