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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.08.2005 Lorenzo Cremonesi perde un'occasione per fare chiarezza su un falso antiisraeliano
Tzahal non ha ucciso Mohammed al Dura

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 agosto 2005
Pagina: 5
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Gaza, l'era delle colonie ebraiche è finita»
Il CORRIERE DELLA SERA di martedì 23 agosto 2005 pubblica un articolo di Lorenzo Cremonesi, "Gaza, l'era delle colonie ebraiche è finita".
Vi si legge: "L'incrocio stradale di fronte a Netzarim è entrato nella mitologia resistenziale palestinese dall'autunno Duemila, quando il dodicenne Mohammad al Dura fu ucciso con il padre in una sparatoria ripresa in diretta dalle tv di tutto il mondo".
Cremonesi, citando questo episodio, ha perso un occasione per fare opera di verità su una vicenda oscura, utilizzata dalal propaganda palestinese per scatenare la violenza.
Le accuse ai soldati israeliani si sono rivelate false sulla base di inchieste indipendenti: non possono essere sati loro a colpire Al Dura.
Inoltre, forti dubbi sono emersi sulla veridicità del filmato, mentre è sttao provato che il reporter francese Charles Enderlin ha mentito: i 27 minuti di ulteriri immagini che aveva dichiarato di non volere mostrare perché troppo violenti non sono mai esistiti (vedi l'intervento di Fedrico S teinhaus "Anche la verità spiana la via verso la pace: demolizione di una leggenda infamante", Informazione Corretta 24-12-04, anche nella rubrica "Osservatorio internazionale")

Ecco il testo:

Dalle sette di ieri sera Gaza ebraica non esiste più. I circa 500 residenti dell'ultima colonia — la più remota, la più isolata nel cuore delle zone palestinesi — avevano chiesto di essere lasciati in coda, alla fine dell'operazione.
«Se ci permettete di restare sino a lunedì, non opporremo resistenza», aveva detto una settimana fa il rabbino capo locale, Zion Tawill, al comandante delle truppe incaricate dell'evacuazione, generale Dan Halutz. Permesso accordato. In 5 giorni (escluso il riposo del sabato ebraico) esercito e polizia hanno fatto evacuare i circa 7.500 ebrei residenti nelle altre 20 colonie di Gaza. Un'operazione molto più veloce delle quattro settimane preventivate e molto più indolore. A metà mattinata di ieri, è stata la volta di Netzarim. Ci siamo arrivati verso mezzogiorno, dalle dune di sabbia che conducono ai quartieri meridionali della Gaza palestinese. Una zona che ha conosciuto fortissime tensioni. Sono stati decine gli attacchi di ogni tipo contro la colonia ebraica negli ultimi anni. L'incrocio stradale di fronte a Netzarim è entrato nella mitologia resistenziale palestinese dall'autunno Duemila, quando il dodicenne Mohammad al Dura fu ucciso con il padre in una sparatoria ripresa in diretta dalle tv di tutto il mondo. «Ora finalmente potrò raggiungere i miei genitori che vivono a Sud, verso Rafah, in 20 minuti. Finora ci volevano ore, con tutti i posti di blocco israeliani vicino a Netzarim», sostiene allegro Mustafà al-Alami, proprietario di un ristorante vicinissimo ai fili spinati che circondano l'insediamento. Poco lontano i bulldozer e le ruspe israeliani sono al lavoro. La trentina di abitazioni della piccola colonia di Peat Sadeh sono già completamente abbattute. E almeno tre quarti nella molto più grande di Ganei Tal, per lo più ville di lusso circondate da palme e fiori esotici. Ci vogliono meno di 20 minuti per distruggere una villa a due piani. I bracci meccanici le abbattono mentre ancora qualche colono si aggira smarrito per salvare gli ultimi beni dimenticati dal trasloco: un lampadario, i pesci rossi in cucina, i condizionatori nelle camere dei figli.
Per i palestinesi è un sogno che diventa realtà. Per i coloni un incubo concretizzatosi troppo rapidamente, una tragedia con cui la maggioranza di loro non è ancora in grado di fare i conti. A Netzarim ieri mattina soldati e coloni hanno pregato assieme nella sinagoga. I soldati si sono dimostrati ancora una volta estremamente sensibili alle sofferenze dei coloni. Nessuna risposta violenta alle provocazioni. Hanno atteso con pazienza prima di organizzare il convoglio di autobus e auto private che ha condotto gli abitanti fuori Gaza. Quasi tutti i coloni hanno quindi raggiunto assieme il Muro del Pianto a Gerusalemme. Tempo di una nuova preghiera con la promessa del «ritorno a Gaza, alla nostra terra della Bibbia». Quindi ancora un viaggio a Ariel, la colonia che li ospiterà per i prossimi mesi. Poco prima gli stessi coloni avevano denunciato tre giovani estremisti infiltrati dalla Cisgiordania che avevano scritto con lo spray slogan minacciosi sui muri delle case a Netzarim. «Sharon, Hitler è fiero di te». «Abbiamo bisogno di un nuovo Yigal Amir», riferendosi all'estremista ebreo che nel novembre 1995 assassinò il premier laburista Yitzhak Rabin. Una violenza finora contenuta e repressa, che però potrebbe esplodere oggi, quando circa 5.000 agenti saranno incaricati di far evacuare le due colonie (le altre due sono già state abbandonate volontariamente) della Cisgiordania settentrionale. Si temono scontri con i circa 2.200 estremisti asserragliati a Homesh e Sa-Nur. Sharon sa bene di essere nel mirino delle destre. Ieri è stato duramente apostrofato durante la riunione con la Commissione Affari Esteri e Difesa del parlamento. «Bugiardo, corrotto, imbroglione, crudele, hai fatto precipitare Israele in nuovo baratro di corruzione», gli ha urlato l'ex ministro Uzi Landau, dimessosi per protestare contro il ritiro. Il premier replica ripetendo i principi della sua politica così come espressa da almeno un anno: ultimato il ritiro da Gaza riprenderà la costruzione di abitazioni nei principali «blocchi di insediamenti» ebraici in Cisgiordania: al Jerusalem Post, Sharon ha specificato il desiderio di costruire a Maale Adumim, presso Gerusalemme, a Gush Ezion e sulla collina di Ariel. Una posizione che, insistendo sulla necessità di rafforzare alcune delle principali colonie, non esclude tuttavia la possibilità di smantellarne altre in Cisgiordania.
Dall'altro lato però ci sono dei progressi anche nel dialogo con i palestinesi. Ieri il presidente Mahmoud Abbas ha telefonato a Sharon. Si sono parlati per 5 minuti, la prima volta dall'incontro di giugno. «Saremo — gli ha detto Abbas — i vostri partner per la pace».
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