Una visione miope e strabica sul ritiro da Gaza e sul conflitto israelo-palestinese quella del quotidiano napoletano
Testata: Il Mattino Data: 16 agosto 2005 Pagina: 1 Autore: Paolo Janni- Francesco Cerri - Aldo Baquis Titolo: «Un gesto non isolato - Partono i coloni, Gaza torna ai palestinesi - Non cederemo mai»
Titolo in prima pagina, un editoriale e diversi articoli pubblicati da IL MATTINO per l'inizio dell'evacuazione della Striscia di Gaza da parte d'Israele. Ancora una volta il quotidiano napoletano dimostra quanto sia miope e a senso unico la sua visione della situazione. Il lettore non potrà che giungere ad una conclusione: le resonsabilità passate, presenti e future per il conflitto sono inequivocabilmente israeliane. Non può essere altrimenti se si scrive che la Striscia torna ai palestinesi dopo decenni di occupazione, senza però spiegare quando e perchè è iniziata l'"occupazione", perchè si è protratta così a lungo, che la Striscia come la Cisgiordania è stata amministrata dagli stessi palestinesi specialmente durante gli anni '90, senza accennare al rifiuto tuttora reiterato degli arabi e dei palestinesi di riconoscere Israele. Insomma, le responsabilità arabe e palestinesi vengono completamente omesse, in primis il terrorismo stragista.
L'editoriale in prima pagina dovrebbe essere un'analisi della situazione attuale e dei possibili risvolti futuri, ma si fatica a considerarla tale. Il motivo è semplice: l'omissione totale di un fattore imprescindibile per capire e cercare di risolvere il conflitto: il rifiuto di riconoscere Israele e la volontà di distruggerlo attraverso il terrorismo e la violenza in generale. Si riconosce a Sharon il coraggio della scelta ma subito dopo Paolo Janni scrive che il ritiro, per avere una portata "storica", deve essere seguito da tutta un'altra serie di concessioni che, par di capire, riguardano esclusivamente la parte israeliana. A tal proposito, la barriera di sicurezza (che Janni, mentendo, descrive come un muro alto 8 metri lungo oltre 600 km) viene nuovamente biasimata, senza considerare i suoi effetti tangibili per decine di civili salvati dalla furia omicida dei terroristi palestinesi. Janni dimentica che la road map richiede passi concreti ad entrambe le parti in causa, e che ad oggi questi passi li ha compiuti soltanto Israele. La road map, al primo punto, chiede all'ANP di smantellare e disarmare i gruppi del terrore, cosa che è ben lungi dall'avvenire. Ma Janni su questo tace, il suo sguardo cade solo su uno dei due contendenti, Israele. Al di là delle lacune analitiche dell'editoriale, c'è anche un altro aspetto che va considerato, ed ha implicazioni morali. In tempi in cui il terrorismo islamista fa strage nei posti più disparati della Terra, in cui anche l'Italia è sotto minaccia, l'Europa è stata colpita già in più di un'occasione, in cui tutti si trovano d'accordo che quella del terrorismo è una minaccia reale e prioritaria, che si fa?, si chiudono gli occhi e ci si gira dall'altra parte quando lo stesso terrorismo colpisce Israele. Anche e soprattutto a tal proposito è da biasimare questa assurda omissione praticata nell'editoriale.
Ecco l'articolo: George W. Bush non aveva torto quando definì «storica e coraggiosa» la decisione di Sharon di ritirare i settemilacinquecento coloni israeliani insediati nel mezzo di oltre un milione di arabi e restituire la striscia di Gaza alla Autorità palestinese. Quest'ultima dovrà ora governare un territorio ridotto alla miseria e super affollato, che avrà bisogno di una massiccia assistenza internazionale almeno per i prossimi venti anni. L'Autorità palestinese ha già governato la striscia, così come la WEst Bank, ma il giornalista non lo spiega facendo credere all'ignaro lettore che le responsabilità delle miseria e della povertà ricadano su Israele. Stesso discorso per i fondi internazionali: l'Autorità ha ricevuto vagonate di dollari che sono stati intascati dal defunto dittatore -terrorista Arafat e dalla sua cricca di corrotti,alla faccia del popolo palestinese. Perché Janni questo non lo dice? Charles de Gaulle diceva che per fare una politica all'altezza dei tempi bisognava metter in conto anche il rischio di perdere e che il primo rischio era quello di dire la verità e proporre un progetto. Sharon, che perde pezzi del suo governo e incontra l'ostilità di una parte cospicua della opinione pubblica, ha avuto il coraggio di dire la verità ai suoi compatrioti sulla inevitabilità della misura. Così facendo, ha preso l'iniziativa del difficilissimo e gigantesco sforzo necessario per conciliare le due facce di una stessa medaglia: la sicurezza di Israele nella pace e la giustizia per il popolo palestinese. Troppo poco scrivere di una generica "sicurezza" per Israele senza menzionare il terrorismo stragista palestinese e gli impegni e gli obblighi che l'Autorità Palestinese ha nella lotta ad esso. Sembra poi che questa "sicurezza" possa discendere soltanto dalla pace e dalla giustizia per il popolo palestinese. Come se Israele prima dell'occupazione avesse goduto di sicurezza, pace e giustizia. Come se non fossero satai gli arabi e i palestinesi a negare a Israele il diritto di esistere e di conseguenza a negare pace e giustizia al popolo israeliano; come se lo stato di indigenza dei palestinesi non fosse diretta conseguenza delle scellerate scelte dei leaders arabi che hanno badato esclusivamente a fare la guerra a Israele, bensì della crudele voglia di sopraffazione dei cattivi israeliani Per la prima volta gli israeliani abbandonano un lembo dei territori palestinesi che essi avevano occupato nel '67.
