Israeliani tutti estremisti, palestinesi tutti pacifisti così li dipinge il quotidiano
Testata: Il Mattino Data: 16 agosto 2005 Pagina: 8 Autore: Franceco Cerri - Aldo Baquis - un giornalista Titolo: «Inizia il ritiro, Israele con il fiato sospeso - In trincea i ragazzi arancione - Abu Mazen: «Ora trattiamo»»
Da pagina 8 de IL MATTINO del 14-08-05, riportiamo l'articolo di Francesco Cerri "Inizia il ritiro, Israele con il fiato sospeso":
Gush Katif. Dopo un anno di polemiche e di scontri fratricidi, Israele si prepara ora all'ultimo atto di un evento storico ma traumatico: alla mezzanotte di oggi scatta formalmente l'ordine di evacuazione degli 8.500 coloni che abitano nei 21 insediamenti ebraici della Striscia di Gaza. Il governo darà poi 48 ore ai coloni per lasciare le loro case e il territorio delle colonie. Il 17 mattina 40.000 soldati e poliziotti inizieranno l'evacuazione forzata dei settler che non avranno ancora lasciato. Si prevede che almeno la metà dei residenti nelle colonie di Gaza parta entro il 17. Alcune migliaia di settler tuttavia dovrebbero restare e resistere all'evacuazione, in forma non violenta. L'esercito dovrà però procedere anche all'espulsione dalle colonie degli almeno 5.000 oppositori al ritiro, molti dei quali giovani o giovanissimi, entrati illegalmente nell'area nelle ultime settimane. Fra di loro si teme ci siano elementi vicini all'estrema destra, alcuni dei quali armati, che potrebbero provocare episodi di violenza. Le operazioni di evacuazione, i coloni parlano di «espulsione», dovrebbero durare due o tre settimane a seconda della resistenza che le forze di sicurezza incontreranno. Poi le case dei coloni saranno distrutte e anche l'esercito israeliano si ritirerà definitivamente dalla Striscia di Gaza. Ai primi di settembre è prevista l'evacuazione anche di 4 piccoli colonie ebraiche isolate della Cisgiordania (su 120). Ai primi di ottobre il territorio delle colonie dovrebbe essere formalmente consegnato da Israele all'Autorità Palestinese. Il piano di «disimpegno» da Gaza era stato annunciato un anno fa da Sharon e motivato con considerazioni strategiche e di sicurezza per Israele a causa anche della difficoltà di difendere le 21 colonie e gli 8.500 coloni in un oceano di 1,3 milioni di abitanti palestinesi della Striscia di Gaza. Dopo la morte di Yasser Arafat nel novembre scorso, l'elezione del suo successore Abu Mazen, che è riuscito a porre fine praticamente alla spirale di violenza dell'intifada dei kamikaze, e l'avvio di un dialogo fra israeliani e palestinesi, il piano di ritiro da Gaza è diventato, sotto pressione anche americana, un possibile primo passo verso il rilancio di negoziati di pace. Da ieri sera il Muro del Pianto è teatro di un raduno di massa degli ebrei religiosi per la ricorrenza del Tishà Be Av, il giorno del dolore ebraico che ricorda la distruzione del biblico Tempio ebraico (opera delle legioni romane di Tito nel 70 d.C.). Quest'anno l' anniversario sarà anche un'occasione per invocare, digiunando e pregando, un miracolo divino per arrestare il ritiro. La contemporanea presenza di migliaia di musulmani nell'adiacente Spianata della Moschee, mobilitati dall'ala più radicale del movimento islamico israeliano al grido «Difendiamo la Spianata e la moschea di Al Aqsa» da temute irruzioni di un gruppo ultrareligioso ebraico, crea una situazione di forte tensione che impone alla polizia di essere presente in forze. Sharon ha posto in gioco il proprio futuro politico. Da mesi è contestato duramente all'interno del suo stesso partito e dalla lobby dei coloni, di cui è stato per anni il protettore e l'ispiratore, e che costituiva una fetta importante della sua base politica e elettorale. I più recenti sondaggi indicano che è in minoranza nel Likud, il suo partito, e che rischia di perderne la leadership a beneficio del ministro delle finanze uscente Benyamin Netanyahu che si è dimesso nei giorni scorsi in dissenso con il ritiro. Per questo non è escluso che il paese vada a elezioni anticipate. Riportiamo anche "In trincea i ragazzi arancione", di Aldo Baquis
