Lo strabismo di Viola è inguaribile per lui esiste un solo colpevole di tutto nella storia del Medio Oriente:Israele
Testata: La Repubblica Data: 17 agosto 2005 Pagina: 1 Autore: Sandro Viola Titolo: «Ebrei contro israeliani»
Fin dal titolo l'articolo di Sandro Viola pubblicato da LA REPUBBLICA di mercoledì 17 agosto 2005 mette i brividi. "Ebrei contro israeliani2: non significa nulla, ma ha il potere di creare un baratro fra due realtà che si compenetrano da millenni, la religione (non solo quella delle interpretazioni integraliste: tutta intera) ed il senso dell' unità del popolo al di là ed al di sopra della religione comune.
Quel titolo si rincorre in tutto l'articolo e fornisce, se pure ve ne fosse stato bisogno, la riprova della funzione disinformante degli scritti di Viola. La sintesi del pensiero fazioso e carico di odio di Viola è contenuta in poche frasi: "E tuttavia, quante e gravi responsabilità hanno anche gli israeliani (virgolettato e contrapposto, nella distorta mente dell'autore, ad ebrei), la parte meno bigotta e più moderata del paese" ( per antonomasia , sottintende Viola, gli ebrei sono bigotti ed estremisti!). I pacifisti, "la parte meno bigotta del paese", aveva avvertito gli "ebrei" della necessità d'un compromesso territoriale per poter vivere in pace, ma "nonostante...scorresse il sangue" non sono serviti a nulla. E' occorso molto tempo "perché nel paese si formasse una maggioranza ragionevole, capace di fare i conti con i propri errori". "L'halakha ( cioè la legge talmudica ci dice Viola, ed è una inesattezza concettuale, ma sorvoliamo) contro la legge dello Stato, la sinagoga contro il Parlamento, la maggior parte dei rabbini contro la società civile". Si tratta di stomachevoli menzogne evidenti a chiunque conosca qualcosa della variegata realtà d'Israele, che nella penna di Viola assumono la violenza del pregiudizio. Dove porta tutto questo velenoso ragionamento di Viola basato su un artificio lontano dalla realtà e dalla verità? Ma è evidente: al giudizio, che lui non esprime ma che trasuda da ogni riga di questo articolo, che questi quarant' anni di guerre, di terrorismo, di dolore hanno un solo colpevole, Israele, anzi GLI EBREI. Dei palestinesi, del resto del mondo arabo, dell' OLP di Abu Nidal o Habbash, di Khaddoumi, di Hamas e di Hezbollah non una parola: il rifiuto arabo, ostinato, carico di minacce di streminio, non è mai esistito o quanto meno non ha responsabilità alcuna in questa storia. Rabin, Peres, Barak non erano EBREI per come li dipinge Viola, e magari anche Sharon si è convertito e non è più EBREO. Se Viola, malgrado questo articolo, non può essere accusato di antisemitismo, è comunque evidente che con quel titolo e quella descrizione dei fatti agli antisemiti (che non ne avrebbero bisogno, in realtà) ha fornito argomenti in più.
Di seguito il testo: È OGGI che l´uscita degli israeliani da Gaza conoscerà le sue ore più difficili, tumultuose, e forse drammatiche. Perché oggi, come gridano i coloni e la destra religiosa, «gli ebrei cacceranno altri ebrei». A "cacciare" degli ebrei non saranno più come tante altre volte nella storia, in Europa o in Medio Oriente, altri popoli: bensì i loro correligionari, gli ebrei stessi, l´esercito e la polizia d´Israele. Da oggi, infatti, i coloni di Gaza che rifiutano di lasciare gli insediamenti verranno evacuati con la forza. Senza più riguardi o cautele, ha detto il ministro della Difesa Shaul Mofaz, ma con tutta la durezza che sarà necessaria. Perciò il paese è scosso da un´onda d´emozioni, un pathos, che non avevo mai avvertito nei tanti anni dacché seguo la vicenda d´Israele. L´incertezza su quel che potrà succedere, specie nelle colonie dove la rivolta ha assunto già da ieri forme virulente, è totale. E anche se sinora non ci sono stati incidenti gravi, brutti segni se ne sono già visti parecchi. Soldati che piangono abbracciati ai coloni, un paio d´ufficiali che hanno rifiutato di svolgere il loro incarico, un migliaio di fermi, la foga disperata con cui i giovani del movimento che s´oppone al ritiro continuano a fronteggiare esercito e polizia. Sicché è soltanto oggi che le cose si chiariranno. Se la resistenza resterà essenzialmente passiva, vedremo portar via i coloni di peso senz´altri traumi o convulsioni. Ma se sentiremo echeggiare un colpo d´arma da fuoco, se vedremo un primo ferito stramazzare per terra, la spaccatura del paese si mostrerà insanabile. Ebrei da una parte, israeliani dall´altra. La distinzione può sembrare paradossale, addirittura insensata, ma è quella che meglio rispecchia lo scontro in atto nel paese. Ebrei contro israeliani. I primi radicati nella tradizione e nell´insegnamento religioso, oppure imbevuti di quel nazionalismo espansionista che fu una delle componenti originarie del sionismo, convinti che l´intera Palestina è terra d´Israele e dunque – come scritto nei testi sacri – non può essere abbandonata. I secondi, gli "israeliani", decisi a tirarsi fuori dal vicolo cieco d´un conflitto senza fine, resi finalmente realisti dalla