Il discorso di Ratzinger alla Sinagoga di Colonia, le reazioni del mondo ebraico e il nodo non sciolto di Israele il testo integrale dell'intervento del pontefice, interviste e analisi
Testata: Il Foglio Data: 20 agosto 2005 Pagina: 2 Autore: un giornalista Titolo: «Ratzinger agli ebrei: "Uniamoci in difesa dei diritti dell'uomo" - Gli ebrei applaudono e aspettano ora gli sviluppi con lo Stato d’Israele -Le due sinagoghe»
IL FOGLIO di sabato 20 agosto 2005 pubblica apagina 2 il discorso di Benedetto XVI alla Sinagoga di Colonia.
Ecco il testo: Schalom lêchém! Era mio profondo desiderio, in occasione della mia prima visita in Germania dopo l’elezione a successore dell’apostolo Pietro, di incontrare la comunità ebraica di Colonia e i rappresentanti del giudaismo tedesco. Con questa visita vorrei riallacciarmi all’evento del 17 novembre 1980, quando il mio venerato predecessore Papa Giovanni Paolo II nel suo primo viaggio in Germania, incontrò a Magonza il Comitato Centrale Ebraico in Germania e la Conferenza Rabbinica. Voglio confermare anche in questa circostanza che intendo continuare il cammino verso il miglioramento dei rapporti e dell’amicizia con il popolo ebraico, in cui Papa Giovanni Paolo II ha fatto passi decisivi (cfr Discorso alla Delegazione dell’International Jewish Committee on Interreligious Consultations del 9 giugno 2005: L’Oss. Rom. 10 giugno 2005, p. 5). La comunità ebraica di Colonia può sentirsi veramente "a casa" in questa città. E’ questa, infatti, la sede più antica di una comunità ebraica sul territorio tedesco: risale alla Colonia dell’epoca romana. La storia dei rapporti tra comunità ebraica e comunità cristiana è complessa e spesso dolorosa. Ci sono stati periodi di buona convivenza, ma c’è stata anche la cacciata degli ebrei da Colonia nell’anno 1424. Nel XX secolo, poi, nel tempo più buio della storia tedesca ed europea, una folle ideologia razzista, di matrice neopagana, fu all’origine del tentativo, progettato e sistematicamente messo in atto dal regime, di sterminare l’ebraismo europeo: si ebbe allora quella che è passata alla storia come la Shoà. Le vittime di questo crimine inaudito, e fino a quel momento anche inimmaginabile, ammontano nella sola Colonia a 7.000 conosciute per nome; in realtà, sono state sicuramente molte di più. Non si riconosceva più la santità di Dio, e per questo si calpestava anche la sacralità della vita umana. Quest’anno si celebra il 60° anniversario della liberazione dei campi di concentramento nazisti, nei quali milioni di ebrei – uomini, donne e bambini – sono stati fatti morire nelle camere a gas e bruciati nei forni crematori. Faccio mie le parole scritte dal mio venerato predecessore in occasione del 60° anniversario della liberazione di Auschwitz e dico anch’io: "Chino il capo davanti a tutti coloro che hanno sperimentato questa manifestazione del mysterium iniquitatis". Gli avvenimenti terribili di allora devono "incessantemente destare le coscienze, eliminare conflitti, esortare alla pace" (Messaggio per la liberazione di Auschwitz: 15 gennaio 2005). Dobbiamo ricordarci insieme di Dio e del suo sapiente progetto sul mondo da Lui creato: Egli, ammonisce il Libro della Sapienza, è "amante della vita" (11,26). Ricorre quest’anno anche il 40° anniversario della promulgazione della Dichiarazione "Nostra aetate" del Concilio ecumenico Vaticano II, che ha aperto nuove prospettive nei rapporti ebreo-cristiani all’insegna del dialogo e della solidarietà. Questa Dichiarazione, nel quarto capitolo, ricorda le nostre radici comuni e il ricchissimo patrimonio spirituale che gli ebrei e i cristiani condividono. Sia gli ebrei che i cristiani riconoscono in Abramo il loro padre nella fede (cfr Gal 3,7; Rm 4,11s), e fanno riferimento agli insegnamenti di Mosè e dei profeti. La spiritualità degli ebrei come quella dei cristiani si nutre dei Salmi. Con l’apostolo Paolo, i cristiani sono convinti che "i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili" (Rm 11,29; cfr 9,6.11; 11,1s). In considerazione della radice ebraica del cristianesimo (cfr Rm 11,16–24), il mio venerato Predecessore, confermando un giudizio dei Vescovi tedeschi, affermò: "Chi incontra Gesù Cristo incontra l’ebraismo" (Insegnamenti, vol. III/2, 1980, p. 1272). La Dichiarazione conciliare "Nostra aetate", pertanto, "deplora gli odii, le persecuzioni