Israele condannata per l'attentato di Beersheba, Sharon per le accuse al figlio le sentenze del giudice Alberto Stabile
Testata: La Repubblica Data: 29 agosto 2005 Pagina: 5 Autore: Alberto Stabile Titolo: «Israele, il ritorno dei kamikaze - Nuovo colpo a Sharon, incriminato il figlio»
Cronaca scorretta dell'attentato di Beersheba quella di Alberto Stabile su LA REPUBBLICA di lunedì 29 agosto 2005. Stabile esordisce dichiarando che "l'attentato era nell'aria", e chiarisce il concetto alla fine dell'articolo, scrivendo :"L´attentato era, come si dice in Israele, scritto sui muri. Una "risposta" all´operazione militare compiuta dalle forze speciali la scorsa settimana a Tulkarem (cinque palestinesi uccisi, tra cui due ricercati e almeno un adolescente senza colpe) era attesa ". Dunque l'attentato non era "nell'aria" per via delle ripetute minacce, dei lanci di razzi qassam, degli accoltellamenti di ebrei a Gerusalemme, per la violenza e l'odio mai cessati. No, lo era perché si attendeva una "risposta" all'azione di Tulkarem: un tentativo di arrestare terroristi della Jihad islamica coinvolti nell'organizzazione di imminenti attentati suicidi e già responsabili di stragi a Tel Aviv e Netanya, eppure lasciati liberi di muoversi e di agire a proprio piacimento dall'Anp.Un arresto degenerato in uno scontro a fuoco quando i terroristi hanno sparato contro l'unità israeliana incaricata di catturarli.
A sostegno della sua tesi volta scaricare su Israele la responsabilità del terrorismo che la colpisce Stabile cita, in modo selettivo e impreciso, i "principali quotidiani" israeliani e le loro critiche all'operazione di Tulkarem.
In realtà, chiedersi se non sia necessario lasciare più spazio alla diplomazia che alla lotta al terrorismo non equivale a mettere in discussione la necessità che i terroristi, nemici mortali di Israele e della pace, siano messi in condizione di non nuocere e individuare nelle operazioni antiterroristiche le cause del terrorismo stesso, come fa Stabile.
Ecco il testo dell'articolo: GERUSALEMME - L´attentato era nell´aria, ma per fortuna la strage è stata soltanto sfiorata. Nel mirino dei terroristi, Beer Sheva, il capoluogo del Negev e, forse, il Soroka Hospital, la più grande struttura sanitaria della zona. L´accortezza di un autista e il coraggio di due uomini della sicurezza hanno intralciato i piani del kamikaze che, vistosi perduto, s´è fatto comunque saltare, ferendo le due guardie ma senza provocare la carneficina desiderata. Quanto è successo ieri a Beer Sheva, è sufficiente, tuttavia, a far temere una ripresa del ciclo di violenze, nonostante la tregua decisa dalle fazioni armate d´intesa con l´autorità palestinese. Il cui presidente, Abu Mazen, è stato deciso nel condannare l´attentato, anche se per il governo israeliano la mancata strage di ieri è una prova ulteriore di quanto poco abbia fatto per combattere il terrorismo. Otto e mezzo del mattino, ingresso della stazione degli autobus di Beer Sheva. Inizio della settimana lavorativa, viavai di persone, mezzi affollati. Un giovane s´avvicina all´autobus Numero 9, pieno di gente. Ha uno zainetto legato sulle spalle e un sacchetto di plastica in mano. Chiede all´autista (Rami è il suo nome, secondo la Radio israeliana) se il bus ferma al Soroka. A Rami basta un occhiata per insospettirsi. «No - risponde - questo non ferma all´ospedale. Devi andare all´altra fermata». E, immediatamente, lancia l´allarme a due agenti. Le due guardie «agganciano» subito il terrorista, lo seguono da vicino, ne scrutano i gesti, soppesano il suo bagaglio. In pochi secondi decidono che i sospetti dell´autista sono fondati. Chiamano in aiuto un altro agente e si avvicinano sempre di più al giovane con l´intenzione di fermarlo. Il terrorista si muove come un pesce fuor d´acqua. Non sa da che parte andare. Ha perso il momento giusto. Ripete le istruzioni imparate a memoria ma non trova niente che possa salvarlo dal fallimento. Solo l´illusione liberatoria di una morte inutile, una morte, comunque, da shahid. L´esplosione investe le due guardie, che ne escono coperte di schegge e di ustioni, ma vive. I medici diranno più tardi che uno dei due è in stato critico, mentre le condizioni dell´altro sono definite «serie ma stabili». Per il capo della polizia del Sud i due agenti si sono comportati da eroi, impedendo, in sostanza, la strage. Gli altri