violenza e dalla durata della resistenza palestinese all´occupazione, e perciò disposti a rinunciare al possesso, se non di tutte, di quasi tutte le terre conquistate nel ´67. Così, scegliere da che parte stare è facile. Non con i coloni, certo, non con la destra nazionalreligiosa. E tuttavia quante e gravi responsabilità hanno anche gli "israeliani", la parte meno bigotta e più moderna del paese. Dagli anni Settanta in poi, le frange più colte, lucide e civili d´Israele li avevano avvertiti dei pericoli della colonizzazione, della necessità d´un compromesso territoriale, dell´impossibilità di poter vivere pacificamente se non riconoscendo i diritti nazionali dei palestinesi. Ma i loro discorsi, nonostante che si susseguissero le convulsioni, scorresse il sangue, e l´immagine d´Israele nel mondo continuasse a deturparsi, venivano ignorati. Allo stesso modo, la sinistra pacifista che si batteva per il negoziato e lo sgombero degli insediamenti, restava un fenomeno marginale. E infatti ancora due anni fa, il 44% degli israeliani si diceva favorevole non solo al mantenimento delle colonie, ma anche all´espulsione dei palestinesi oltre il Giordano. Quanto tempo è quindi occorso perché nel paese si formasse una maggioranza ragionevole, capace di fare i conti con i propri errori. Quanto tempo per capire, come mi dice Zeev Sternhell, storico di fama internazionale, che con l´andare del tempo il problema delle colonie era divenuto – oltre che politico, anche più che politico – morale. «Perché certo, Israele è una democrazia. Ma il carattere d´una democrazia non s´esaurisce con l´esercizio del voto. Altrettanto fondamentale, è il rispetto dei diritti umani. E decenni d´occupazione, la crescita degli insediamenti, le prepotenze contro i palestinesi, tutto questo violava i diritti umani, indeboliva le fondamenta laiche della società, innescava la drammatica spirale di violenza e controviolenza che il paese ha vissuto». Non c´è euforia, segno d´esultanza, in questa élite liberale d´Israele che vede oggi, con il ritiro da Gaza, avverarsi le sue proposte. C´è anzi come una mestizia, l´amarezza di vedere che alla fine sì, quelle idee e proposte sono state fatte proprie dalla maggioranza degli israeliani, ma così tardivamente da aver intanto provocato la contrapposizione che oggi lacera il paese. L´halakha (la legge talmudica) contro la legge dello Stato, la sinagoga contro il Parlamento, la maggior parte dei rabbini contro la società civile. Dunque una crescita del fanatismo religioso ancora vent´anni fa inimmaginabile, e che ha trovato il suo terreno più fertile proprio nelle yeshiva – le scuole bibliche – dei Territori occupati. Che proprio lì, nelle colonie, s´è andato facendo sempre più arcigno e combattivo, sino al punto da sfidare apertamente i valori, le aspirazioni e il futuro dell´Israele laico. L´atmosfera è grave, carica di tensione, non solo per l´incertezza della partita che si svolge da oggi tra le istituzioni dello Stato e una minoranza rivoltosa. Il fatto è che la gran parte degli israeliani si rendono conto che l´uscita da Gaza segna la fine di un´epoca. Poco importa, in fondo, se lo spettacolare voltafaccia di Ariel Sharon si concluderà qui, con lo smantellamento delle colonie di Gaza e di quattro insediamenti minori in Samaria, o se procederà verso il negoziato previsto dalla road map. Quel che conta è che alla fine di settembre, quando oltre ai coloni anche l´esercito avrà lasciato la Striscia, Israele consegnerà nelle mani dei palestinesi le chiavi d´un primo spezzone del futuro Stato di Palestina. Una terra che sino a un anno e mezzo fa veniva considerata irrinunciabile, avvolta com´era – al pari della Giudea e della Samaria – nella retorica dell´Eretz Israel, e che adesso i militari hanno invece capito di non poter mantenere se non a costi insostenibili. «Perché il sogno che avevamo nutrito – sono parole di Sharon – non s´è avverato». Come dire che l´intero progetto della Grande Israele va ormai messo in un canto: che un´epoca s´è chiusa, e un´altra se ne sta aprendo. Ma dire che il sogno non s´è avverato, può bastare a concludere definitivamente la discussione con gli israeliani, i palestinesi e tutti coloro che sono stati testimoni, lungo quasi quattro decenni, dei catastrofici risultati scaturiti dal disegno d´una Grande Israele? Il caso può essere posto in uno scaffale d´archivio senza che nessuno sia chiamato a rispondere? No: se di momento della verità si tratta, gli israeliani dovranno chiedersi perché, mentre oggi s´emozionano (ed è comprensibile che s´emozionino) alla vista dei coloni costretti a lasciare le loro case, siano invece rimasti indifferenti per tanti anni – prima ancora che esplodesse la follia dei kamikaze – dinanzi a quel che subivano i palestinesi per mano dei coloni. I frutteti e gli uliveti divelti, i raccolti rovinati, le pecore avvelenate, la terra sottratta. Senza che nessuno in Israele, salvo quell´élite liberale, mostrasse uno sdegno, tentasse una protesta. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.