Disimpegno: Sharon in cuor suo sperava fosse un disastro? E' la tesi di Michele Giorgio quando la disinformazione si rifugia nell'inverificabile
Testata: Il Manifesto Data: 24 agosto 2005 Pagina: 3 Autore: Michele Giorgio Titolo: «Cisgiordania, il ritiro lampo»
Michele Giorgio aveva sostenuto, sul MANIFESTO, che il disimpegno israeliano sarebbe stato un disastro, voluto programmato da Ariel Sharon per dimostrare l'impossibilità del ritiro da Gaza. Il ritiro c'è stato, senza disastri, anche grazie all'eccezionale prestazione di un esercito preparato a disinnescare e non ad aiazzare i conflitti. I piani macchiavellici di Sharon diventano allora più modestamente "speranze" Scrive infatti Giorgio:"Se Sharon sperava in cuor suo in una maggiore opposizione dei coloni per dimostrare alla comunità internazionale che è impossibile l'evacuazione anche degli insediamenti della Cisgiordania (circa 130), allora ha fallito il suo obiettivo". Dal regno empirico dei fatti Giorgio si sposta, opportunamente, a quello inesperibile e romanzesco dei segreti del "cuore" (di cui il "macellaio" Sharon viene prontamente dotato), in cui ogni illazione è inverificabile e inconfutabile (pur restando, in questo caso, altamente improbabile).
La riuscita del disimpegno da Gaza e da quattro insediamenti minori in Cisgiordania è poi assunta a inconsistente "prova" della possibilità di evacuare tutti gli insediamenti, comprese città di migliaia di abitanti come Ariel.
L'insediamento di Sa Nur è detto sorgere su "terre palestinesi": in realtà, prima dell'arrivo degli ebrei non era che uan fortezza ottomana, con annessa moschea, poi utilizzata anche dagli inglesi durante il mandato.
Ecco l'articolo, pubblicato dal MANIFESTO di mercolesdì 24 agosto 2005: Sui prati e nei giardini fioriti di Sa-Nur restano solo bottiglie vuote di acqua minerale. Migliaia, ovunque, a testimoniare il caldo insopportabile che ha tormentato le centinaia di soldati, poliziotti, giornalisti e coloni che ieri hanno affollato questa minuscola colonia ebraica. Ma il sole rovente che picchiava sulla Cisgiordania è stato l'unico aspetto «caldo» di una giornata che ha visto i coloni e i loro alleati arrendersi, di fatto senza resistere, a Sa-Nur e nell'altra colonia di Homesh. Entrambe descritte alla vigilia come «roccaforti imprendibili», simbolo della resistenza dei «ragazzi delle colline», si sono rivelate persino più penetrabili di quelle di Gaza. A piegare gli «estremisti armati fino ai denti» che, secondo la stampa israeliana, popolavano Sa-Nur, sono bastati pochi spruzzi di gas lacrimogeno da parte dei poliziotti saltati sul tetto del loro fortino (la vecchia stazione di polizia del mandato britannico). Maryam Adler, l'ex deputato Elyakim Haetzni, l'ex generale Ariel Eldad, sono stati per tutta la mattina e il primo pomeriggio a urlare slogan contro l'esercito e il governo Sharon. Hanno minacciato, inveito, sbraitato ma alla vista dei soldati hanno alzato le mani. Più o meno uguali le scene viste a Homesh.
Con lo sgombero degli ultimi due insediamenti è dunque completato il piano di «disimpegno unilaterale dai palestinesi» voluto dal premier israeliano Ariel Sharon. Era cominciato il 15 agosto a Gaza, tra le critiche violente della destra israeliana più estrema. Invece tutto si è risolto in appena una settimana, contro le tre previste alla vigilia. Se Sharon sperava in cuor suo in una maggiore opposizione dei coloni per dimostrare alla comunità internazionale che è impossibile l'evacuazione anche degli insediamenti della Cisgiordania (circa 130), allora ha fallito il suo obiettivo. Gli ultimi giorni hanno chiarito che la colonizzazione ebraica dei Territori occupati può avere fine e che ai palestinesi può e deve essere restituita l'intera Cisgiordania.
Sharon tuttavia gode di un sostegno internazionale senza precedenti - anche una parte della sinistra italiana lo appoggia apertamente e ha smesso di analizzare criticamente ciò che accade sul terreno oltre allo sgombero di 25 colonie: questo gli consente da un lato di rinviare a tempo indeterminato l'applicazione della «Road Map» e dall'altro di ultimare la costruzione del muro in Cisgiordania, un capitolo del suo piano di «disimpegno» che Europa e Stati Uniti hanno già dimenticato.
Il presidente palestinese Abu Mazen si è affrettato a telefonare al capo di stato israeliano, Moshe Katsav, per elogiare la decisione del ritiro dalle colonie. Lunedì sera aveva telefonato a Sharon, al quale aveva detto di sperare che il ritiro «possa aprire una nuova pagina tra le due nazioni».
