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La Stampa Rassegna Stampa
21.08.2005 Hamas vuole trasformare il ritiro da Gaza nell'inizio di una nuova guerra
reportage di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 21 agosto 2005
Pagina: 2
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Gaza non basta ai duri di Hamas»
LA STAMPA di domenica 21 agosto 2005 pubblica un reportage di Fiamma Nirenstein da Gaza.

Ecco il testo:

E' un autentico dilemma quello che si annida nella mente della gente di Gaza nei giorni in cui gli israeliani se ne vanno. I tre missili piovuti ieri sugli insediamenti smantellati per dimostrare alla popolazione che la violenza vince, non sono l'unico gioco sul tavolo. La gente comune, che in questi anni ha sofferto i check point, la miseria, il sovraffollamento, gli espropri, la mancanza di lavoro, i morti e i feriti colpiti come effetto collaterale della guerra che Israele ha portato ai terroristi fino in casa, la distruzione degli edifici collegati agli attentati dell'Intifada, prova un'istintiva gioia, la speranza di giorni quieti e di una migliore situazione economica e umana. E avverte un curioso straniamento nel vedere i bulldozer che distruggono le case dei loro nemici settler.
Come dice Eyyal Sarraj, rifugiato del 1948 e famoso psicologo di Gaza che si occupa dell'effetto della guerra sulla mente dei giovani: "Vedere i coloni strappati dalle loro case e cacciati, privati di tutto, scoprirli in veste di vittime, solleva in alcuni qui lo strano senso di vivere una disgrazia comune, di essere preda del medesimo crudele destino".
Fra i palestinesi di Gaza balena anche la sensazione del riaprirsi di un mondo lontano, bello e variegato, fuori della società chiusa e asfittica dei campi profughi: qualcuno che non è stato più fuori negli ultimi dieci anni sogna di poter finalmente fare delle cose normali, viaggiare, lavorare in Israele. Magari a Tel Aviv, che agli occhi della gente di Gaza è un mondo a parte, dove non ci sono settler e soldati, ma gente con cui si è lavorato, caffè dove ci si può sedere, mangiare un panino, vedere il mondo: "Andavamo a trovare Chaim, il padrone della panetteria dove lavoravo, anche nei giorni di festa. E lui venne a Gaza al mio matrimonio e per la nascita dei miei figli", racconta Najib. Gli abitanti delle cittadine e dei campi profughi confinanti con il Gush Kativ, a Dir el Balah come a Khan Yunis, aspettano di rientrare in possesso della terra che appartenne alle loro famiglie. Si ricordano con dolcezza l' orto, le capre e anche la fase in cui era bello lavorare fianco a fianco, ebrei e palestinesi.
Molti conservano le vecchie chiavi delle abitazioni del '48, anche se non esistono più sono la prova di un'ineludibile appartenenza. Già da giorni in queste città si festeggia e si trepida. Il sindaco di Khan Yunis, Osama al Farrah, lavora entusiasticamente a un progetto di risistemazione di tremila famiglie di profughi in nuovi appartamenti di 200 metri quadri: "Costruiremo grandi case verticali, le villette col tetto rosso non fanno per la nostra sovrappopolazione. Abbiamo già una donazione di 1000 milioni dollari dagli Emirati Arabi Uniti per avviare le costruzioni; e anche per riavviare il turismo, partendo dal vecchio Hotel delle Palme. Di fronte, sulle vecchie rovine si potrebbe costruire un porticciolo. Però.." .
Il però di Osama è quello di tutta la situazione politica: solo 146 famiglie sulle 790 interpellate vogliono firmare il gradimento per una nuova casa fuori dai campi dell'Unrwa. Al solito, i profughi palestinesi conservano il loro destino per il sogno, spontaneo o indotto da una leadership che lo usa per i suoi scopi, di tornare un giorno a Beersheba, a Tel Aviv, ad Acco da padroni.
Su questo sentimento giocano pesantemente le varie parti politiche, sollecitandolo e solleticandolo per i loro scopi. Ieri a Gaza City, dove si seguita a celebrare quella che da tutti viene chiamata la "vittoria", preparandosi a prendere possesso delle zone evacuate, la battaglia fra l'Autonomia Palestinese di Abu Mazen e Hamas era visibile piazza per piazza. Il presidente ha fatto un discorso in cui non ha rinunciato a riaffermare che la conquista della Striscia è merito dei "martiri", gli shahid dell'Intifada. Poi, però ha annunciato che l'Autonomia annetterà tutto il territorio liberato e che mercoledì 25 gennaio si terranno le elezioni, un dono a Hamas per evitare che si ribelli proprio adesso. Ma intanto dozzine di uomini di Hamas, armati e mascherati, bloccavano le piazze di Gaza e una quarantina di miliziani in nero e verde con i mitra e i lanciamissili da spalla imbracciati ascoltavano uno dei leader, Abu Obaideh, ripetere, al solito, che: "Lo sgombero è solo l'inizio, non la fine della nostra conquista, abbiamo intenzione di proseguire con tutte le nostre forze nell'attacco armato che ci ha conferito la prima vittoria".
Mentre Abu Mazen ripeteva in piazza che "questi sono giorni di gioia e di ricostruzione, rimetteremo in funzione l'aeroporto e rinasceranno più belle le case distrutte; daremo il 5 per cento dei nuovi posti di lavoro ai disabili", a Damasco il capo di Hamas, Khaled Mashal, minacciava "guerra all'entità sionista"; e Mohammed Zahar, capo di Hamas a Gaza, dichiarava al giornale londinese Asharq al Awsat: "Non riconosceremo nessun diritto di esistenza a Israele: occupa la terra islamica che appartiene a tutti i musulmani. La fuga degli ebrei da Gaza incoraggerà il morale di tutto il mondo arabo e musulmano e la lotta in Afghanistan e in Iraq ne avrà una grande spinta". Adel Al, portavoce a Gaza, precisava la svolta strategica: "Siamo pronti a spostare tutta la nostra tecnologia e le nostre strutture della lotta armata nella West Bank e poi a Gerusalemme".
Secondo l'esperto di cose arabe Khaled Abu Toameh una delle espressioni piùallarmanti sono le poesie di vittoria per le celebrazioni dell'uscita definitiva degli ebrei da Gaza. E'stata indetta una gara per pitture e canti e mercoledì scorso è stata presentata una quantità di versi come questi del poeta Khamis Lufti: "Nessun straniero ha durato a lungo sulla nostra terra. La nostra storia lo testimonia. La pace con te, Israele, rimarrà una menzogna e la tua esistenza sarà impossibile. Tu svanirai e noi continueremo a esistere". O questi, di Fida Awni: "Sorgi soldato arabo, la terra ha bisogno dei suoi cavalieri! La terra desidera i nipoti di Saladino e degli Ottomani che con le spade fondarono i loro stati". E ancora, Ibitisam Mustafa: "O brigate, state pronte, Gaza è tornata nostra! Preparatevi a liberare il resto della terra, espellete i sionisti. Oh Hamas, libera Gerusalemme con la forza dei tuoi soldati e dei tuoi razzi". Sarebbe bello e soprattutto molto vincolante per Israele e per la Road map se si scoprisse fra le poesie una canzone di pace.
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