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Il Manifesto Rassegna Stampa
12.08.2005 Il massimo effetto con mezzi minimi: come utilizzare una notizia al meglio se il vostro scopo è attaccare Israele
il quotidiano comunista insegna

Testata: Il Manifesto
Data: 12 agosto 2005
Pagina: 2
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Otto anni per il soldato killer»
IL MANIFESTO di venerdì 12 agosto 2005 pubblica un articolo sulla condanna per l'omicidio colposo del militante dell'International Solidarity Movement Tom Hurndal del sergente israeliano Taysir Hayb.
Oltre a presentare l'omicidio come intenzionale, l'articolo di Giorgio suggerisce, senza alcuna prova, che nei casi in cui i soldati israeliani non sono stati condannati o indagati per le morti di civili (palestinesi o "internazionali") la verità sia stata insabbiata, escludendo a priori che la versione fornita dall'esercito sia vera, che il caso Hurndal sia stato oggetto di indagini più accurate perchè Hurndal era britannico e che Hayb non sarebbe stato condannato se fosse stato ebreo anzichè beduino.
Un articolo che risponde al principio della ricerca del massimo effetto con mezzi minimi: Giorgio ha disposizione solo la condanna di un militare per omicidio colposo, un fatto che di per sè dimostrerebbe la correttezza e imparzialità del sistema giuridico israeliano, ma ne trae un'impressionante serie di conclusioni infondate: i soldati israeliani sparano deliberatamente sui civili, il potere militare e quello giudiziario lo coprono, Israele è un paese razzista che non esita a sacrificare i suoi cittadini non ebrei come capri espiatori.
Per convincere i suoi lettori di tutto questo Giorgio non utilizza neanche l'ombra di un argomentazione. Sembra pensare di non averne bisogno: Israele è cattiva per definizione.

Ecco il testo:

«Sapevo che era disarmato ma mi innervosiva perché continuava ad attraversare quella strada». Furono queste le parole del sergente israeliano Taysir Hayb, un volontario beduino, quando, messo alle strette, confessò di aver aperto il fuoco contro il giovane pacifista britannico Tom Hurndall, 22 anni, ucciso a Rafah (sud di Gaza) nell'aprile del 2003 mentre stava aiutando alcuni bambini palestinesi a scappare all'arrivo di mezzi corazzati. Colpito alla testa, il giovane rimase in coma per nove mesi prima di spirare in ospedale. Hayb ieri è stato condannato ad otto anni di carcere. Una sentenza «severa» (anche se ne rischiava 20) per i soldati israeliani responsabili di omicidi nei Territori occupati: quasi sempre i colpevoli di questi delitti ricevono condanne minime o rimangono addirittura impuniti. Eppure lascia una profonda amarezza, unita a rabbia, nell'animo dei familiari di Tom, dei suoi compagni dell'International solidarity movement e di tutti gli stranieri che in questi anni di Intifada, con la loro presenza in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, hanno provato a impedire crimini ai danni dei civili palestinesi. Il colonnello Nir Amiram ha spiegato che la corte militare ha condannato il soldato a una pena così lieve perché ha preso in considerazione «il difficile momento in cui è avvenuta la tragedia, durante un combattimento, il passato d'indigenza dell'imputato e il suo basso livello d'istruzione». La condanna di Hayb non porterà alla riapertura di altri casi: non ci sarà giustizia per l'americana Rachel Corrie, 23 anni, un'altra attivista dell'Ism, uccisa qualche settimana prima di Hurndall da un bulldozer israeliano che l'ha investita mentre cercava di impedire la demolizione di una casa palestinese, in un campo profughi di Rafah. E neppure per altri due cittadini britannici: il cameraman James Miller, sempre a Rafah, colpito a morte nel maggio 2003 mentre filmava un documentario e il funzionario dell'Unrwa (Onu) Iain Hook, ucciso nel corso di una sparatoria dai soldati israeliani nel campo profughi di Jenin. E non si può certo dimenticare il fotoreporter italiano Raffaele Ciriello, falciato da una raffica sparata da un carro armato nel marzo 2002 a Ramallah. Il governo Berlusconi ha finto di non accorgersi della sua morte e la vicenda si è chiusa con la versione dell'esercito israeliano. La magistratura italiana non ha avuto la possibilità di accertare i fatti. Esattamente un anno fa, l'11 agosto 2004, i genitori di Tom avevano ottenuto, dopo intense pressioni sulle autorità britanniche - pronte a dimenticare l'accaduto - l'autorizzazione israeliana per portare nuova documentazione, fino a quel momento coperta da segreto militare, volta a dimostrare la colpevolezza del sergente che si proclamava innocente. A distanza di un anno esatto, dopo che Hayb il 27 giugno scorso è stato giudicato colpevole, è arrivata la condanna. È la prima volta durante l'Intifada che un soldato viene dichiarato colpevole per la morte di uno straniero. I legali del militare avevano cercato di far valere l'ipotesi che Hurndall fosse deceduto non a causa delle ferite riportate, ma per gli errori dei medici britannici e hanno anche accusato la corte di razzismo contro la minoranza beduina. Secondo l'avvocato difensore, l'ex soldato sconterà solo 6 anni (forse molto meno) perché ha già trascorso del tempo in carcere. «Ha pagato per tutto il sistema» ha commentato, ponendo un interrogativo sul quale si deve riflettere: se Hayb non fosse stato beduino e Hurndall un occidentale, si sarebbe arrivati lo stesso alla condanna da parte della corte militare israeliana? Intanto ieri sera decine di migliaia di israeliani hanno manifestato in Piazza Rabin a Tel Aviv contro il piano di ritiro da Gaza. Altre manifestazioni sono in programma domani sera e domenica a Gerusalemme e per martedì si sta preparando una nuova marcia di decine di migliaia di attivisti che si muoveranno verso gli insediamenti di Gush Katif per ostacolare le operazioni di sgombero.
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