E come mai li avevano occupati? Perché Janni non menziona l’ennesima guerra di annientamento che gli arabi avevano scatenato nel 67’, dalla quale Israele uscì per fortuna vittoriosa? Le responsabilità arabo palestinesi per Janni restano un tabù da non infrangere.
Come aveva inutilmente invocato la comunità internazionale negli ultimi 50 anni.
Falso, latro esempio di una visioned ella questione molto parziale. La comunità internazionale ha sempre chiesto iniziative che riguardassero entrambe le parti Janni ha mai sentito parlare di "terra in cambio di pace"? E quale sarebbe stata la pace garantita a Israele dalla sua nascita ad oggi? Ma per Janni guerre e terrorismo non sono mai esistite. Infatti non ne accenna mai. La resistenza dei coloni ad abbandonare le loro case affonda le radici nel convincimento che i problemi politici sono aspetti soltanto superficiali di una battaglia metafisica. Quella per il conseguimento della «vera pace» realizzabile soltanto col completo recupero della eredità territoriale divina di Israele. La lunga tragedia israelo-palestinese rimarrebbe tuttavia irrisolta se il ritiro israeliano ponesse in realtà la parola fine alla «road map», cioè a quel programma in quattro fasi sostenuto anche dall'Unione europea che prevede, al termine del percorso, la cessazione dell'occupazione militare israeliana e la costituzione di uno Stato palestinese territorialmente contiguo e con tutti gli attributi normali della sovranità. Ma di quale Road Map parlerà mai Janni? Una versione nota soltanto a lui, dal momento che quella "vera" prevede impegni gravosi anche per i palestinesi che lui indifferente trascura come se nulla fosse. E il terrorismo, promo punto affrontato nella Road Map? Tabù. Nella Road Map versione Janni, che, par di capire, solo gli israeliani possono affosare ci sono diritto solo per i palestinesi (fine dell'occupazione e istituzione di uno Stato contiguo e sovrano) Per Israele nulla! Ma Sharon sembra più interessato al controllo militare del territorio che alla geografia biblica. Il muro di seicentoquaranta chilometri, alto 8 metri, con sensori e videocamere scoraggia la necessaria reciproca fiducia israelo-palestinese.
Il "muro" scoraggia la reciproca fiducia il terrorimo, che non viene tirato nemmeno in ballo, benchè della barriera difensiva sia la causa, evidentemente l'incoraggia. Duecentotrentamila coloni vivono in Cisgiordania nel mezzo di oltre due milioni di palestinesi. Essi occupano punti strategici per creare «sul terreno» le condizioni necessarie a motivare i coloni. Sharon promette che essi saranno mantenuti territorialmente connessi con Israele. Senza parlare dello status di Gerusalemme, che gli israeliani vogliono capitale unita ed eterna del loro paese e della tuttora irrisolta questione dei profughi. Il ritiro dei coloni da Gaza sarà veramente «storico» se rappresenterà l'inizio e non la fine del processo di pace. La pace prevede anche la fine della macellazione di civili ebrei per le strade di Gerusalemme, Haifa, Tel Aviv, ma Janni è impermeabile a tutto ciò. Una pace a dir poco singolare.