e tutte le manifestazioni di antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque" (n. 4). Dio ci ha creati tutti "a sua immagine" (cfr Gn 1,27), onorandoci con questo di una dignità trascendente. Davanti a Dio tutti gli uomini hanno la stessa dignità, a qualunque popolo, cultura o religione appartengano. Per questa ragione la Dichiarazione "Nostra aetate" parla con grande stima anche dei musulmani (cfr n. 3) e degli appartenenti alle altre religioni (cfr n. 2). Sulla base della dignità umana comune a tutti, la Chiesa cattolica "esecra come contraria alla volontà di Cristo qualsiasi discriminazione tra gli uomini o persecuzione perpetrata per motivi di razza o di colore, di condizione sociale o di religione" (Ibid., n. 5). La Chiesa è consapevole del suo dovere di trasmettere, nella catechesi come in ogni aspetto della sua vita, questa dottrina alle nuove generazioni che non sono state testimoni degli avvenimenti terribili accaduti prima e durante la Seconda guerra mondiale. E’ un compito di speciale importanza in quanto oggi purtroppo emergono nuovamente segni di antisemitismo e si manifestano varie forme di ostilità generalizzata verso gli stranieri. Come non vedere in ciò un motivo di preoccupazione e di vigilanza? La Chiesa cattolica si impegna – lo riaffermo anche in questa circostanza – per la tolleranza, il rispetto, l’amicizia e la pace tra tutti i popoli, le culture e le religioni. Nei quarant’anni trascorsi dalla Dichiarazione conciliare "Nostra aetate", in Germania e a livello internazionale è stato fatto molto per il miglioramento e l’approfondimento dei rapporti tra ebrei e cristiani. Accanto alle relazioni ufficiali, grazie soprattutto alla collaborazione tra gli specialisti in scienze bibliche, sono nate molte amicizie. Ricordo, a questo proposito, le varie dichiarazioni della Conferenza episcopale tedesca e l’attività benefica della "Società per la collaborazione cristiano-ebraica di Colonia", che ha contribuito a far sì che la comunità ebraica, a partire dall’anno 1945, potesse di nuovo sentirsi "a casa" qui a Colonia e instaurasse una buona convivenza con le comunità cristiane. Resta però ancora molto da fare. Dobbiamo conoscerci a vicenda molto di più e molto meglio. Perciò incoraggio un dialogo sincero e fiducioso tra ebrei e cristiani: solo così sarà possibile giungere a un’interpretazione condivisa di questioni storiche ancora discusse e, soprattutto, fare passi avanti nella valutazione, dal punto di vista teologico, del rapporto tra ebraismo e cristianesimo. Questo dialogo, se vuole essere sincero, non deve passare sotto silenzio le differenze esistenti o minimizzarle: anche nelle cose che, a causa della nostra intima convinzione di fede, ci distinguono gli uni dagli altri, anzi proprio in esse, dobbiamo rispettarci a vicenda. Infine, il nostro sguardo non dovrebbe volgersi solo indietro, verso il passato, ma dovrebbe spingersi anche in avanti, verso i compiti di oggi e di domani. Il nostro ricco patrimonio comune e il nostro rapporto fraterno ispirato a crescente fiducia ci obbligano a dare insieme una testimonianza ancora più concorde, collaborando sul piano pratico per la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo e della sacralità della vita umana, per i valori della famiglia, per la giustizia sociale e per la pace nel mondo. Il Decalogo (cfr Es 20; Dt 5) è per noi patrimonio e impegno comune. I dieci comandamenti non sono un peso, ma l’indicazione del cammino verso una vita riuscita. Lo sono, in particolare, per i giovani che incontro in questi giorni e che mi stanno tanto a cuore. Il mio augurio è che essi sappiano riconoscere nel Decalogo la lampada per i loro passi, la luce per il loro cammino (cfr Sal 119,105). Ai giovani gli adulti hanno la responsabilità di passare la fiaccola della speranza che da Dio è stata data agli ebrei come ai cristiani, perché "mai più" le forze del male arrivino al dominio e le generazioni future, con l’aiuto di Dio, possano costruire un mondo più giusto e pacifico in cui tutti gli uomini abbiano uguale diritto di cittadinanza. Concludo con le parole del Salmo 29, che sono un augurio e anche una preghiera: "Il Signore darà forza al suo popolo, il Signore benedirà il suo popolo con la pace". Voglia Egli esaudirci! Un articolo registra le reazioni di alcune personalità del mondo ebraico.
