I servisi di sicurezza israeliani temono nuovi attentati per fermare il ritiro contro Sharon o contro civili arabi
Testata: Il Giornale Data: 12 agosto 2005 Pagina: 12 Autore: Gian Micalessin Titolo: «Israele, caccia aperta allo «sciacallo» in divisa: vuole uccidere Sharon»
IL GIORNALE di venerdì 12 agosto 2005 pubblica un articolo di Gan Micalessin sull'allarme dei servizi di sicurezza israeliani per il rischio di atti terroristici contro il ritiro da Gaza.
Ecco il testo: La grande caccia allo sciacallo in divisa è iniziata. Uno l'han preso l'altra notte. Camminava sulla strada intorno all'entrata settentrionale della Striscia di Gaza. S'è avvicinato ai colleghi di un posto di blocco ed ha fatto capire le sue intenzioni. «Sapete dov'è il ranch Sycamore... Sì quello del primo ministro, quello di Ariel Sharon... Ditemelo perchè ho una missione... Devo ucciderlo ». Fossero tutti così non ci sarebbero grandi problemi. L'apprendista sciacallo dimercoledì notte non era solo squilibrato, ma anche troppo ciarliero e la polizia militare ha impiegato meno di un’ora per trovarlo e arrestarlo. Ma quanti, più pericolosi di lui, vestono la divisa di Tsahal? In queste ore l'allarme è ai massimi livelli. La strage firmata da Eden Natan Zada Zadadel, il disertore 19 enne che il 4 agosto massacrò quattro arabi israeliani su un autobus, è una cicatrice aperta. Per Shin Bet e intelligence dell'esercito il rischio di un attentato al premier o di un altro massacro non sono più una semplice ipotesi di lavoro. Da domenica scorsa almeno sette soldati in servizio sono stati messi sotto torchio dai procuratori militari che indagano su un eventuale complotto dell'estremadestra per uccidere il premier o colpire con altre stragi durante il ritiro da Gaza. Tutti e sette gli inquisiti s'erano dichiarati contrari al disimpegno e avevano minacciato di ostacolarlo. Quanti la pensano come loro? Non pochi. Lo capisci davanti alle arterie intasate e agli ingorghi che bloccano l'ingresso di Tel Aviv. Anche qui, giovedì sera, come mercoledì a Gerusalemme, è calata la grande marea nera e arancione. Nere le barbe e le palandrane di ortodossi ed haredim. Arancionile magliette, gli stendardi e gli striscioni dei militanti di estrema destra. Erano settantamila davanti al Muro del pianto e nella cittadella antica. Sono più di centomila qui a Tel Aviv e i loro mille autobus coperti di bandiere e slogan tracimano dal centro fino all' imbocco dell'autostrada. Il cuore della manifestazione è in Rabin Square, la piazza dedicata al primoministro assassinato nel ’95 proprio per mano di un estremista di destra deciso a vendicare l'oltraggio della pace di Oslo. I centomila di ieri sera, i loro slogan, le loro bandiere arancioni strette intorno al sacrario di Yitzhak Rabin, difeso a fatica da volontari e forze di sicurezza, appaiono come un’ultima, spietata profanazione. Dalle fila di questa marea escono le prime indiscrezioni su «Alba arancione», l'ultimo piano preparato dalla dirigenzadei coloni per bloccare il ritiro. Scatterà alle prime luci di lunedì 15. In quelle ore i contingenti diretti verso l'entrata del delle colonie di Gush Katif nel sud di Gaza verranno bloccati da migliaia di dimostranti in maglietta arancione distesi sull' asfalto. I piani di «Alba arancione » esposti ai capi manipolo prima della dimostrazione e passati poi di bocca in bocca parlano di un cambio di strategia. Invece di penetrare negli insediamenti per difenderli con il proprio corpo, imilitanti anti- ritiro punteranno a sigillare e rendere impercorribili le strade verso la Striscia bloccando gli accessi alle colonne dell'esercito. «Alba arancione» non è però il principale cruccio dei servizi segreti presenti nelle strade di Tel Aviv. La vera incognita dal loro punto di vista resta il numero di soldati e riservisti presenti alla manifestazione. Sono sicuramente migliaia e ciascuno di essi nei peggiori incubi dello Shin Bet può diventare lo sciacallo fatale. Le ragioni profonde di queste paure lecomprendinegli insediamenti, osservando i rapporti creatisi tra i coloni e i soldati rimasti per anni all'interno di questi fortini minacciati dagli attacchi dei militanti palestinesi. Ami Shaked, responsabile della sicurezza delle colonie di Gush Katif è un indiscusso oppositore del ritiro ma anche un mito per molti soldati. Fu lui, tempo fa, a riparare a un errore dell'esercito mettendosi sulle tracce di un commando palestinese ed uccidendone, da solo, tutti e tre i componenti. Toccò a lui, un'altra volta, montare su una jeep e puntare, abbattendolo, su un palestinese armato sfuggito ad una pattuglia di militari. Certo il trentenne Ami Shaked è al di là d'ogni sospetto, ma quanti giovani sono potenzialmente sensibili al fascino e al coraggio di un combattente del suo rango? Quanti ascolterebbero uno come lui se li invitasse ad ignorare gli ordini dei comandanti? Gli interrogativi si moltiplicano nell' auditorium di Kfar Darom dove una trentina di militari in divisa assiste ai filmati propagandisticie alle lezioni impartite dai responsabili dell'insediamento. Kfar Darom è la madre di tutte le colonie. Fondata prima del ’48 e riaperta nell'89 da un gruppo di esponenti della destra religiosa, Kfar Darom è abitata da 500 oltranzisti religiosi. «Quei soldati sono giovani non conoscono la storia ci hanno chiesto d'istruirli - spiega a Il Giornale il portavoce della colonia Asher Mivtsari - ma ora hanno capito... Credetemi, ora prima di obbedire agli ordini dei loro superiori ci penseranno due volte». Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Giornale. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.