Il New York Times, giornale "degli ebrei" che finge di criticare Israele la paranoia del quotidiano comunista si aggrava a causa del ritiro da Gaza
Testata: Il Manifesto Data: 19 agosto 2005 Pagina: 2 Autore: S.D.Q Titolo: «Condoleezza Rice: «Bene il ritiro ma Gaza non basta»»
Anche IL MANIFESTO nel titolo dell'articolo firmato S.D.Q. sul ritiro da Gaza, "Condoleezza Rice: «Bene il ritiro ma Gaza non basta» ", enfatizza le richieste del segretario di Stato americano a Israele, tacendo quelle all'Anp (combattere il etrrorismo). L'articolo si segnala soprattutto per la definizione del New York Times come "giornale vicino alla comunità ebraica" che "in questa occasione fa il duro con Israele", evidentemente, secondo il giornalista, in modo artificioso.
In realtà, il New York Times è un giornale liberale spesso critico con Israele, senza che la sua presunta e non meglio precisata "vicinanza" alla comunità ebraica influisca in alcun modo sulle posizioni dei suoi giornalisti. Il percorso verso la pace in Medioriente non può fermarsi a Gaza. Il segretario di stato americano Condoleezza Rice, ha già cominciato a rivolgere lo sguardo al dopo-ritiro. Con le scene degli scontri tra l'esercito israeliano e i coloni irriducibili davanti agli occhi del mondo, l'America simpatizza con il dolore dei protagonisti del ritiro. Ma ricorda che Gaza non basta. In un'intervista al New York Times, la Rice ha definito questo «un momento assai drammatico per il Medioriente». Dopo, però, israeliani e palestinesi devono essere pronti a fare la loro parte: finito il ritiro, che prevedibilmente durerà un po' di tempo, secondo la Rice lo stato ebraico dovrebbe andare avanti con altri provvedimenti: per esempio allentare le restrizioni sui movimenti in Cisgiordania e ritirarsi da altre città palestinesi. All'Autorità nazionale palestinese la Rice chiede di procedere al disarmo delle fazioni militanti che mirano a boicottare il cessate il fuoco. Da parte sua, il presidente americano George W. Bush in vacanza nel Texas si tiene informato dai suoi collaboratori degli sviluppi a Gaza e ribadisce il proprio sostegno al primo ministro israeliano Ariel Sharon. La Casa bianca, secondo la portavoce Dana Perino, è convinta che «il ritiro renderà più forte Israele». I maggiori giornali echeggiano il messaggio della Rice con editoriali in cui, a seconda della tendenza politica, mettono in rilievo i compiti che spettano all'una o all'altra parte. Per il Wall Street Journal, giornale economico di orientamento conservatore in politica estera, tocca ai palestinesi ora assumersi l'onere. In un editoriale intitolato «L'agonia d'Israele, il futuro della Palestina, il Journal afferma: «La comunità internazionale, compresi gli Usa, che da molto tempo chiede sacrifici da `entrambi le partì per motivi di pace, ora ha la soddisfazione di vedere quel sacrificio offerto, almeno dalla parte israeliana». «L'uomo che ha la possibilità di fare funzionare il ritiro e stroncare prima del nascere un `regno di Hamas' a Gaza, è il presidente palestinese Abu Mazen» (Mahmud Abbas), insiste il giornale, affermando che questi ha mancato alla promessa elettorale di «confiscare le armi illegali e fare della legge la guida del suo paese». «Non si possono aspettare ulteriori sacifici dolorosi da Israele se la comunità internazionale continua a dire che non bastano mai. E la Palestina non ha nessuna speranza di diventare uno stato funzionante e civile se non gli si chiede di fare la sua parte: riformare le istituzioni e eliminare la cultura del terrorismo e della delinquenza», afferma in fine il Wall Street Journal. Anche il Washington Post chiede ai palestinesi di addossarsi le proprie responsabilità. «Sharon e l'esercito israeliano - scrive - hanno finora agito con convinzione e moderazione esemplari». «Ma quello che Sharon chiama il suo «piano di disimpegno unilaterale» potrà portare avanti la causa della pace solo se Abu Mazen farà altrettanto e disarmerà i gruppi come Hamas», prosegue il giornale di Washington.
Il New York Times, che è vicino alla comunità ebraica, in questa occasione fa il duro con Israele. «Gaza rappresenta la parte peggiore del movimento degli insediamenti ebraici», scrive il giornale, riferendosi allo squilibrio tra le popolazioni palestinese e ebraica, con quest'ultima che occupa il 33% della terra. «Non deve essere facile essere scortato dai soldati fuori dalla propria casa - scrive - e ci sono parecchi motivi per preoccuparci sul come la nuova Gaza sarà governata. Ma era ora, anzi è già tardi - 38 anni per esattezza - di dare ai palestinese la possibilità di una vita migliore», conclude il Nyt.
Nell'intervista con lo stesso giornale la Rice ha parlato anche degli altri dossier di cui si occupa, citando in particolare le crisi nucleari con l'Iran e la Corea del Nord. Si è anche soffermata sugli sviluppi positivi avvenuti durante i suoi primi sette mesi alla guida del Dipartimento di stato. «Questo è un periodo straordinario. In autunno ci saranno il primo referendum, seguito da elezioni in Iraq, le elezioni parlamentari in Afghanistan, le prime elezioni con la presenza di elementi di opposizione in Egitto», ha detto la Rice. Il segretario di stato ha ricordato inoltre il ritiro dei siriani dal Libano, le elezioni libanesi, le riforme in Giordania e il voto dato alle donne in Kuwait. «Qualcosa di molto intenso sta accadendo nel Medio Oriente e sta accadendo nella direzione giusta: verso maggiore apertura e pluralismo», ha commentato la Rice. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione del Manifesto. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.