Le operazioni delle forze di sicurezza israeliane a Sa-Nur sono cominciate all'alba. Con l'aiuto dei bulldozer, i soldati hanno divelto i cancelli d'ingresso della colonia popolata un tempo da presunti artisti di origine russa. Una di loro, Giulia Segal, 67 anni, ieri si aggirava per la colonia assicurando che sarebbe stata «l'ultima a lasciare Sa-Nur». «Hanno detto che abbiamo armi e invece qui ci sono solo alberi, quelli che abbiamo piantato per dare da mangiare, un giorno, ai nostri nipoti», ha aggiunto con tono poetico - tralasciando il particolare che i palestinesi sono i veri proprietari della terra dove è stato costruito Sa-Nur. In tre luoghi esercito e polizia hanno trovato più resistenza: nella sinagoga, in un istituto di studi religioso e nel «fortino», un ex edificio ottomano trasformato in posto di polizia durante il periodo del Mandato britannico. Nella sinagoga e nella scuola Talmud i soldati hanno tolto agevolmente le barriere alzate dagli oppositori, si sono introdotti nei due edifici e li hanno sgomberati, usando sempre la stessa tecnica: quattro uomini per ogni singolo oppositore, sollevato per braccia e gambe e portato fuori. Nel pomeriggio poi, dopo un'inutile attesa di ore sotto il sole, i soldati sono riusciti a evacuare anche una quarantina di «irriducibili» ¡ rivelatisi molto arrendevoli - arroccati sul tetto del fortino. Da una delle tre gru innalzate intorno all'edificio, alcuni agenti hanno cominiciato gettare acqua con gli idranti mentre da due container sospesi la polizia spruzzava un po' di gas lacrimogeno sul tetto. Attaccati da due fronti, i «rivoltosi» si sono rifugiati sotto un tendone e a questo punto i poliziotti, dai container, sono riusciti a saltare sul tetto e prendere il controllo della situazione.
Anche a Homesh i soldati hanno trovato porte chiuse da mobili, finestre sbarrate, mura attorniate da filo spinato. Sui muri delle case scritte contro il ritiro: «L'espulsione equivale all'omicidio», »Chi sgombera con convinzione è come uno stupratore consumato». Un colono è uscito con le spalle avvolte dalla bandiera israeliana. «State andando contro questo stato. I vostri nonni si vergognano nelle tombe», ha detto ai soldati. Portati via i coloni, decine di poliziotti in assetto antisommossa hanno fatto irruzione sul tetto di una casa in cui gli estremisti si erano barricati dietro rotoli di filo spinato.
Dalle colline di fronte a quella di Sa-Nur, gli abitanti dei villaggi palestinesi hanno seguito con una certa soddisfazione le operazioni di sgombero. «L'esercito israeliano è venuto a raccomandarci di non uscire, per motivi di sicurezza, ma gli abbiamo risposto che questo per noi è il giorno più sicuro», ha raccontato Tawfiq Abu Assali, del villaggio di Assasa, a 300 metri da Sa-Nur: «Da oggi la regione per noi sarà un po' più sicura». Per anni i coloni sono stati fonte di problemi, di intimidazioni, specie durante il periodo del raccolto delle olive, il momento più importante per gli agricoltori palestinesi. La gioia degli abitanti di Assasa e di altri villaggi nel vedere i coloni ritirarsi è stata attenuata dal timore delle rappresaglie dei coloni che per due volte in pochi giorni hanno ucciso quattro palestinesi in Israele (Shefa Amer) e quattro in Cisgiordania. «Temendo rappresaglie, abbiamo costituito dei comitati di vigilanza di giorno e di notte. Seguiamo i minimi movimenti dei coloni. Sorvegliamo le nostre moschee e in particolare quelle che si affacciano sulla strada principale», ha riferito un responsabile locale di Fatah. Anche gli abitanti di Silat Zahar hanno atteso con impazienza lo smantellamento di Homesh e Sa-Nur. «Quello che abbiamo subito per 20 anni, nessuno al mondo l'ha mai patito. Non è passato un giorno senza che i coloni venissero nei nostri negozi a insultarci e a minacciarci», ha raccontato Abdallah Attia, il farmacista del villaggio.
Cosa accadrà nelle prossime settimane, se lo domandano in tanti. La prima mossa di Sharon, ha scritto ieri in prima pagina il Jerusalem Post, sarà la distruzione degli avamposti costruiti dai coloni in Cisgiordania, oltre alle 130 colonie già esistenti e riconosciute dal governo. Lo smantellamento degli avamposti potrebbe iniziare entro 90 giorni. Il quotidiano liberal Haaretz ha invitato il premier ad andare avanti. «E' ora di andare al disimpegno dagli avamposti», ha esortato in un editoriale. Le previsioni parlano invece dei laburisti che potrebbero uscire al governo e di elezioni anticipate. Sharon, che ha dietro solo un terzo del suo partito, rischia di perdere la leadership del Likud e quindi di non essere più il premier dopo il voto. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.