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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Internazionale Rassegna Stampa
29.08.2005 Un articolo grondante livore antiisraeliano
sul settimanale diretto da Giovanni De Mauro

Testata: Internazionale
Data: 29 agosto 2005
Pagina: 19
Autore: Rami G. Khouri
Titolo: «Gaza, ritiro ambiguo»
INTERNAZIONALE del 26 agosto -1 settembre 2005 pubblica un articolo di Rami G. Khouri, direttore del quotidiano libanese Daily Star, sul ritiro da Gaza.
Il fatto che definisca tutti i cosiddetti coloni, inclusi evidentemente i bambini, "pericolosi predatori di territori" è sufficiente a dare un' idea del livore antiisraeliano di Khouri, che, ignorando la storia e il diritto, equipara la presenza ebraica è Gaza a un furto con scasso.

Per Khouri Sharon resta un "razzista", dato che non ha deciso il ritiro da Gaza dopo essersi convinto che gli ebrei che vi vivevano erano "usurpatori", e il ritiro è solo una parte di ciò che Israele sarebbe tenuta a fare per guadagnarsi il diritto alla "sicurezza".
Tesi che, a ben considerarla, suona come un'esplicita giustificazione del terrorismo e delle stragi di civili israeliani.

Segnaliamo il fatto che Khouri definisce un crimine "la colonizzazione della Striscia di Gaza, della Cisgiordania, delle alture del Golan e delle altre terre arabe occupate": quali sarebbero le "altre terre arabe occupate" secondo lui? Forse Tel Aviv e Jaffa?
Segnaliamo inoltre che, contrariamente a quanto afferma Khouri, la convenzione di Ginevra permette l'insediamento di civili in territori occupati per finalità di sicurezza.

Ecco il testo:

Sul piano politico, il ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza è un fatto significativo e forse storico. Sul piano morale, invece, per il governo e i coloni israeliani è un cumulo di raggiri e bugie. Separare gli aspetti positivi di questo evento da quelli negativi è utile per capire se ci aspettano giorni migliori.

La colonizzazione della Striscia di Gaza, della Cisgiordania, delle alture del Golan e delle altre terre arabe occupate è un crimine da almeno tre punti di vista: è vietata dal diritto internazionale e dalla Quarta convenzione di Ginevra, che impedisce a una potenza occupante di trasferire propri cittadini nelle zone occupate. È condannata in decine di risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dell'Assemblea generale dell'Onu ed è respinta dalla comunità internazionale, che non riconosce la sovranità israeliana sui Territori.

I coloni israeliani sono pericolosi predatori di territori, e storicamente sono un anacronismo. Rappresentano l'ultimo legame con il colonialismo europeo del diciannovesimo secolo, che si fondava sul principio razzista che i bianchi potevano impadronirsi delle terre di ogni altro popolo perché i nativi – per il semplice fatto di avere la pelle più scura – avevano meno diritti.

Perciò, i riferimenti della stampa al "dolore" dei coloni di Gaza per essere rimandati in Israele – il loro paese – non sono né credibili né importanti. Costringere un ladro a smettere di rubare non può essere paragonato a infliggere dolore al criminale: equivale semmai a spingerlo a rispettare la legge.

È scandaloso e oltraggioso che il primo ministro israeliano Ariel Sharon dica, mentre Gaza viene evacuata, che lui preferirebbe restarci, ma che "le realtà nel paese, nella regione e nel mondo sono cambiate e ciò ha richiesto una diversa valutazione e un cambiamento di rotta".

Quindi con il ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza e da quattro piccoli insediamenti nel nord della Cisgiordania, Israele sta facendo la cosa politicamente giusta, ma forse per i motivi sbagliati. Perciò è improbabile che questa scelta porti a un accordo di pace definitivo ed efficace tra israeliani e palestinesi o tra arabi e israeliani.

Mi rattrista ma non mi sorprende che Sharon dica di lasciare Gaza perché le realtà politiche e demografiche sono cambiate. È una vergogna che siano state pochissime le voci in Israele o nella comunità ebraica mondiale a dire in modo chiaro che i coloni se ne vanno perché l'occupazione è illegale, moralmente sbagliata e politicamente controproducente, o che i palestinesi hanno il diritto di vivere in libertà e con la dignità di una nazione. Che messaggio potente sarebbe stato, e che grande spinta a negoziati di pace e a rapporti migliori con tutti gli arabi!

C'è un vasto consenso internazionale, infatti, anche sul fatto che Israele debba abbandonare i Territori occupati nel 1967, negoziare un accordo equo sulla questione dei profughi, condividere Gerusalemme e coesistere in pace con uno stato palestinese sovrano. Il profondo scetticismo sulle conseguenze del ritiro da Gaza riflette l'opinione, basata sull'esperienza, che Israele agisce solo pensando a come garantirsi la sicurezza attraverso l'uso della forza, anziché con il rispetto del diritto internazionale e della volontà della comunità internazionale.

Nel ritiro di Israele c'è qualcosa di politicamente ambiguo. Sembra un tentativo opportunistico, forzato e difensivo. È il gesto del ladro che decide di smettere di rubare in una parte della città solo per poter meglio svaligiare altri quartieri. Ma a parte questo, la realtà suggerisce che il ritiro unilaterale può far comunque avanzare il processo di pace, da tempo in stallo. La decisione è importante perché Israele si sta ritirando da terre arabe occupate e sta definendo parte dei suoi confini.

Queste tendenze vanno incoraggiate anche su altri fronti dove il paese occupa e colonizza terre arabe, ed è qui che i prossimi passi saranno importantissimi.
Se tutte le parti interessate – arabi, israeliani e comunità internazionale – si impegnassero davvero per mettere in chiaro che pace e sicurezza si possono raggiungere solo attraverso un processo politico pacifico, e non con la forza delle armi, potremmo avvicinarci a un accordo.

Ciò richiede che sia gli israeliani sia i palestinesi rispettino il diritto internazionale. E il modo per ottenerlo non è chiedere, in modo razzista e colonialista, ai palestinesi – occupati, dispersi e rinchiusi – di fare i bravi bambini prima di poter sperare di godere dei loro diritti umani e nazionali. È piuttosto che gli israeliani e i palestinesi che rispettano la legge e le risoluzioni dell'Onu possano aspettarsi di vivere in pace e sicurezza allo stesso momento.

Questa simultaneità ha un'importanza centrale per la pace, perché le due parti proseguiranno su un cammino di dialogo solo se saranno convinte di ottenere i loro diritti. Il ritiro da Gaza deve essere un segnale che Israele sta abbandonando l'occupazione come strumento per garantire la sua sicurezza, e non che sta restituendo alcune terre palestinesi solo per tenersene altre.
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