Poteva essere una tragedia, è stato un fatto storico che rivela la forza morale dell'esercito israeliano analisi dopo la conclusione del disimpegno
Testata: Libero Data: 24 agosto 2005 Pagina: 15 Autore: Angelo Pezzana Titolo: «Sharon vince la scommessa: ritiro concluso in anticipo»
LIBERO di mercoledì 24 agosto 2005 pubblica un articolo di Angelo Pezzana che riportiamo: Fra qualche giorno una parola non avrà più cittadinanza nel linguaggio quotidiano degli israeliani. E' "itnatkut", evacuazione. Lascierà dietro di sè problemi non ancora risolti, ma non sarà più accompagnanta da un senso di paura per quello che poteva succedere. Migliaia di giornalisti, arrivati da ogni parte del mondo stanno per fare le valigie. Molti fra loro, rammaricandosi di non aver potuto raccontare nè guerra civile nè violenza, se ne andranno senza essersi accorti di un fatto straordinario, di aver assistito ad un evento unico, il comportamento di cittadini in lotta contro una decisione del proprio governo e di come un governo, attraverso esercito e polizia, ha saputo rispondere alla loro protesta. Che Tsahal e polizia avessero ricevuto un addestramento particolare si era capito sin dall'inizio dell'evacuazione di Gush Katif. Un minimo errore - che non c'è stato- avrebbe potuto far saltare ogni equilibro. Ma l'evacuazione di Homesh e Sa-Nur ieri ci ha dato la misura esatta del fatto che Israele non sarà mai un paese come gli altri , per il semplice motivo che tutti gli altri paesi, anche quelli che abitualmente citiamo quando vogliamo parlare di paesi di democrazia compiuta, non saranno mai come Israele. Perlomeno non lo sono ancora. Seguire ieri lo sgombero della Yeshiva (scuola religiosa) di Homesh è stata un'esperienza ricca di grande emozione. Dentro la sala ci sono una quarantina di ragazzi,duri e determinati, visibilmente stanchi, qualcuno in preghiera altri cantano le lodi al Signore, qualcuno piange, tutti portano la kippà, non solo quelle all'uncinetto, tipiche degli ortodossi, ma di ogni foggia e misura. Non hanno lo sguardo scuro e severo dei pochi adulti che sono lì con loro, hanno dei visi aperti, sereni anche se arrabbiati e arroganti. Si permettono di inveire contro i soldati, loro che fra qualche anno indosseranno la stessa divisa e capiranno cosa significa difendere il paese che adesso vedono attraverso le lenti del fanatismo religioso. Dimostrano con la loro scelta quanto l'influenza dell' estremismo religioso abbia prodotto risultati disastrosi. Non hanno l'aria di chi ha paura. Saranno anche coraggiosi, ma si capisce che sanno di non correre alcun pericolo, sanno che non gli verrà torto un capello e che alla fine della storia quasi sicuramente non avranno nemmeno noie legali. La maggior parte di loro è venuta in questi due insediamenti solo negli ultimi mesi e giorni. Fra poco ritorneranno nelle loro case, lontane dalla Cisgiordania, senza aver mai condiviso realmente la vita dei settlers. Non si può dire che vivono questa avventura come un gioco, magari l'analisi fosse così semplice. L'estremismo religioso che li distingue ha radici più profonde e pericolose, arrivano dalla crisi che il sionismo ha subito negli ultimi trent'anni, dando origine ad una ideologia che rischia di cancellare i valori laici e democratici della fondazione dello Stato. Si sono arrampicati sulle colline di Homesh e Sa-Nur e adesso sono lì in quella stanza mentre i soldati stanno aprendo porte e finestre con la fiamma ossidrica per entrare.La tensione è fortissima, ma svanisce immediatamente mentre guardiamo sbigottiti i soldati che entrano facendo attenzione a non pestare questi ragazzi stesi per terra, evitando di urtarli anche minimamente. Spostano le tavole che erano state ammassate per impedire l'ingresso, inscatolano con cura tutti i libri religiosi che stavano ancora sugli scaffali, mentre confabulano tra loro su come traspostare fuori tutti quei giovani che cantano,piangono, che hanno i volti dei ragazzini di qualunque paese occidentale, dei visi che rivelano come siano cresciuti in un paese e in famiglie allevati a sport e vitamine. I soldati di Tsahal sono gentili, e non solo per via degli ordini, si vede, sono pieni di sopportazione e pazienza, solidali anche. Dove, ci chiediamo, in quale altro paese civile e democratico, un esercito si comporta così ? E quali dimostranti avrebbero scelto di comportarsi come i ragazzi che vediamo dentro la Yeshiva ? In qualunque altro paese una situazione simile a quella di questi giorni si sarebbe risolta in ventiquattr'ore con la forza. Non qui, non in Israele. Adesso i soldati sono entrati, il problema è far uscire chi è dentro. Portarli fuori non è semplice. Anche se fanno resitenza passiva i loro corpi sono attraversati da scatti nervosi, tre soldati per ogni dimostrante non sono sufficienti. La parte più difficile è all'inizio, quando sono ancora tutti a terra con gambe e braccia unite ad altre gambe e braccia. Staccarli, senza provocare nemmeno un livido o un graffio è maledettamente difficile. Eppure ce la fanno. Qualche giovane, stimolato forse dalla presenza delle televisioni, aggiunge alla protesta anche un inizio di dialogo, chiede ai soldati perchè sono lì a portare via degli ebrei dalla loro terra. I soldati rispondono spiegando per l'ennesima volta che questa è una decisione del governo e Israele è una democrazia, e intanto danno da bere acqua a tutti. Le lor mani si posano sulle spalle di questi giovani con l'attenzione e l'affetto che potrebbero avere per dei loro fratelli. Non è retorica, chi ha seguito quelle immagini può testimoniarlo. Quale paese può vantare un esercito simile ? Quando mai si assistito ad un fatto che a detta di tutti gli osservatori poteva trasformarsi in una tragedia, mentre invece è stato sì un fatto epocale ma niente di più ?. Ebbene, è successo in Israele nell'agosto 2005, nel mese di Av dell'anno ebraico 5765. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Libero. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.