Impossibili simmetrie e vistose dimenticanze in un reportage di Ugo Tramballi
Testata: Il Sole 24 Ore Data: 11 agosto 2005 Pagina: 8 Autore: Ugo Tramballi Titolo: «A Gaza la Palestina si gioca il suo futuro»
IL SOLE 24 ORE di giovedì 11 agosto 2005 pubblica apagina 8 un reportage di Ugo Tramaballi sul ritiro da Gaza. Tramballi giustamente ricorda che i palestinesi avranno a Gaza l'opportunità storica di incominciare la costruzione di uno Stato e di conseguire "una vita migliore", senza l'alibi dell'occupazione a giustificare le mancanze della loro classe dirigente.
Per il resto, il suo è un articolo parziale, che, con l'ausilio di vistose omissioni e retorica antiisraeliana, propone una falsa e insostenibile simmettria tra movimento dei coloni e fondamentalisti islamici.
Ecco il testo: Prima di lasciare Amman, troppo tranquilla e ordinata per essere in Medio Oriente, prima di scendere dai novecento metri sul livello del mare della città ai meno 400 del Mar Morto e della valle del Giordano, occorre una precisazione al lettore: bravo, mediocre, esperto, neofita, "obiettivo", partigiano o onesto che sia , un giornalista è inadeguato a raccontare la più antica delle guerre in corso. Troppo sangue, troppo Dio, troppi strati generazionali di rancore, di pretese, di patrie conquistate e perdute, di mistificazioni e coraggiosi sacrifici perché il tempo di una carriera giornalistica li riassuma. Tramballi mette le mani avanti. Siamo avvertiti della sua inadeguatezza a raccontare il conflitto israelo-palestinese. Ma a vantaggio di quale dei due contendenti andrà questa "inadeguatezza"? Non è difficile immaginarlo… A metà strada della discesa verso la frontiera tra Giordania e Israele, su una collina che guarda i Territori occupati, qualcuno ha costruito una copia in legno del duomo della Roccia, il Mausoleo dalla Cupola dorata sulla spianata di Gerusalemme. E’ il simbolo del risorgimento palestinese: il 67% della popolazione giordana; un milione 750mila sono ancora rifugiati, vivono in 10 campi profughi. Un altro milione e mezzo vive in Libano, Siria, Egitto, Golfo, Stati Uniti, Australia, Argentina. Certo, il tempo di una carriera giornalistica non basta a riassumere la storia del conflitto, ma una mezza riga per spiegare che se i palestinesi sono ancora profughi dopo cinquant’anni lo si deve alla volontà politica dei paesi arabi, Tramballi poteva forse spenderla senza eccessiva difficoltà. Il vecchio ponte di Allenby, un manufattto dei genieri inglesi riparato a ogni guerra, arruginisce sulla riva del Giordano. Ora c’è un ponte nuovo, vero e facile da attraversare se la ristrutturazione non avesse moltiplicato i controlli. Quasi 20 anni fa David Grossman aveva descritto l’umiliante trattamento a cui erano sottoposti i palestinesi che attraversavano questa frontiera ("Il Vento Giallo", Mondadori, 1988). Grossman però aveva anche scritto deimotivi di sicurezza che imponevano le misure di controllo. Nel suo testo i riferimenti al terrorismo c’erano, ma Tramballi non li riprende
Le cose non sono molto cambiate. "Vado a trovare i parenti a Ramallah. Manco dal 1962". Spiega un’americana di Chicago d’origine palestinese. Il suo passaporto non l’ha aiutata: è qui da tre ore e dovrà attenderne una quarta prima di attraversare la dogana, prendere un taxi fino a Gerusalemme, deviare a destra, osservare atterrita il nuovo muro israeliano, arrivare al posto di blocco di Kalandia, veder riperquisire i bagagli, cambiare taxi e finalmente abbracciare chi della famiglia è ancora rimasto in quella gabbia. Il terrorismo, giovani palestinesi destinati a un diploma e trasformatisi invece in insensato esercito di kamikaze. Una interessante descrizione del terrorismo: "giovani palestinesi destinati la diploma" che improvvisamente si trasformano in "kamikaze". Perché Tramballi non fa cenno a chi, quei giovani, li recluta, li addestra e li manda a uccidere? E di chi li bombarda di propaganda di odio fin dall’infanzia? Forse perché avrebbe dovuto far riferimento anche al defunto rais Arafat? Da quando c’è il muro il numero degli attentati è calato drasticamente (anche Abu Mazen ha qualche merito ma gli israeliani non lo riconoscono).
Gli israeliani chiedono che, come del resto richiesto dalla Road Map, le organizzazioni terroristiche siano disarmate. Riconoscono ad Abu Mazen di aver condannato, sia in arabo che in inglese, il terrorismo, ma ricordano che non ci sarò sicurezza per gli israeliani, né per lo Stato palestinese, finchè i terroristi manterranno i controlli dei loro arsenali. Tuttavia, alla fine della salita dal versante israeliano della depressione del Mar Morto, quando appare a lambire le colline, a dividere quartieri palestinesi da quartieri palestinesi, il muro ha qualcosa di disumano.
Questa è decisamente un’impressione soggettiva, non un elemento di cronaca. Ma serve a "bilanciare" l’informazione sulla diminuzione degli attentati. Ma tra le due affermazioni: "la barriera difensiva salva vite umane" e "io, Ugo Tramballi, trovo il muro disumano" c’è un’assoluta eterogeneità. La prima è un dato di fatto dal quale non si può prescindere per giudicare della legittimità e della moralità della barriera. La seconda è una reazione emotiva personale, che precede il giudizio e la considerazione dei fatti.
