Eric Salerno show Riscrive il passato, travisa il presente e stravolge le prospettive future.
Testata: Il Messaggero Data: 23 agosto 2005 Pagina: 8 Autore: Eric Salerno Titolo: «Li aspettiamo, pronti a tutto»
IL MESSAGGERO di martedì 23 agosto 2005 pubblica a pagina 8 un articolo di Eric Salerno sui preparativi all’evacuazione, da parte dell’esercito israeliano, di due insediamenti in Cisgiordania:
Quello di oggi è un Salerno in grande spolvero. Mentre Anna Guaita, l’"americanista" del MESSAGGERO scrive il terzo articolo in due settimane sui Rolling Stones solo perché hanno composto una canzone conto Bush, il nostro "eroe", per non segnare il passo, stabilisce una sorta di primato di insolenze verso Israele. In primo luogo, il Nostro sceglie di intervistare, tra i tanti, il più estremista dei coloni possibile, che in tal modo fa apparire come una specie di portavoce delle posizioni dei coloni della Cisgiordania ed un interprete dei loro sentimenti collettivi. Questo tale, di nome Shaul Halpon, arriva persino a sentenziare "con aria di speranza" che «Tanto chi distrugge una sinagoga [ossia Sharon] non vivrà più di una anno».
Ma oltre alla scelta del "campione rappresentativo", Salerno ci ammannisce altre prelibatezze. Per esempio scrive: Nel 1953 Shaul Halpon era in quello stesso reparto speciale dell’esercito, l’unità 101, comandato da Ariel Sharon, che colpì duramente la popolazione di Gaza. Salerno ridisegna il contesto storico del ’53, omette di menzionare le continue e disastrose infiltrazioni di feddayn da Gaza di quegli anni e, con espressione lapidaria, fa apparire l’unità di Sharon come una banda di lanzichenecchi ("colpì duramente la popolazione di Gaza").
Ma il meglio Salerno lo dà allorché abbandona le vesi di giornalista per indossare quelle di esperto di strategia militare. Ecco cosa arriva a scrivere Salerno vesione von Clausewitz: Lerner [Un colono della Cisgiordania] indica l’orizzonte oltre le colline più vicine. «Là c’è la costa e le nostre città. Quando i palestinesi controlleranno Homesh potranno lanciare missili nel cuore d’Israele». Inutile ribattere che questo paese ha uno degli eserciti più forti del mondo. Combattere una guerriglia per sostenere l’occupazione è fallimentare, ma rispondere all’eventuale attacco da uno Stato sovrano – quello che i palestinesi rivendicano – è un gioco da ragazzi. Con i tempi che corrono, quando un giornalista magnifica le capacità militari di Israele c’è spesso puzza di bruciato. L’immagine evocata è quella classica di tutta l’iconografia giornalistica progressista: il Davide palestinese contro il Golia israeliano. In merito al brano riportato, abbiamo l’ardire di notare come le preoccupazioni espresse da Lerner, alla luce di 5 anni di intifada, appaiano tutt’altro che infondate, e non è il caso di tentare di ridicolizzarle sostenendo che il contrasto di un attacco da parte di uno stato palestinese rappresenterebbe un "gioco da ragazzi". Inoltre non si comprende bene perché i tentativi di combattere il terrorismo – che, si badi, nel caso palestinese va chiamato "guerriglia" - siano votati al naufragio in regime di occupazione mentre, improvvisamente, acquistino efficacia – anzi divenino "un gioco da ragazzi" – una volta concessa l’indipendenza ad uno Stato palestinese (che internazionalizzerebbe la questione, rendendola più complicata, sia sul piano operativo, che su quello dell’opinione pubblica e del diritto internzionale). In realtà, dietro questi ragionamenti arzigogolati, si cela il tentativo del Nostro di screditare la lotta al terrorismo come prerequisito per la prosecuzione dell’iter negoziale.
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