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La Stampa Rassegna Stampa
30.08.2005 Ora il terrorismo islamista minaccia anche la Cina
reportage di Francesco Sisci

Testata: La Stampa
Data: 30 agosto 2005
Pagina: 8
Autore: Francesco Sisci
Titolo: «Ora il terrorismo diventa un incubo anche per i cinesi»
LA STAMPA di martedì 30 agosto 2005 pubblica un interessante articolo sulla minaccia del terrorismo islamista alla Cina. Difficile sostenere che c'entri qualcosa con l'Iraq o con la Cisgiordania...

Ecco il testo:

«Una volta pensavamo di essere al sicuro dal terrorismo, oggi sappiamo che non è più così, anche noi siamo nel mirino». Al funzionario di polizia di Pechino che racconta cascano le spalle, perché lui deve prevenire, impedire che qui arrivino le bombe, gli incendi dolosi, gli agenti chimici gettati nella metropolitana o qualunque altra cosa possa turbare la pace sociale del Paese. Nulla deve inquinare l'aria in questi anni in cui tutta la Cina aspetta ansiosa le olimpiadi del 2008.
Il terrorismo qui però non è un sogno lontano ma già una presenza reale. All'università di Qinghua, il politecnico della capitale, il migliore ateneo scientifico della nazione, gli altoparlanti urlano l'allarme, è stata scoperta una bomba nell'ala di un palazzo. I ragazzi corrono fuori dai dormitori del campus e si radunano nei grandi spiazzi alberati. Ognuno ha un posto assegnato. Qui attendono che finisca l'allarme e poi tornano indietro. Lì però trovano il dormitorio in fiamme e allora restano fuori aspettando che l'incendio sia domato.
Si tratta solo di un'esercitazione, e per i ragazzi, la crema degli studenti cinesi, è poco altro che un gioco. Ma la stessa esercitazione e la nuova legge contro il terrorismo, approvata questo mese dal parlamento, provano quanto seriamente la Cina oggi pensi di essere minacciata. La lista dei terroristi potenziali in Cina in teoria è lunghissima. Ci sono i soggetti noti, come gli Uiguri che vorrebbero l'indipendenza della regione occidentale dello Xinjiang, che per loro è il Turkestan orientale.
Ci sono i seguaci di varie sette, gente come i Falun Gong che nel 2001 si sono dati fuoco a piazza Tiananmen e che ora potrebbero imitare i vicini giapponesi quelli che negli anni '90 sparsero polvere chimica mortale nella metropolitana. Ci sono gli operai licenziati che furibondi, si sono imbottiti di tritolo e si sono fatti esplodere sugli autobus.
Ma la nuova grande sfida sono gli integralisti musulmani. La questione è talmente scottante che ai giornali è stato proibito parlarne, eppure esiste, eccome. La Cina non vuole sollevare questioni religiose, specie con gli islamici. Ci sono circa 100 milioni di cinesi di fede musulmana. Ben 16 dei 55 gruppi etnici riconosciuti dal governo sono di tradizione islamica, uno di questi, gli Hui, sono cinesi Han come la maggioranza della popolazione, tranne che per il fatto di adorare Maometto. L'influenza e il potere di leva di questi musulmani sul potere centrale è enorme per svariati motivi.
La grandissima parte di loro non è un problema ed è ben poco religiosa. Non mangiano carne di maiale, ma bevono alcolici, non pregano, non vanno alla moschea. «Quando ci sono i pranzi ti invitano per un bicchiere di birra o grappa, che fai non bevi? Sembra che non sei un vero amico, che resti freddo - racconta il signor Feng, uno Hui che abita alla periferia della capitale e i cui antenati venivano dal Centro Asia - Poi come si fa a lavorare e pregare cinque volte al giorno? La moschea è un'altra cosa, è interessante andarci, ma venerdì è un giorno di ufficio...».
Ma c'è altra gente che la pensa diversamente. Non beve alcolici, si lascia crescere la barba e persino a Xi'an, antica capitale della Cina, cuore culturale del Paese, sede della più bella moschea cinese, sono arrivati i chador. Tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, in coincidenza con le ultime fasi della guerra in Afghanistan, l'Arabia saudita, ma anche l'Iran offrirono agli studenti islamici cinesi la possibilità di apprendere il Corano. Per Pechino si trattava di semplici borse di studio per l'estero, un modo di dare nuove possibilità ai ragazzi cinesi, ma nella maggior parte dei casi si trattava di scuole wahabite, alcune con insegnanti estremisti.
I giovani al ritorno spodestarono presto i vecchi mufti e mullah. I giovani sapevano l'arabo, capivano il Corano in originale, i vecchi recitavano le preghiere come suoni senza senso. I vecchi avevano una religione diluita dalla sabbia e dalla distanza dei deserti dell'Asia centrale, i giovani invece si erano abbeverati direttamente alla fonte della Mecca. Presto fecero proseliti, crearono una nuova atmosfera e in alcuni casi diedero inizio a un nuovo estremismo.
Nel caso degli Uiguri il nuovo fervore religioso si mischiò con l'ambizione per l'indipendenza, ma per gli Hui fondamentalisti la religione sfociava in odio per gli americani e per il governo di Pechino accusato di essere troppo vicino a Washington. Quando però il fenomeno è esploso, con gli attentati di New York, in Cina gli estremisti islamici erano già tanti. Da allora Pechino ha messo sotto controllo i predicatori delle moschee, ha arrestato i più radicali.
«Ho assistito alle operazioni anti terrorismo cinesi ma sono pazzesche: vanno lì con i cannoni, bombardano un villaggio e poi mandano dentro le truppe all'assalto quasi all'arma bianca - dice un funzionario per la sicurezza occidentale a Pechino - Ma così i terroristi fanno più facilmente proseliti, e invece di piccoli gruppi poi tocca loro affrontare una vera guerriglia».
Di certo però questi metodi in passato hanno funzionato, perché Uiguri nel 1996 misero una serie di bombe a Pechino, ma fu l'ultima volta che ci riuscirono. Oggi i poliziotti sperano che i loro controlli a tappeto su telefoni e telefonini di mezza Cina siano sufficienti a impedire l'arrivo della bomba. Ma sanno che per quanto strette le maglie di controllo su quasi 1 miliardo e mezzo di persone possono essere comunque abbastanza larghe da far passare un drappello di gente determinata.
Se un gruppo di cittadini cinesi oggi è nella prigione americana di Guantanamo, catturati nella guerra in Afghanistan, i loro amici, parenti sono ancora in Cina. Sicuramente loro non erano soli, avevano confratelli. Oggi, almeno noi, non sappiamo loro cosa fanno.
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