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La Stampa Rassegna Stampa
20.08.2005 Tra i coloni che hanno lasciato Gaza
reportage di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 20 agosto 2005
Pagina: 4
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Il "day after"dei coloni. Lo Stato ci ha ignorati»
LA STAMPA di sabato 20 agosto 2005 pubblica un articolo di Fiamma Nirenstein che riportiamo:
Il Gush Kativ è ormai popolato quasi solo da fantasmi. L’ottantacinque per cento della popolazione ebraica se n’è andata o è stata costretta a uscire. Solo quattro insediamenti su 22 devono ancora essere evacuati. Nell’intervallo di shabbat, il sabato giorno di festa per gli ebrei, dai portavoce dell’esercito arrivano urgenti messaggi ai giornalisti che intimano di uscire dalla Striscia semideserta, annunciano ronde di sorveglianza che preleveranno i reporter infiltrati, chiedono di non entrare nelle case e nelle aziende evacuate, di non disturbare i superstiti del Gush il fine settimana, fino a domani quando riprenderà lo sgombero.
Restano in piedi case e strutture agricole di grande valore, mentre una popolazione errante di circa seimila persone (presto di 8000) è stata sparsa per Israele, per la massima parte in abitazioni e camere molto lontane dall’essere definitive. Moltissimi si lamenta del trattamento che è stato loro riservato: «Siamo profughi - dicono - senza nessuna prospettiva per il domani». La popolazione strappata giovedì da Netzer Hazani è uscita tutta insieme a sera e in segno di protesta si è fatta lasciare sulla spianata sotto il Muro del Pianto dove ha buttato per terra materassini neri per le donne e i bambini, mentre gli uomini esausti si appoggiavano alle pietre senza un cuscino su cui appoggiare il capo. Altre proteste si levano durissime verso il governo.
Qualche esempio: le comunità non sono state accontentate nella loro basilare richiesta, per altro prevedibile, di potere continuare a vivere nella dimensione collettiva cui sono abituati; il numero delle «caraville» di Nitzan è minuscolo rispetto alla richiesta, e le soluzioni temporanee decenti sono quasi inesistenti; le case provvisorie, comunque, costano da 400 a 800 dollari al mese, un fardello insopportabile e comunque non richiesto per il budget modesto delle famiglie evacuate; alcuni alberghi prenotati dal governo hanno annunciato ai rifugiati (è successo a Beersheba) che il governo aveva pagato solo mezza pensione, e che si dovevano pagare il resto; molti alberghi hanno fatto mancare ai nuovi arrivati oggetti di uso elementare, come gli assorbenti per i bambini o il caffè.
Molti hanno lamentato il costo del trasloco, i container scelti con una gara pubblica dal governo sono stati fatti pagare prezzi elevati dalla compagnia privata che ha vinto, e spesso i beni della gente sono rimasti a cucinarsi al sole dietro le persone sgomberate. In generale, i settler lamentano una enorme insensibilità del governo, e proprio ieri sera la Moetzet Yesha, ovvero l’organizzazione autonoma dei settler, ha richiesto ufficialmente di ricollocare tutti insieme alcuni insediamenti nel deserto del Negev. Ogni nuova cittadina riprenderà il nome dell’insediamento di provenienza dei suoi abitanti.
Jonathan Bassi, il costante, gentile e stanchissimo uomo di kibbutz e di affari, incaricato speciale del governo per lo sgombero che è stato definito dai settler un «Eichmann» e minacciato di morte, stavolta si arrabbia davvero: «Siamo sfiniti, ma soddisfatti con tutta l’anima di aver sistemato in tre giorni più di cinquemila persone in caraville di cui abbiamo improvvisamente moltiplicato il numero, in appartamenti trovati nei luoghi richiesti, in 30 alberghi con 2700 camere. Due, bisogna capire, sono state le grandi difficoltà fino all’ultimo: coloro che hanno creduto nel miracolo (e io capisco il loro dolore) e hanno rifiutato di parlarci, e di cui quindi abbiamo avuto i desiderata solo all’ultimo istante, o non li conosciamo ancora; e quelli che una volta destinati in luoghi e con le persone quanto più vicini a loro cuore, pure seguitano a rifiutare perché l’albergo, il posto, l’ambiente, non è di loro gradimento. E quindi per esempio il gruppo di Netzer Hazani che si è fermato al Muro del Pianto ha tutte le necessarie camere prenotate a Gerusalemme, finchè, nel giro di un paio di mesi, non saranno definite le loro destinazioni».
«Quanto ai loro affari - prosegue Bassi - c’è un ritardo dovuto a un profondo rifiuto a prendere accordi. Laddove qualcosa si muoveva, siamo riusciti a muovere impianti agricoli molto delicati: abbiamo spostato tanti capi di bestiame che già, fuori della Striscia, producono regolarmente il loro latte. Dopo il primo tragico trauma della perdita della propria casa, della propria vita, verrà per tutti la fase della ricostruzioni e noi saremo là a cercare per ciascuno la soluzione migliore».
Giovedì,intanto, è stato trasferito all’organizzazione dei settler un pagamento iniziale di 12 milioni e mezzo di dollari per le costose serre e per i loro complicati sistemi di irrigazione: è la conseguenza di un accordo che prevede il passaggio in mano palestinese delle strutture agricole alla conclusione del disimpegno. I soldi vengono dalla Economic Cooperation Foundation una organizzazione israeliana non governativa che si occupa del processo di pace, e sono stati consegnati al comitato che rappresenta gli agricoltori.
Tuttavia qualcuno ricorda che i palestinesi, come gli israeliani che hanno abitato fin’ora nella striscia di Gaza, avranno bisogno di un grande investimento ulteriore in termini di acqua e di aiuti vari per una zona disagiata. Quindi, è difficile immaginare che le strutture si rimetteranno in moto in tempo breve quando L’Autonomia Palestinese ne prenderà possesso.
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