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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.08.2005 Il conflitto tra Stato e Sinagoga e le nuove responsabilità dei palestinesi
l'opinione dello scrittore israeliano Amos Oz sul ritiro da Gaza

Testata: Corriere della Sera
Data: 20 agosto 2005
Pagina: 1
Autore: Amos Oz
Titolo: «Noi liberi dai coloni»
Riprendiamo da CORRIERE DELLA SERA di sabato 8 agosto 2005 un articolo che esprime l'opinione di Amos Oz sul ritiro da Gaza.

Ecco il testo:

I coloni ebrei di Gaza e Cisgiordania hanno un sogno per il futuro di Israele. Anch'io ne ho uno. Il loro dolce sogno, però è il mio incubo e i miei sogni, il loro veleno. I coloni sognano di creare una "Grande Israele" con insediamenti ebraici sparsi ovunque. In questi insediamenti potranno risiedere solo ebrei e ai palestinesi sarà consentito entrare solo per lavoro, per impieghi umili e sottopagati. In uno Stato simile, la democrazia dovrà inchinarsi ai rabbini. La Knesset, il governo, la Corte suprema potranno continuare a esistere a patto che i rabbini ne approvino le decisioni. I coloni credono che quando la Grande Israele sarà diventata un'entità religiosa e una "Nazione Santa", verrà il Messia e si compirà la completa redenzione del popolo ebraico.
Nell'immaginazione dei coloni non c'è posto per i palestinesi, se non nel ruolo di servi umili e riconoscenti lavoratori. Nell'immaginazione dei coloni non c'è posto per me, non c'è posto per uno Stato di Israele laico e moderno. Chi mi è amico e io siamo "fuori", se non ci pentiamo. Almeno, ci si aspetta che non ci opporremo alla costruzione di nuovi insediamenti e all'espansione di quelli già esistenti. Se noi israeliani laici rinnegheremo noi stessi, i coloni ci inonderanno di amore fraterno. Se però ci ostineremo a sostenere una diversa idea di Israele, non saremo che traditori, amici degli arabi, nazisti.
Anche noi, però abbiamo un sogno per Israele, del tutto diverso da quello dei coloni. Desideriamo vivere in pace e libertà non sotto il giogo dei rabbini,
nè del Messia, chiediamo di essere guidati da un governo eletto.
Sogniamo di essere liberi dalla lunga occupazione dei territori palestinesi. Per quasi quarant'anni Israele e Palestina sono stati il carceriere e il prigioniero, ammanettati l'uno all'altro. In tanti anni quasi nulla è cambiato - il carceriere non è libero, nè lo èil prigioniero. Israele sarà una nazione libera solo quando l'occupazione e la politica degli insediamenti saranno concluse e la Palestina, un Paese confinante.
Per trent'anni i coloni hanno controllato Israele attraverso governi diversi. Hanno inseguito i loro sogni e calpestato i nostri. Sono stati i padroni del Paese. In questi giorni il primo ministro Ariel Sharon tenta una sorta di putsch a danno della supremazia dei coloni. Un tentativo di ripristinare l'autorità del governo eletto. Se il tentativo andasse a buon fine, il sogno dei coloni potrebbe risentirne e quello degli israeliani laici potrebbe sorgere a nuova vita.
La battaglia di Gaza non è una battaglia tra l'sercito e i coloni, nè tra falchi e colombe. No, è una battaglia tra Chiesa e Stato (per essere piùprecisi, tra Sinagoga e Stato). Molte nazioni hanno dovuto affrontare la questione: quali dovrebbero essere ruolo e peso di religione e clero nella guida di un Paese? Alcuni Stati hanno trovato la soluzione secoli fa. Altri non hanno mai smesso di cercarla. I Paesi musulmani, ad eccezione della Turchia, non hanno neanche iniziato.
In questi ultimi giorni a Gaza abbiamo assistito a quella che un domani, a posteriori, potrebbe apparirci la prima battaglia tra Sinagoga e Stato nella storia di Israele, la prima occasione di fare chiarezza sul significato dellìebraicità dell'unico Stato Ebraico. Siamo, prima e soprattutto, una religione o una nazione?
In questa prima fase sembra che la componente laica, razionale, pragmatica di Israele stia dolorosamente prevalendo su quella impregnata di fanatismo. Non dimentichiamo, però che si tratta solo di una prima tappa.
Tanto i coloni quanto noi altri israeliani possiamo essere orgogliosi del fatto che, a differenza dei sanguinosi conflitti tra Chiesa e Stato sorti nel corso della storia in tanti Paesi, questa prima fase a Gaza sia stata sì violenta ma non sanguinosa. Tanto rumore e strepito ma nessun massacro. Sarà così anche nelle prossime fasi? Sarà così anche quando verrà il tempo di rinunciare alla Cisgiordania e a Gerusalemme Est in cambio della pace con i palestinesi? La risposta non dipende solo dagli israeliani, religiosi e laici, falchi e colombe, destra e sinistra. Molto dipende dai palestinesi. La Palestina considererà questo un coraggioso passo compiuto da Israele verso un compromesso storico con i palestinesi? Ricambieranno con passi altrettanto coraggiosi nei confronti dei loro fanatici? Oppure considereranno gli scontri tra ebrei il primo sintomo del processo di disintegrazione di Israele e tenteranno di peggiorare la situazione interna israeliana inasprendo violenza e terrorismo palestinesi?
Un vecchio proverbio arabo dice: non si applaude con una mano sola. Molto ora dipende dal modo in cui i palestinesi interpreteranno la battaglia tra ebrei a Gaza.
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