Le dimissioni di Netanyahu:una cronaca scorretta di Alberto Stabile
Testata: La Repubblica Data: 08 agosto 2005 Pagina: 17 Autore: Alberto Stabile Titolo: «Sì del governo al ritiro da Gaza ma Netanyahu dà le dimissioni»
LA REPUBBLICA di lunedì 8 agosto 2005 pubblica un articolo di Alberto Stabile sulle dimissioni di Banjamin Netanyahu dal governo israeliano, in polemica con il ritiro da Gaza. Stabile riporta le parole di Netanyahu, dalle quali "sembrerebbe" che "Netanyahu avrebbe preferito qualche forma di negoziato, ma non è così", infatti "durante il suo mandato come primo ministro, dopo la morte di Rabin, Netanyahu, un irriducibile critico degli accordi di Oslo, ha messo egregiamente a frutto la lezione di Shamir, il suo mentore politico, temporeggiando fino a svuotare gli accordi del loro significato". Stabile dimentica che durante il governo di Natanyahu, di fatto, si giunse ad un accordo per l'applicazione di Oslo e molte città palestinesi passarono sotto il controllo dell'Anp, portando oltre il 90% della popolazione dei territori sotto la sovranità palestinese. Di passi concreti in direzione di un compromesso con i palestinesi dunque, in passato ne ha fatti anche Netanyahu. Stabile scrive anche che "in qualsiasi democrazia parlamentare le dimissioni del titolare di un dicastero di primaria importanza come quello delle Finanze, comporterebbero se non una crisi di governo almeno la necessità di un chiarimento". Ma Sharon ha finora evitato una crisi di governo nel rispetto della legge, e garantendosi sempre maggioranze parlamentari. Il tentativo di cogliere anche questa occasione per descrivere Israele come un’ "anomalia" democratica è dunque infondato.
Ecco il testo: GERUSALEMME - «Il mio voto sul ritiro è questo». Con un colpo di teatro a lungo preparato, il ministro delle Finanze, Benjamin Netanyahu, ha gettato sul tavolo del governo la lettera di dimissioni poco prima che il Consiglio dei Ministri approvasse in via definitiva, con 17 voti a favore e 5 contrari, la prima fase del Piano di disimpegno voluto da Ariel Sharon. E quasi a voler sottolineare anche fisicamente l´irrimediabilità del suo gesto, Netanyahu s´è alzato ed ha abbandonato la seduta. Nonostante la drammaticità delle forme scelte per segnalare il suo dissenso, le dimissioni di Netanyahu erano annunciate. Così come i voti contrari degli altri quattro ministri "ribelli": Dany Naveh (Sanità), Limor Livnat (Educazione), Israele Katz (Agricoltura) e Tzahi Hanegbi (Senza Portafoglio). I quali, al pari di Netanyahu, pur avendo cercato sin dall´inizio d´ostacolare l´approvazione del piano, non risulta, tuttavia, che abbiano intenzione di dimettersi. In qualsiasi democrazia parlamentare le dimissioni del titolare di un dicastero di primaria importanza come quello delle Finanze, comporterebbero se non una crisi di governo almeno la necessità di un chiarimento. Ma questo non è il caso, perché Sharon, navigando sul filo del regolamenti, durante il lungo e tormentato iter del suo piano è sempre riuscito ad evitare la crisi, anche quando, con un classico ribaltone, ha cambiato completamente il segno della maggioranza che lo aveva fino a quel punto sostenuto, imbarcando l´opposizione laburista nell´esecutivo a scapito dei partiti dell´estrema destra. Ieri ha rapidamente sostituito Netanyahu alle Finanze con il vice premier Ehud Olmert. Così, avendo Sharon provveduto per tempo ad assicurarsi il necessario consenso parlamentare, le tardive dimissioni di Netanyahu, così come il voto contrario degli altri quattro ministri, non avranno alcuna conseguenza sulla realizzazione del ritiro. Il quale, come previsto comincerà la settimana prossima con la notifica (il 15 agosto) agli abitanti degli insediamenti dell´atto di sgombero. I destinatari avranno, allora, due giorni di tempo, per lasciare volontariamente le loro case, dopo di che, dal 17, inizierà l´evacuazione forzata. Erano stati proprio i "ribelli" capitanati da Netanyahu a pretendere, a febbraio, che, in cambio del loro voto favorevole sulle linee generali del piano proposto da Sharon, il ritiro venisse suddiviso in quattro fasi, ciascuna delle quali sarebbe stata sottoposta al voto del governo. In realtà, come dimostra l´esito della votazione di ieri sulla fase Uno (l´evacuazione dei tre insediamenti isolati di Netzarim, Kfar Darom e Morag) s´è trattato di un tentativo di guadagnare tempo. Un tentativo che a Netanyahu è costato l´accusa d´opportunismo lanciatagli contro dai coloni. «Non posso essere partecipe di una mossa irresponsabile che spacca il paese, danneggia la sicurezza di Israele e in futuro creerà rischi all´unità di Gerusalemme», ha scritto il ministro delle Finanze per motivare il Gran Rifiuto. «C´è modo e modo per ottenere pace e sicurezza, ma un ritiro unilaterale sotto il fuoco e senza niente in cambio non è certamente il modo giusto». Sembrerebbe da queste parole che Netanyahu avesse preferito una qualche forma di negoziato, ma non è così. Durante il suo mandato come primo ministro, dopo la morte di Rabin, Netanyahu, un irriducibile critico degli accordi di Oslo, ha messo egregiamente a frutto la lezione di Shamir, il suo mentore politico, temporeggiando fino a svuotare gli accordi del loro significato. Non a caso, Bibi, come viene affabilmente chiamato da amici e avversari, riceve, oggi, gli elogi del Consiglio dei Capi degli Insediamenti (Yesha) i quali, dopo averlo a suo tempo deriso ne lodano «la responsabilità nazionale e la leadership mostrate nel decidere di non prestarsi a sradicare le comunità ebraiche incoraggiando il terrorismo». «Non posso fermare il ritiro, ma posso essere in pace con me stesso», ha spiegato il ministro delle Finanze, incontrando i giornalisti. Una motivazione troppo debole agli occhi dei suoi avversari che preferiscono vedere nelle dimissioni di Netanyahu una mossa calcolata in vista delle primarie del Likud che incoroneranno il candidato premier alle elezioni del 2006. Sharon ha annunciato che intende presentarsi. Netanyahu, sarà il suo avversario. Ieri la borsa ha reagito male alla notizia delle dimissioni, perdendo circa il 5 per cento. Come ministro delle Finanze, Netnayahu, s´è, infatti, distinto per una dura politica di tagli (lui dice: «storiche riforme»). Il che gli ha fatto guadagnare le simpatie degli imprenditori e l´avversione dei sindacati. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Repubblica. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.