feriti sono, infatti, leggeri, molti hanno subito soltanto uno shock nervoso. L´attentato era, come si dice in Israele, scritto sui muri. Una "risposta" all´operazione militare compiuta dalle forze speciali la scorsa settimana a Tulkarem (cinque palestinesi uccisi, tra cui due ricercati e almeno un adolescente senza colpe) era attesa. Proprio ieri, i principali giornali commentavano criticamente l´operazione di Tulkarem, lanciata 24 ore dopo l´evacuazione degli insediamenti di Gaza, chiedendosi se non era venuto il momento, proprio a partire dal ritiro, di dare più spazio alla diplomazia, e di far scattare l´opzione militare soltanto in casi estremi di sicurezza. Non a caso, lo stesso presidente dell´Autorità Palestinese Abu Mazen, in un´intervista diffusa ieri mattina prima dell´attentato, pur definendo i fatti di Tulkarem «una provocazione» confermava il suo impegno a mantenere la tregua. Dopo un silenzio di alcune ore, in serata è arrivata la telefonata di rivendicazione dell´attentato, che sarebbe opera congiunta delle brigate Al Aqsa (legate a Fatah ma in netto dissenso sulla linea ufficiale contraria alla lotta armata) e le brigate Al Quds, affiliate alla Jihad islamica. Scorretto anche l'articolo di Stabile sull'incriminazione di Omri Sharon, figlio del premier israeliano. Nonostante il Procuratore Generale non abbia incriminato Ariel Sharon, e nemmeno l'abbia convocato come testimone, il giudice Stabile , giudicata "ridicola" la sua difesa, l'ha evidentemente già condannato.
Ecco il testo: GERUSALEMME - Il partito dei coloni già se la ride. Dopo aver tentato di bloccare il ritiro da Gaza sostenendo che si trattava solo di uno spregiudicato diversivo congegnato da Sharon per distrarre l´opinione pubblica dagli scandali che lo vedono protagonista, i difensori del Gush Katif avranno fatto salti di gioia nell´apprendere che il primogenito del premier, Omri, deputato del Likud, è stato incriminato dal tribunale di Tel Aviv per aver istituito fondi neri per finanziare la campagna elettorale del padre, nel 1999. Il Procuratore Generale, Menachem Mazuz, che nei confronti del premier aveva usato una certa generosità di giudizio in occasione dell´inchiesta sullo scandalo cosiddetto "dell´Isola greca", dal quale il primo ministro è uscito indenne, ha raccomandato al tribunale di condannare Omri ad una pena detentiva. Il figlio di Sharon, che ha rinunciato all´immunità parlamentare, rischia dunque l´arresto. Nell´atto di accusa non vengono risparmiati rilievi allo stesso primo ministro e al suo principale consigliere politico, Dov Weisglass, un avvocato di grido, legato a Sharon da un antico rapporto d´amicizia, decisivo, a quanto pare, nel fornire il supporto tecnico per la raccolta dei fondi. Il processo s´annuncia, dunque, come una passerella di celebrities politiche. Il beneficiario degli illeciti finanziamenti, Sharon padre, non è stato, tuttavia, citato tra i testimoni. In un certo senso, è stato lo stesso Sharon ha darsi la zappa sui piedi denunciando, forse convinto che nessuno avrebbe osato mettere in dubbio la sua parola, una spesa complessiva per la campagna elettorale del ‘99 pari a 910 mila shekel (210 mila dollari al cambio odierno). La legge prevede un tetto massimo di 826 mila shekel (180 mila dollari). Le indagini dimostrerebbero, invece, che Omri sarebbe riuscito a convogliare nell´intrapresa elettorale paterna circa un milione e mezzo di dollari. Sarebbe stato Weisglass a suggerire il meccanismo per drenare i fondi neri attraverso una serie di scatole cinesi, la principale delle quali era la società «Annex Ricerche», una istituzione privata «dedita alla promozione della democrazia». Spinto da un atteggiamento di assoluta dedizione nei confronti del padre, Omri ha fatto di tutto per dissimulare la vera ragione sociale di Annex. Ad inchiesta avviata, poi, s´è prima avvalso della facoltà di non rispondere e quando, messo alle strette, ha dovuto deporre sotto giuramento, secondo l´accusa ha commesso spergiuro. In tutto questo il premier s´è sempre trincerato dietro la giustificazione risibile di non essere mai stato al corrente degli affari dei figli. La possibilità, del tutto teorica, che dal processo emergano elementi sulla responsabilità del primo ministro, è quella che alimenta la speranza e la sete di vendetta dei coloni. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.