Le nubi si addensano, non si diradano sul Medio Oriente dove la stabilità - nella quale Israele ha un interesse vitale - viene complicata dal caos iracheno e incontra una nuova, più temibile minaccia nell'Iran di Ahmadinejad. Nei colloqui che ebbe soltanto due mesi fa con Gorge W. Bush nel suo ranch texano Sharon non parlò del ritiro israeliano da Gaza, né della mappa stradale del processo di pace, né degli insediamenti israeliani nella West Bank. Attirò invece l'attenzione del presidente americano sull'Iran che secondo i servizi israeliani sarebbe molto vicino al punto di «non ritorno» nell'apprendere come costruire una bomba atomica. Non c'è tempo da perdere, avrebbe detto. Ma non c'è neppure tempo da perdere per avvantaggiarsi della dinamica (pur controversa) che potrebbe essere messa in moto dal ritiro da Gaza, e premere sull'accelerazione del processo di pace per rimuovere dall'agenda mediorientale (e da quella del mondo) il più metafisico dei conflitti del nostro tempo. Janni nel suo editoriale aveva la pretesa di illustrare i passi da compiere in seguito al ritiro da Gaza per giungere a una soluzione del conflitto, ma ci sembra che da questa analisi possa discendere una sola pace: quella eterna, per Israele.
A pagina 3 troviamo l'articolo di Francesco Cerri "Partono i coloni, Gaza torna ai palestinesi", che riportiamo: Gaza. Israele volta una pagina di storia del Medio Oriente e a mezzanotte, dopo 38 anni, ha iniziato a ritirarsi dalla Striscia di Gaza e a smantellare i 21 insediamenti ebraici che vi si trovano, malgrado l'annunciata resistenza di migliaia di coloni. Le prime operazioni si sono svolte in un clima di tensione: alcuni irriducibili hanno inscenato una manifestazione di protesta incendiando copertoni e mandando in frantumi i vetri di alcune automobili. Dalle ore 24 di ieri notte, nelle 21 colonie è vietato entrare e risiedere a qualsiasi cittadino israeliano. Il valico di Kissufim, unica via di accesso al Gush Katif, il gruppo di colonie del sud della Striscia, sarà chiuso definitivamente ai civili. Per gli israeliani sarà possibile solo uscire. I coloni che ancora non avranno lasciato gli insediamenti allo scadere dell'ultimatum avranno infatti ancora 48 ore per andare via. Da questa mattina ufficiali dell' esercito passeranno per ogni casa per chiedere ai coloni di lasciare subito. Mercoledì mattina 40.000 soldati e poliziotti inizieranno l'evacuazione forzata dei coloni rimasti. Chi rimarrà oltre perderà il 30% circa delle indennità pagate dal governo ad ogni famiglia (fra 200 e 400mila dollari). Se per i palestinesi è una giornata di giubilo, e a centinaia si sono riversati nelle strade per festeggiare lo sgombero israeliano dalle loro terre, per tutti i coloni di Gaza è un momento traumatico. Molti vivono nelle colonie da 20 o 30 anni, dopo essere stati invitati a venire e ad essere i pionieri del «Grande Israele» da diversi governi israeliani. La questione ha lacerato la società israeliana. Per la prima volta colonie ebraiche vengono smantellate in territori palestinesi, inizialmente, stando al premier Ariel Sharon, per ragioni di sicurezza. Le 21 colonie di Gaza ed i loro 8500 abitanti sono difficilmente difendibili nell'oceano degli 1,3 milioni di abitanti palestinesi della Striscia. La maggioranza della popolazione si è detta favorevole al ritiro, ma un israeliano su 3 circa è rimasto fortemente contrario. Si prevede che almeno la metà degli 8500 coloni di Gaza lascino entro domani sera. Molti sono già partiti, e 5 insediamenti sono già praticamente deserti. Ma alcune migliaia di coloni sono determinati a restare fino all'ultimo. Con loro resisteranno anche i 5000 oppositori al ritiro che si sono infiltrati illegalmente nelle ultime settimane. Fra di loro si teme ci siano elementi vicini all'estrema destra, alcuni dei quali armati, che potrebbero provocare episodi di violenza. Le operazioni di evacuazione - i coloni parlano di espulsione - dovrebbero durare due o tre settimane a seconda della resistenza che le forze di sicurezza incontreranno. Poi le case dei coloni saranno distrutte e anche l'esercito israeliano si ritirerà definitivamente dalla Striscia. Ai primi di settembre è prevista l'evacuazione anche di 4 piccole colonie ebraiche isolate della Cisgiordania. Ai primi di ottobre il territorio delle colonie dovrebbe essere formalmente consegnato da Israele all'Autorità Palestinese. Lanciato da Sharon come una mossa per garantire la sicurezza di Israele, il ritiro ha assunto un'altra dimensione dopo la morte di Yasser Arafat nel novembre scorso. Il suo successore Abu Mazen, è ora percepito come nuovo eroe della questione palestinese e tenace persecutore di un nuovo dialogo fra israeliani e palestinesi: sotto pressione anche americana appare ora anche un possibile primo passo verso il rilancio di negoziati di pace. È stato anche istituito un coordinamento fra Anp e Israele per garantire la calma durante le operazioni di evacuazione. Una forza di protezione di 7500 uomini della sicurezza palestinese è stata così dispiegata ieri attorno alle colonie all'interno della Striscia di Gaza per impedire possibili attacchi dei miliziani dei gruppi armati contro soldati o coloni durante il ritiro israeliano. IL MATTINO sforna da giorni articoli fotocopia sugli "irriducibili", gli "estremisti pronti a sparare" e cose di questo genere ma si è guardato bene dal descrivere le esperienze di vita, i sentimenti, le gioie e i dolori di quanti hanno abittao gli insediamenti. coloro che ha sempre e solo chiamato "coloni", cancellandone l'umanità dietro un'etichetta politica che si vorrebbe infamante.
