Il giornalismo che sfrutta il dolore mettendolo al servizio della propaganda
Testata: Il Messaggero Data: 12 agosto 2005 Pagina: 7 Autore: Anna Guaita Titolo: «Le famiglie dei caduti assediano il ranch di Bush»
IL MESSAGGERO di venerdì 12 agosto 2005 pubblica a pagina 7 un articolo di Anna Guaita sulle proteste dei familiari dei soldati americani caduti nelle operazioni militari in Iraq:
In questo articolo Anna Guaita, che è solita infarcire i suoi articoli di punzecchiature contro l’amministrazione Bush e la campagna per la liberazione del Medio Oriente, ripropone un consumato metodo giornalistico, che ha ormai fatto scuola tra coloro che intendono infangare a buon mercato la campagna per la liberazione del Medio Oriente. L’escamotage consiste nello spostare l’attenzione "dal macro al micro", ossia dalla dimensione politica – che presuppone un’indagine seria sui pro e contro, ed un confronto sistematico tra le opinioni in gioco – a quella cronachistica. L’obiettivo è quello di informare il lettore sui fatti del mondo in modo indiretto (direttamente significa esporsi alle argomentazioni avversarie), attraverso racconti, testimonianze, storie di esclusi e vessati che vagolano in un’ipotetico aere antiamericano. Questo approccio "induttivistico", che ricostruisce la realtà a partire da frammentari brandelli di mondo, ha il vantaggio di eludere i dilemmi politici, facendo perno sulle emozioni e i sentimenti, opportunamente strumentalizzati, per sostenere le proprie tesi. Non è azzardato dire che, in questo modo, il terzomondismo abbraccia anche il metodo, e non solo in contenuto, di un certo giornalismo. Sappiamo come la poetica del pauperismo palestinese e l’enfasi sulla voce dei profughi nasconda sovente l’intento di preservare un’ombra accusatoria su Israele e di riproporne un’aura colonialista. La Guaita si inserisce perfettamente in questo filone, sguinzagliata a raccattare risentimenti in giro per il mondo. L’altro ieri, in un articolo dedicato ai Rolling Stones e alla loro canzone anti-Bush "Sweet Neo-Con", la sorprendiamo nell’affermazione perentoria: Negli Stati Uniti, i neo-con, in grande auge nei primi tre anni della presidenza Bush, sono adesso sotto assedio, dato l’evidente fallimento della missione irachena. "Fallimento della missione irachena": non lo sapevamo. La Guaita lo dà per scontato. Evidentemente pensa che un’ostentata sicurezza possa riuscire a dissipare i dubbi del lettore, e convincerlo a rimettere la propria coscienza nell’inchiostro della sua penna. L’articolo di oggi vuole essere una denuncia dei dolori causati da una guerra beffarda, ponendo l’accento sui "dolori", affichè risalti più evidente la parola "beffarda". Il dolore al servizio della propaganda, diciamocelo chiaramente. Leggiamo infatti: [I parenti] ne vogliono proteggere la morte, evitare che sia cammuffata dalla menzogna.
Quindi con accenti canzonatori: Nella pianura assolata, nel cuore del Texas, mentre Bush continua a rassicurare che l’Iraq è «sulla strada della democrazia», mentre insiste che la guerra in Iraq fa parte della «guerra al terrorismo», altri genitori, fratelli, sorelle di caduti vanno arrivando alla spicciolata. Infine, persino la memoria del militare caduto viene sacrificata all’imperativo propagandistico:
Sherwood è caduto da eroe: era nelle truppe mandate avanti alla ricerca delle armi di distruzione di massa.
Le speranze suscitate dalle parole "è caduto da eroe", vengono immediatamente spente. Il soldato Sherwood, per la Guaita, non è morto per la salvezza e la liberazione del popolo iracheno, ma per le "armi di distruzione di mazza", quindi, ai suoi occhi, in omaggio ad un pretesto, ad una scenografia posticcia. Sacrificato sull’altare della manipolazione. Ai parenti dei caduti va il nostro più sincero rispetto e la nostra partecipazione più sentita. Il loro risentimento verso l’amministrazione Bush e la campagna militare in Medio Oriente, visto il lutto subito, è comprensibile, anche se non lo condividiamo. Respingiamo invece con forza il giornalismo che ne strumentalizza il dolore.
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