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La Stampa Rassegna Stampa
26.08.2005 Quando l'arte è al servizio dell'odio
in mostra l'antisemitismo, compreso quello mascherato da "legittima critica a Israele"

Testata: La Stampa
Data: 26 agosto 2005
Pagina: 57
Autore: Giovanna Zucconi
Titolo: «L’arte antisemita? Disgustosa, cioè bella»
Con un titolo sensazionalistico che non aiuta a capire i contenuti dell'articolo LA STAMPA di venerdì 26 agosto 2005 pubblica un interessanate articolo di Giovanna Zucconi che riportiamo:
Per anni Simon Cohen, ebreo, ha raccolto manifesti, illustrazioni, vignette contro gli ebrei. Il meglio, cioè il peggio, della propaganda antisemita. Ora la sua collezione sta per essere esposta al pubblico, a Londra in marzo, e già innesca discussioni. Ne dà conto il magazine del New York Times, riaprendo l'immane dibattito sul senso, sulla misura, sui possibili contraccolpi della memoria e della denuncia. Mostrare le immagini del pregiudizio, anzi di quel padre di tutti i pregiudizi che è l'antisemitismo, esorcizza o catalizza? È un virus, o è il suo vaccino?
Secondo il settimanale (ebraico) americano The Forward, sul quale scrissero Isaac Singer e Elie Wiesel, esistono soltanto due tipi di collezionista di materiali antisemiti: gli ebrei e i neonazisti. E Tim Benson, ebreo, a capo della Political Cartoon Society che ospiterà la mostra nella sua galleria londinese, è stato osannato dall'estrema destra inglese per avere scelto come migliore vignetta politica del 2003 la caricatura di Sharon che sbrana un bambino palestinese (didascalia: «Che c'è di strano, non avete mai visto un politico baciare i bambini?»), pubblicata dall'Independent il 27 gennaio di quell'anno. Cioè proprio nel Giorno della Memoria.
In mostra, la vignetta sarà la più recente di circa 300 immagini, dal Medioevo a oggi, con ovvia prevalenza dell'Europa nazista (poster italiani inclusi). Verrà esposta perché, dice il collezionista anti-antisemita Simon Cohen, un conto è criticare Sharon e la sua politica, un altro conto è riproporre l'antico stereotipo dell'ebreo che risucchia il sangue dei bambini per cuocere il pane matzoh, già vigorosamente ripreso dal giornale nazista Der Sturmer. Il disegnatore si è difeso, sostenendo che voleva evocare semmai il celebre Saturno che divora uno dei suoi figli di Goya.
Ascendenze e discendenze artistiche spalancano, anziché troncarla, la questione dell'efficacia e dell'ambiguità di queste immagini. A volte sono capolavori, anche se repellenti. A volte sono capolavori proprio perché repellenti. Lo stesso Simon Cohen, mostrando al cronista un'illustrazione tedesca con un sordido ebreo che guata lascivamente una ragazza, pare abbia commentato: «È bellissima. Cioè, è davvero disgustosa». Attrazione e repulsione: una variante particolare del collezionismo, che in genere ama i suoi oggetti. Racconta il curatore di una precedente mostra di iconografia antisemita, nel 2001 al Jewish Museum di Miami, di aver discusso a lungo il titolo. Stabilito infine in «The Art of Hatred», l'arte dell'odio - e in questo ossimoro c'è tutta la potenza delle immagini, e del problema che pongono: come si può cogliere il messaggio di una simile mostra, senza riconoscere il valore (perverso, ma sempre valore) delle immagini? L'intenzione pedagogica prevarrà sul rischio di emulazione?
Simon Cohen, che ha cominciato la sua collezione dopo che un parente è saltato in aria per l'attentato di un kamikaze palestinese, non ha dubbi: mostrare la genealogia delle nuove icone antisemite (magari mascherate da satira contro Israele) serve appunto a smascherarle. Altri invece dubbi ne hanno, eccome. Negli Stati Uniti, la mostra è stata rifiutata dal Simon Wiesenthal Center e dall'American Jewish Committee, mentre al Museum of Jewish Heritage di New York spiegano di esporre illustrazioni antisemite soltanto nell'ambito di mostre più ampie, per non dare loro eccessiva dignità. E per il direttore della sezione sulla Shoah all'Imperial War Museum di Londra, esiste anche il rischio opposto: immagini tanto grottesche possono fare pensare agli ebrei come pure vittime, che è l'altra faccia del pregiudizio.
L'orrore produce conoscenza, o è una sdrucciolevole scorciatoia, o peggio ancora può sdoganare sentimenti negativi inespressi? Una mostra come quella in programma a Londra rimuove alibi oppure li rafforza? E: chi andrà a vederla? Sia i contrari sia i favorevoli all'antisemitismo, preconizza il presidente dell'Holocaust Educational Trust, ciascuno per vedere confermati i propri sentimenti e le proprie opinioni: secoli di iconografia contro gli ebrei rischiano di essere un avallo, per qualcuno provano che così sono sempre stati e così saranno sempre: «l'antisemitismo non è un prodotto della ragione e non può essere combattuto con la ragione». E infatti il collezionista Cohen si appella (anche) alle viscere, alla reattività del metabolismo democratico. Dice che la sua è una provocazione. Più precisamente, che la satira anti-israeliana dovrà rivelare le sue radici ed essere combattuta al pari della propaganda razzista: affinché nella «correttezza politica» non si infiltrino tracce camuffate del persistente antisemitismo.
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