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La Stampa Rassegna Stampa
23.08.2005 Ritiro: ora tocca alla Cisgiordania
reportage di Fiamma Nirenstein da Chomesh e Sa Nur

Testata: La Stampa
Data: 23 agosto 2005
Pagina: 6
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Baciare i soldati che ci portano via? Noi non ci stiamo»
LA STAMPA di martedì 23 agosto 2005 pubblica un articolo di Fiamma Nirenstein, che riportiamo:




















Tutti hanno paura di Chomesh e di Sa Nur. Eppure sono due piccoli insediamenti nel largo paesaggio collinare della Samaria, dove la terra è rossa e gli ulivi crescono a stento ma con determinazione. Ci addentriamo nel cuore del West Bank, verso i luoghi che si teme possano spezzare con episodi di violenza la relativa quiete in cui si è svolto lo sgombero. Oggi dovrebbero sparire i quattro insediamenti della Samaria e così concludersi il piano di disimpegno unilaterale di Arik Sharon. Due, Kadim e Ganim, hanno fatto da sè: la gente ha impacchettato le sue cose e se n’è andata. Si tratta di villaggi completamente laici, scelti per la qualità della vita e per la speranza, apparentemente realizzatasi fino alla prima Intifada, di costruire un’amicizia e una consuetudine di vita con la gente palestinese di Jenin e di Shkem. Gli altri due, a popolazione mista religiosa e laica, sembrano, nonostante molte smentite, decisi a passare dalla resistenza passiva a una vera lotta. Una scelta che non è in realtà dei residenti, ma delle migliaia di infiltrati, forse 2.000, che sono riusciti a entrare. Limor Ha Melech, a Homesh da tre mesi, dichiara apertamente le sue intenzioni: «Non ci è piaciuto lo stile diasporico di Gaza: perché tutti questi baci e abbracci con i soldati e i poliziotti, quando ci privano della nostra casa? A che ci serve? Noi non ci stiamo».
GLI ESTENUANTI POSTI DI BLOCCO
Mentre saliamo verso Chomesh e Sa Nur si capisce che l’allarme è rosso: fin da Gerusalemme ci bloccano estenuanti blocchi militari dove la nostra identità di giornalisti viene minutamente verificata. Ai lati della strada accampamenti improvvisati e mezzi corazzati. Colonne di macchine della polizia in marcia. I soldati non parteciperanno direttamente allo sgombero, solo la polizia e la guardia di frontiera: «Questo - ci dice Yaffit, 28 anni, madre di 6 bambini - dimostra che Sharon vuole usare contro di noi più forza possibile, anche se noi non la useremo sarà difficile uscire di qui senza le ossa rotte». Avrebbe preferito l’esercito? «Non me ne importa, se non per motivi contingenti. Mi sento distaccata da quelle divise che prima erano per me simbolo della patria e della sicurezza. Non è il mio esercito, sono i soldati di Sharon che compiono un gesto folle, crudele». Chomesh gode, come Sa Nur, di una meravigliosa vista dall’alto della Samaria e della Galilea. Il villaggio, specie nella parte più vecchia, edificata nel 1977 dai pionieri laici, ha il fascino modesto e poetico dei primi insediamenti; si allargò nell’87 quando arrivò un gruppo di artisti, scultori, pittori, poeti, che ne fecero un atelier e una mostra permanente fra gli ulivi.
CI SI PREPARA A DARE BATTAGLIA
Adesso sono rimaste solo una trentina di famiglie locali più 1.400 «giovani delle colline», ragazzini nemmeno diciottenni in uno stato di esaltazione mistica, che pare abbiano preparato brutte sorprese per i poliziotti. Si parla di armi, di granate, di mazze di acciaio. Lo stesso si dice di Sa Nur, dove l’intenzione di dar parecchio da fare alle forze dell’ordine è più plastica per il troneggiare in mezzo al villaggio di una fortezza diroccata del tempo del Mandato britannico. Dentro le sue mura, si dice abbiano trovato posto molte armi improprie e sul tetto si vedono provviste di viveri. «Tonno - elenca il portavoce Yossi Dagan - e poi biscotti e acqua. Piantiamola di criminalizzarci. Fa comodo a Sharon per poter giustificare domani l’uso della violenza contro di noi. Abbiamo consegnato alcuni giorni fa, qui e a Chomesh, le nostre armi private. Il resto è pura invenzione». Facciamo presente a Dagan che la gente del villaggio ha estromesso tre giovani infiltrati. Non solo: già da alcuni giorni i «giovani delle colline» compiono autentiche aggressioni ai soldati che nella zona devono ormai difendersi su due fronti, quello consueto dei palestinesi e quello degli estremisti. Ci sono state botte e non si contano i pneumatici tagliati,i chiodi «ninja» e l’olio disseminati sulla strada dell’esercito; un gruppo di capelloni scatenati (anche se con le kippà e il tradizionale piccolo tallit dei religiosi) ha assalito un camion tirando giù il soldato che lo guidava, che ha dovuto estrarre la pistola.
ANCORA I GIOVANI DELLE COLLINE
Nelle ultime due notti sono stati fermati ancora un migliaio di giovanotti che tentavano di infiltrarsi. Uno che ci è riuscito è Yoni Cahana: sembra un ragazzo uscito da un pub, atletico e con gli occhiali scuri, fa invece parte degli Habad, il più mistico fra i gruppi messianici: «Faremo tutto quello che occorre per evitare questa tragedia che allontana la venuta del Messia, lo faremo per amore di Israele». Lo sa che dal tetto di Kfar Darom è stato gettato acido solforico sui soldati? È amore per Israele? «Noi cercheremo di evitare ogni violenza», risponde poco convinto. «Spero che le cose si svolgeranno in modo tranquillo, anche se la gente tiene alla propria dignità». Il famoso chirurgo plastico e parlamentare Arieh Eldad, un intellettuale che parla in modo raffinato e pieno di ira e che ha salvato migliaia di vite palestinesi e israeliane, si è trasferito alcuni mesi fa a Sa Nur: «Noi leader e anche i rabbini sappiamo come parlare a questi ragazzi. Sono preoccupato, ma non troppo».
PRESI FRA DUE FUOCHI
Durante la notte di attesa arrivano anche numerosi allerta: le organizzazioni terroristiche palestinesi hanno tutta l’intenzione di dimostrare che anche dallo Shomron gli ebrei scappano a causa dei loro attacchi. E guardando la mappa si vede come Sa Nur e Homesh siano giusto al centro di un triangolo formato da Jenin, Shkem, e Tulkarem.
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