Sempre a pagina 3 l'articolo di Aldo Baquis "La minaccia degli irriducibili: «Non cederemo mai» ": Gaza. L'ora X del ritiro israeliano da Gaza è scattata, ma nella colonia ebraica di Kfar Darom gli abitanti ostentano un tenace attaccamento alle proprie abitazioni. «Qua - mandano a dire - il ritiro non si farà. Non cederemo mai». A pochi passi dalle postazioni dell'esercito, dove mezzi blindati puntano minacciosi i loro cannoni verso la vicina cittadina palestinese di Deir el-Ballah, i coloni annaffiano l'erbetta. Tutt'attorno il paesaggio è desolato, scavato dai cingoli dei mezzi pesanti di Israele. Ma a Kfar Daron i praticelli non si toccano. «Siamo decisi a restare qua ancora un giorno, un anno, ventimila anni», dirà in seguito, in una affollata conferenza stampa, una delle colonie del posto. La giornata è iniziata nel peggiore dei modi alle quattro del mattino, quando colpi di arma automatica sono stati esplosi da Deir el-Ballah verso il rione settentrionale di Kfar Darom: una tendopoli dove si sono accampate alcune centinaia di studenti di un collegio rabbinico della Cisgiordania. Mentre le tende venivano evacuate alla svelta, i carri armati hanno sparato due volte: il primo colpo ha centrato un edificio palestinese distante alcune decine di metri, dove presumibilmente era annidato un cecchino. Il secondo proiettile ha invece colpito, per sbaglio, un altro mezzo blindato israeliano. Cinque soldati feriti, fra cui un ufficiale ferito in modo grave. Ieri, nella sinagoga di Kfar Darom, si pregava ma si commentava anche: «Siamo contrari alla politica del governo di Ariel Sharon - dice uno dei seminaristi - Oggi poi è una ricorrenza terribile per il popolo ebraico, perchè ricorda la distruzione sia del primo Tempio di Gerusalemme, da parte dei persiani, sia quella del secondo Tempio, da parte dei legionari di Tito». Una delle previsioni è che questa sinagoga sarà l'edificio dove più forte sarà la resistenza dei coloni alle forze inviate per sgomberarli. Sul tetto si notano già sacchi pieni di sabbia, e altoparlanti. I coloni di Gaza hanno inoltre messo a punto una stazione radio pirata, con cui contano di dare aggiornamenti in tempo reale e dirigere lo smistamento di rinforzi. La sinagoga pullula di giovani, giunti per sostenere i circa 500 coloni di Kfar Darom. Asher Mivtzari, il portavoce della colonia, dice che i nuovi venuti sono circa un migliaio. Inclusi nuclei famigliari, con donne e bambini. Certo non sarà facile, per i militari, rimuovere con la forza marmocchi di tre-quattro anni. «Sono loro il nostro futuro - dice Sarah Friedman, una colona giunta dalla Cisgiordania - Voglio che i soldati li guardino negli occhi». «In tempi come questi per i soldati il vero eroisimo è il rifiuto degli ordini», rincara Hanna Bart, una abitante di Kfar Darom costretta da due anni su una sedia a rotelle perchè colpita dagli spari di un attentatore palestinese. Nell'articolo ci sono alcune interessanti dichiarazioni che videnziano le responsabilità che devono assumersi i palestinesi, ma i titolisti si sono ben guardati dal dare ad esse visibilità.
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