Le conseguenze economiche del disimpegno in Israele e a Gaza
Testata: Il Foglio Data: 10 agosto 2005 Pagina: 1 Autore: un giornalista Titolo: «Niente tagli per Gaza, più soldi alla difesa. Sharon scommette sulla ripresa»
IL FOGLIO di mercoledì 10 agosto pubblica in prima pagina un'analisi del budget nazionale israelinao per il 2006, presentato il 9 da Sharon al governo, e delle possibili conseguenze economiche del ritiro da Gaza.
Ecco il testo: Gerusalemme. Ariel Sharon ha chiesto ieri al suo governo di votare il budget nazionale per il 2006, che serve a coprire le spese del ritiro unilaterale da Gaza. Il premier israeliano ha ridotto di 190 milioni di dollari i tagli apportati dal ministro delle Finanze dimissionario, Benjamin Netanyahu, alle spese per la difesa: la minaccia nucleare iraniana appena riacutizzata impone, secondo Sharon, una revisione al rialzo degli esborsi per la sicurezza. La borsa israeliana intanto si è ripresa dal colpo ricevuto domenica all’annuncio dell’uscita di scena di Bibi Netanyahu, sostituito dal vice premier Ehud Olmert. Secondo Joseph Zeira, professore di Economia all’università ebraica di Gerusalemme, gli effetti delle dimissioni sono temporanei: il mercato non ne risentirà ulteriormente e "la politica economica del paese non cambierà". Netanyahu, spiega il professore, "ha tentato di ridurre il ruolo dello Stato nell’economia. E’ la strategia che Israele porta avanti da vent’anni e che continuerà". Il ritiro, invece, avrà un impatto sia sull’economia israeliana sia su quella palestinese. I principali effetti, in Israele, sono due, spiega al Foglio Zeira dall’enorme campus dell’università di Gerusalemme. Il primo è diretto, ma di poco peso, il secondo è indiretto. "Con il disimpegno si alza la domanda di abitazioni e di nuovi servizi" nelle aree in cui confluiranno gli abitanti degli insediamenti evacuati, "si tratta di un boom piccolo, non di una rivoluzione". Ci sarà poi un effetto sul lungo periodo: "Se il ritiro significherà una svolta nel processo di pace", l’economia subirà una spinta positiva. "Se non ci saranno negoziati e i problemi andranno avanti non si avranno invece cambiamenti". Spiega il professore che, nei primi anni 90, la situazione economica in Israele migliorò grazie a due fattori: la forte immigrazione russa e l’influsso degli accordi di Oslo. Dopo il 1996, con l’assassinio di Itzhak Rabin e un netto arresto del processo di pace, gli investimenti calarono. Un’ulteriore riduzione si è avuta nel 2000, con lo scoppio della seconda Intifada. La relazione tra ottimismo sul piano politico e investimenti è certa. "Il ritiro – spiega Zeira – è un passo sulla giusta via, ma molto dipende da quello che accadrà dopo".
La pace e la stabilità del mercato Il piano influirà ancor di più sull’economia palestinese. L’Autorità nazionale guadagnerà infatti un terzo della Striscia di Gaza, una delle aree più popolate della terra. Il leader dell’Anp, Abu Mazen, si rende conto dell’opportunità. Ancora ieri ha invitato i palestinesi a mantenere la calma durante il ritiro, per provare alla comunità internazionale di essere in grado di gestire la situazione dopo il disimpegno. Esiste uno studio, condotto da esperti palestinesi e israeliani – il Gruppo di Aix, dalla città francese di Aix-en-Provence, dove si sono riuniti – che investiga l’impatto del piano sull’economia di Gaza e della Cisgiordania. Il documento ipotizza una forte ripresa palestinese a condizione che le barriere tra le due zone siano rimosse, che siano creati passaggi sicuri e affidabili, che sia istaurato un sistema efficiente di controllo delle frontiere e che i palestinesi spingano per l’introduzione di riforme e per la fondazione di uno Stato di diritto. "L’Anp avrà più terra a disposizione, ma il resto dipende dalle possibilità di apertura verso l’esterno di Gaza. La Striscia non può vivere da sola: ha bisogno di commerciare con la Cisgiordania e non soltanto". Lo sviluppo positivo dell’economia della Striscia è legato alla sicurezza d’Israele e alla stabilità del suo mercato, perché se "a Gaza la situazione economica diventasse più difficile, ricomincerebbero a volare i razzi e, a sua volta, l’economia israeliana sarebbe negativamente influenzata". Ron Tira è un giovane e famoso uomo d’affari israeliano. Assicura che Israele è, sul piano degli investimenti, al massimo livello dal 1999, racconta come l’opinione più diffusa in questi giorni negli ambienti finanziari sia che il piano di disimpegno darà il via a un processo d’accelerazione dell’economia del paese, legato alla diminuzione del terrorismo. Tira è un po’ scettico: "E’ un livello d’aspettative irrealistico. Il momento della verità si avrà soltanto dopo il ritiro, con l’inizio dei negoziati". Non pensa che la situazione cambierà molto dopo l’evacuazione degli insediamenti. Il giovane ha una sua interpretazione delle dimissioni di Netanyahu: cresce il sentimento d’incertezza, spiega, perché Bibi "non aveva ancora completato le riforme promesse". Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.