Difficile dire se chiuda i palestinesi fuori o gli israeliani dentro qualcosa. Ma cosa? Quale Stato di Israele e quale Palestina? La domanda è retorica ma vicina a una risposta. Arrivandovi da Est, dal Monte degli Ulivi ed ai quartieri arabi, Gerusalemme dà sempre un senso di provvisorietà. Oltre al nuovo muro, così evidente, la città ha frontiere invisibili ma tutte precarie. C’è chi la vuole tutta per gli ebrei e chi per gli arabi, chi sogna una equa spartizione sorvolando su dove mai potrebbe passare una frontiera nel dedalo dei vicoli della Città vecchia. Alcuni estremisti ebrei si sono fatti casa nel cuore dei quartieri arabi e gli arabi guardano ai quartieri ebraici come a un mondo estraneo. L’edificio di pietre bianche dell’Onu, la vecchia porta Mandelbaum che un tempo segnava la frontiera tra Giordania e Israele, è schiacciata fra nuovi alberghi che da quando hanno aperto non riescono ad avere che pochi turisti. Ma ora, come una piaga dell’Egitto, serpeggia per Gerusalemme un nuovo senso di provvisorietà. Fra una settimana gli israeliani incominceranno il ritiro da Gaza. Niente farà cambiare idea ad Ariel Sharon: non lo ha fatto una rivolta nel Likud, il massacro di un terrorista ebrao, le dimissioni di Bibi Netanyahu. Domande essenziali stanno per trovare le loro risposte. Israele capirà chi comanda: se lo Stato laico nato nel 1947, passato attraverso la prova di molte guerre, legittimato dal parlamento e le sue leggi; o se la lobby dei coloni, In realtà in Israele, stato democratico di diritto, è sempre stato chiaro "chi comanda": lo Stato con le sue leggi, appunto . Del resto, se comandasse la "lobby dei coloni" non sarebbe neppure stato possibile lo smantellamento dell’insediamento di Yamit nel Sinai nel 1982.
settlers di professione pagati dallo Stato;
I settlers hanno le loro professioni, con le quali si guadagnano da vivere. Vi sono agevolazioni nell’acquisto di case nei territori, giustificate dalla funzione difensiva svolta dagli insediamenti e dal rischi che comporta il risiedervi. se le halacha, versione ebraica delle fatwa islamiche, con le quali molti rabbini pensano di scrivere la Costituzione che Israele non si è ancora dato.
Tramballi non ricorda che Israele si è munito di un corpus di "leggi fondamentali dello stato" che garantiscono il rispetto dei diritti fondamentali della persona e che una corte suprema vigila sull’osservanza di queste norme.
"Per me giustizia e moralità sono di gran lunga più importanti della supremazia della legge", dice rabbi Yaacov Meidan, uno dei leaders spirituali dei coloni, sottointendendo che le prime sono di pertinenza divina. Se lo avesse detto uno sheik dei Fratelli Musulmani del Cairo cosa diremmo di lui?
A parte poche eccezioni, si direbbe che è un moderato con il quale dialogare e stringere "alleanze di civiltà", anche se per lui "giustizia e moralità" coincidono con le stragi di ebrei (Meidan è invece un contrario all’uso della violenza, vedi "Siamo contrari alla violenza", Informazione Corretta 04-08-05) Il cammino di uno Stato per i palestinesi sarà lungo anche dopo il ritiro da Gaza. Ma sarà a Gaza, quando il nemico se ne sarà andato, che proveranno se sono capaci di averne uno. "Penso sia estremamente importante che i palestinesi capiscano che questo non è solo un altro gioco politico. Il ritiro deve portare una vita migliore" dice James Wofensohn incaricato della ricostruzione di Gaza per conto di George Bush e del Quartetto, l’ex presidente della Banca Mondiale sarà inutile se, ancora una volta, i palestinesi non sapranno cogliere l’attimo. Percorrere le autostrade che da Gerusalemme scendono verso la frontiera di Gaza, significa attraversare un Paese del primo mondo in una regione in via ipotetica di sviluppo. Ma il desiderio di trascinare questo miracolo nel medio evo dell’intolleranza religiosa, Qui Tramballi attribuisce indistintamente a tutto il movimento antiritiro un "desiderio" che è in realtà estraneo a gran parte di esso.
lascia qui e là dei segni: sui cartelli stradali le scritte in arabo sono state cancellate. Agli incroci gli oppositori al ritiro distribuiscono strisce arancioni, il loro colore di battaglia, e strappano quelle blu e bianche, i colori dello Stato, che i favorevoli al ritiro appendono sulle antenne delle auto. Entrare a Gaza è lento e complesso come entrare in Israele dal ponte di Allenby. E Gaza, gabbia da 60 anni – lo era nche quando c’erano gli egiziani –è il simbolo dell’arretratezza e del caos. Anche i palestinesi qui avranno risposte decisive: se sarà l’Autorità palestinese a prendere il controllo della striscia o le formazioni islamiche la rivendicheranno come bottino di guerra, uccidendo anche la speranza di uno Stato. In questo conflitto gli israeliani hanno sempre preteso qualcosa dai palestinesi Di non essere più attaccati e uccisi dal terrorismo
e i palestinesi dagli israeliani:
che Israele sparisse dalla faccia della terra: non c’è simmetria
il comportamento degli uni definiva e legittimava quello degli altri. Questa volta le risposte le dovranno trovare da soli. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta a scrivere alla redazione del Sole 24 Ore per esprimere la propria opinione. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail pronta per essere compilata e spedita.