Ecco il testo: Roma. La comunità ebraica risorta, nella sinagoga distrutta dai nazisti nella Notte dei cristalli, ha ascoltato ieri le parole (in tedesco) del Papa tedesco. Che ha stretto la mano al rabbino di Colonia, ha regalato una Bibbia e ha ricevuto in dono lo shofar, il corno di montone, e un lungo applauso. Dopo aver nuovamente pronunciato le parole di Papa Wojtyla: "Chi incontra Gesù Cristo incontra l’ebraismo". In un incontro molto diverso da quello avvenuto alla sinagoga di Roma con Giovanni Paolo II, come ha notato Vittorio Dan Segre: "La ieraticità del protocollo questa volta era assente: a Roma nella baroccheggiante sinagoga piena di marmi si era discusso perfino dell’altezza delle poltrone, a Colonia invece ha colpito la semplicità, un solo rabbino, un solo salmo, e l’ex cardinale di Monaco che ricorda in tedesco agli ebrei tedeschi gli orrori del nazismo e ne sottolinea la matrice neopagana, un evento importantissimo circondato da una bassa aspettativa mediatica". Una bassa aspettativa, forse, attenzione senza spettacolo, ma il rabbino David Rosen, direttore dell’American Jewish Committee, ha seguito l’incontro da Gerusalemme e ha apprezzato "l’enorme potere del messaggio visivo e ancora di più del discorso davvero significativo – ha detto al Foglio – poiché il mondo vede e sente che questo Papa continua profondamente l’opera del suo predecessore: nel portare avanti il dialogo tra ebraismo e cattolicesimo, nel combattere l’antisemitismo e il razzismo, ed è particolarmente importante che lo faccia un Papa tedesco, che parla in tedesco, confermando che i rapporti tra la Chiesa e gli ebrei sono una priorità per lui". La lingua, il luogo, le parole hanno colpito molto i rappresentanti del mondo ebraico, e Giorgio Israel, saggista e studioso di cultura ebraica e di antisemitismo, ha trovato "impressionante, dopo sessant’anni, ascoltare in una sinagoga certe parole in tedesco, da un Papa tedesco". Un impatto molto forte. Pur con "lo stile più razionale, meno emotivo rispetto a quello di Wojtyla, e un discorso estremamente netto che rileva le radici giudaiche del cristianesimo e propone passi avanti effettivi sul piano teologico nel rapporto tra ebraismo e cristianesimo". Ratzinger ha spiegato infatti che il dialogo, se vuole essere sincero, non deve passare sotto silenzio le differenze esistenti o minimizzarle, e secondo Claudio Morpurgo, vicepresidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei), "ha indicato così l’importanza di una società inclusiva, l’essenzialità del diritto a conservare la propria identità per chi ne fa parte o per chi viene accolto: nell’incontro tra i diversi che rimangono se stessi sta il senso di una convivenza pacifica". Un atto importante per tutti, ma non solo simbolicamente, "l’inizio di una nuova stagione di uno sviluppo dinamico", ha detto Israel, "la possibilità di cogliere i lati positivi di un rapporto, quello fra ebrei e cristiani, che si è sviluppato nell’occidente cristiano in modo molto difficile e anche drammatico, ma alla fine con molte influenze reciproche: il discorso teologico di Ratzinger lo sottolinea e fa ben sperare". Anche se molti si aspettavano parole precise su Israele, oltre alla condanna dei nuovi "segni di antisemitismo", motivi di preoccupazione e di vigilanza. "Se le aspettavano anche a Roma da Papa Wojtyla – dice Dan Segre – e non le hanno avute. Questa volta però il rabbino capo di Colonia, Netanel Teitelbaum, aveva concluso così il proprio messaggio di benvenuto "La pace è nelle sue orecchie, nelle sue mani. Tutta Israele aspetta la pace e dice amen". "Ho pensato subito: manca Israele – dice Giorgio Israel – ma il Papa parlava in una sinagoga