Nevé Dekalim. Tanti coloni se ne vanno, ma paradossalmente gli insediamenti del Gush Katif, nel sud della Striscia di Gaza, non sono mai stati così affollati. La piazzetta centrale di Nevè Dekalim, la «capitale» del gruppo di colonie, è piena giorno e notte di ragazzi e ragazzini vestiti di arancione, il colore simbolo della lotta dei coloni, zainetto in spalla, giunti da tutto Israele e soprattutto dagli insediamenti della Cisgiordania per «resistere con gli eroici fratelli» del Gush Katif. Nelle colonie della Cisgiordania li chiamano «i ragazzi delle colline». La notte, se non hanno trovato posto in una delle tendopoli spuntate nei piccoli insediamenti vicini, dormono usando come materasso uno dei grandi cartoni della pizzeria di Nevè Dekalim, uno dei due ultimi locali ancora aperti, tenuta da coloni francesi decisi a restare fino all'ultimo. Kippa in testa per i ragazzi, spesso con le treccine degli ultraortodossi, gonne lunghe e volto acqua e sapone per le ragazze. Qui e là una chitarra. Ma le giornate sono lunghe, il sole spacca le pietre, il termometro si avvicina ai 40 gradi. Quasi tutti sono entrati illegalmente, dopo che il governo, tre settimane fa, ha disposto la chiusura delle colonie per i non residenti. Ma questo non li ha fermati. Sono passati falsificando le carte di identità, per sembrare residenti, hanno attraversato campi e barriere di filo spinato, anche per aree palestinesi. Tanti si sono infiltrati anche grazie a complicità fra i soldati di guardia al valico di Kissufim. Per molti giovani clandestini è una rivoluzione contro l'autorità «deviata» del «dittatore» Ariel Sharon, per rivendicare valori «veri», «dimenticati in Israele», afferma Daniel. Ma fra le centinaia di giovani infiltrati, gli illegali sono in tutto 5.000 secondo l'esercito, 8.000 secondo fonti dei coloni - non tutti sono pacifici. Negli insediamenti più bellicosi, come in quello ultraortodosso di Kfar Darom, nelle tendopoli sulla spiaggia, a Shirat Hayam, a Kfar Yam, a Atzomma, sono arrivate decine di ragazzi vicini all'estrema destra, alcuni armati. Da loro, teme l'esercito, potrebbero venire i rischi maggiori di violenza. C'è anche chi pensa ad una secessione, alla creazione di uno stato separato da Israele, ma questi, al momento, sono solo piani politici frutto dei sogni dei «ragazzi delle colline». Ei breve articolo: "Abu Mazen: «Ora trattiamo»"
Il presidente palestinese Abu Mazen venerdì sera a Gaza city ha assicurato, di fronte a una folla festante di molte migliaia di persone, che il ritiro di Israele dalla Striscia è solo il primo passo verso la «liberazione» anche della Cisgiordania e la proclamazione di uno Stato palestinese indipendente con capitale il settore arabo di Gerusalemme. Non tutti i palestinesi tuttavia condividono la visione ottimistica del rais. Accanto a coloro che credono si sia fatta più vicina la nascita dello Stato di Palestina, altri guardano con sospetto ai piani del premier israeliano Sharon e temono che il ritiro da Gaza sia il primo ma anche l'ultimo che Israele effettuerà dai territori palestinesi. Gli estremisti sono gli israeliani, alcuni dei quali "pronti a sparare"; i palestinesi, invece, sono la parte conciliante (trafiletto su dichiarazioni Abu Mazen, che, tra l'altro, invece di menzionare quanti, tanti, tra i palestinesi vogliono la distruzione di Israele a colpi di attentati, e quindi le grandi difficoltà che lo stesso Abu Mazen dovrà affrontare, si lancia in un ulteriore accusa contro Israele che starebbe, nella figura del suo primo ministro, organizzando chissà quale inganno). Si raggiunge la comicità nel passaggio dell'articolo di Cerri, quando si dice che lo stragismo palestinese è finito non appena abu mazen ha raggiunto il potere, quindi per merito suo. Ma se abu Mazen non ha ancopra mantenuto fede agli impegni della road map di disarmare i gruppi del terrore! Non è che la caduta degli atti di terrorismo riusciti sia da attribuire alle operazioni dell'idf e alla presenza della barriera difensiva, tutte cose che Il Mattino ha sempre demonizzato propagandisticamente?
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