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La Stampa Rassegna Stampa
13.08.2005 Ritiro da Gaza: molti residenti accettano di andarsene, gli infiltrati si preparano a resistere
reportage di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 13 agosto 2005
Pagina: 8
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «A gaza cinquemila infiltrati si preparano a dar battaglia»
LA STAMPA di sabato 13 agosto 2005 pubblica un nuovo capitolo del reportage di Fiamma Nirenstein da Gaza.

Ecco il testo:

Shimon ferma la vecchia Ford impolverata al varco di Kissufim, sulla soglia del Gush Kativ. Subito due poliziotti mettono la testa nell’abitacolo, da una parte e dall’altra. Quattro soldati bloccano con il loro corpo la portiera della sua auto e di tutte le altre. Camioncini, jeep, furgoni, fermi per controllo in un inferno di caldo. Shimon alle insistenti domande degli uomini in divisa suda, si sventola con i documenti dell’auto, fa finta di non arrabbiarsi, diventa pallido, poi rosso: «Questi dietro sono i cartoni per impacchettare la mia roba, anzi la mia intera casa a Netzarim, questa è la carta di identità, questa è la foto dei miei bambini…». I poliziotti vogliono sapere bene, fino in fondo, se l’uomo che si trattiene a stento dallo scoppiare di rabbia sia davvero un residente della zona e non uno dei militanti che già da mesi si infiltrano fingendo di andare a trovare qualche parente stretto, o addirittura passano dai campi di notte, o si infilano nel portabagagli. «Uno stato autoritario, un dittatore che ci rende profughi e schiavi..», borbotta Shimon quando finalmente sgomma via.
Le forze di sicurezza hanno ricevuto ieri l’ordine di non permettere nessuna infiltrazione. Ora, anche se il dissenso è vasto e autentico (l’ha dimostrato la manifestazione gigantesca svoltasi a Tel Aviv) il pericolo pratico per lo sgombero sembra non essere più il rifiuto dei residenti ma il numero degli infiltrati, stimato fra i 5000 e i 7000. Una cifra non di molto inferiore al totale degli abitanti autentici, che l’esercito e la polizia sono pronti a far uscire con le buone o le cattive consegnando loro il 15 mattina l’ordine di evacuazione e rendendolo esecutivo mercoledì 17.
I servizi di sicurezza danno per certo che almeno il 50 per cento delle famiglie se ne sarà già andato il 17 agosto e che il resto (4000 persone) verrà evacuato. Solo una minoranza, probabilmente, opporrà resistenza attiva. Il 63 per cento delle famiglie che vivono nel Gush (1083 su 1700) si sono rivolte all’Amministrazione del Disimpegno che fa capo all’ufficio del Primo ministro per richiedere le compensazioni. Di fatto, girando per il Gush kativ, lo smantellamento è evidente; ma al contempo si affollano negli accampamenti gli attivisti. Su 21 insediamenti 12 hanno concordato l’uscita collettiva: l’importante insediamento di Netzarim al completo ha deciso, 25 famiglie di Peah Sadeh hanno tenuto la prima tristissima cerimonia di addio con l’ammainabandiera e il canto d’addio; una famiglia ha svuotato e poi bruciato la casa che aveva costruito mattone su mattone: parenti e amici, hanno ricordato, sono morti in attacchi condotti dalle persone che presto potrebbero varcare la soglia di casa loro e, chissà, per un brutto scherzo del destino, prenderne possesso.
Dall’altra parte ci sono interi villaggi come Atzmona, fermi nell’intento di non andarsene, e le tendopoli di ragazzini che, si vede bene, scambiano il dramma per commedia e promettono di difendere col proprio corpo l’insediamento ebraico. Accanto a loro, adulti quasi sempre religiosi, i cui rabbini condannano con tutte le loro forze la perdita della terra. La folla dei giovani arriva dentro la Striscia con un minuscolo zaino in spalla e qualche libro, si piazza nei conglomerati dove trova acqua corrente e sostegno ideologico, sorveglia gli ingressi, mangia pane e pomodori, discute strategie, tacendo improvvisamente quando si avvicina un estraneo. Si sa che, fra i più vecchi, gira qualche arma. I giovani per ora si limitano a ripetere slogan e a cantare in coro con la chitarra; sono entusiasti, specie se sono religiosi e quindi non avvezzi a passare giorni interi con le ragazze, che ora si accampano sulle stesse spiagge. Ma il 17 possono diventare il maggiore problema.
A Shirat ha Yam (Canzone del mare) una delle roccaforti della resistenza dura, fianco a fianco, in due case bianche di calce sulla spiaggia, condividono la direzione strategica del movimento degli infiltrati Arieh Yzchaki con la moglie Batia e Nadia Matar, madre di sei bambini e protagonista di tutte le battaglie oltranziste antitrattativa e anti Sharon di questo e di altri periodi.
Ytzchaky, storico e stratega, è deciso a tutto per restare nella sua casa davanti al mare insieme ai giovani delle tende verdi e nere, anche se tutti gli altri se ne andranno: «La legge internazionale prevede che quando un potere occupante, Israele in questo caso, se ne va, lasci il potere agli abitanti. Bene, noi siamo gli abitanti e abbiamo deciso di istituire una Autorità ebraica indipendente. Sharon ci deve fornire i mezzi, sempre secondo la legge, e noi domenica sera nomineremo un governo provvisorio e poi terremo elezioni il 4 settembre». È serio? ci crede davvero, o vuole giusto aggiungere un po’ di confusione al caos? Che farebbe di fronte a un milione di palestinesi che circondano la sua casa? Cercherebbe un accordo? Sparerebbe? «Sappiamo come difenderci; inoltre la legge internazionale prevede che il potere uscente fornisca armi a una nuova Autorità». Allora è uno scherzo! «Per niente, abbiamo chiesto la protezione dell’Onu e invocato la Convenzione di Ginevra. Aspettiamo risposta». Già che ci siamo, perché non uno Stato ebraico, invece di un’Autorità? «Perché anche se Sharon è un delinquente non mettiamo in discussione Israele».
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