tedesca in un ambiente ebraico, con uno stile razionalista che non concede nulla all’emotività". "Sarebbe stato importante approfondire adeguatamente la questione d’Israele in giorni come questi – ha detto invece Claudio Morpurgo – speriamo che Ratzinger lo faccia in un altro momento". Il Papa ha parlato della catechesi, "ed è stata l’unica parte del discorso che ha sottolineato con la mano", ha notato Israel: l’importanza della catechesi nel parlare alle nuove generazioni che non sono state testimoni "degli avvenimenti terribili avvenuti prima e durante la Seconda guerra mondiale". Un discorso sobrio e solenne, un sorriso solo alla fine, qualche stretta di mano: secondo Dan Segre, "è questa la pietra su cui si può costruire il riavvicinamento tra Vecchio e Nuovo Testamento: Ratzinger è il Papa del cambiamento nel rispetto della tradizione". Infine un editoriale a pagina 3 richiama alla necessità che "la sensibiltà per le tragedie del popolo ebraico" sia estesa "a quelle che esso vive tuttora" in Terra d'Israele, "di cui lo sgombero forzato della Sinagoga di Gadid dà un'espressione plastica".
Ecco il testo: Non può non destare una certa impressione la coincidenza temporale tra la visita di Benedetto XVI alla sinagoga di Colonia, già distrutta durante le persecuzioni naziste del 1938, e l’intervento dell’esercito israeliano in quella di Gadid, nella Striscia di Gaza, dove si erano asserragliati una novantina di coloni che resistevano all’ordine di sgombero. Si è trattato di due vicende che, in modo diverso, parlano del rapporto del mondo con gli ebrei, delle prove cui questo popolo è stato ed è tuttora sottoposto. In Germania gli sparuti eredi di quella che, prima dello sterminio, era una delle più numerose e fiorenti comunità ebraiche, accolgono con gioia il Papa tedesco. In Palestina agli ebrei non è consentito di rimanere, neppure come ospiti di un altro Stato in formazione, e questo ha costretto Ariel Sharon a ordinare lo sgombero delle colonie manu militari. Nella sinagoga che quasi settant’anni fa patì l’avvio di persecuzioni che si sarebbero fatte sempre più tremende, fino alla "soluzione finale", l’atmosfera ieri era serena, in quella situata in territorio palestinese, dopo gli scontri tra fratelli, ha dominato il pianto e la disperazione, condivisi da chi veniva cacciato e da chi aveva l’ingrato obbligo di cacciare. Questo significa che gli effetti dell’antisemitismo, la maggiore vergogna d’Europa, non sono ancora conclusi. Parlando alla Radio Vaticana alla vigilia del viaggio a Colonia, Joseph Ratzinger aveva detto che non sarebbe possibile oggi per il mondo intero vivere della civiltà che in Europa si è sviluppata, "se questa civiltà non avesse radici molto profonde". In questa osservazione c’è il senso della responsabilità mondiale dell’Europa e della sua civiltà, e la visita alla comunità ebraica di Colonia è stato un importante corollario di quell’osservazione, perché riconosce anche gli aspetti più tragici di questa responsabilità. La sensibilità per le tragedie del popolo ebraico, però, deve essere estesa anche a quelle che esso vive tuttora, di cui lo sgombero forzato della sinagoga di Gadid dà un’espressione plastica. I palestinesi non sono gli unici a soffrire in Terra santa, e chi vuole lavorare per la pace non può dimenticarlo, altrimenti, con l’ingiusta asimmetria dei giudizi, rischia di giustificare gli aspetti razzistici su cui si basa l’azione e l’ideologia dei settori arabi estremisti e terroristi. L’Europa che a Colonia si è inchinata al dolore degli ebrei attraverso la sua più alta autorità morale, non può dimenticare quello di Gadid. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.