martedi` 26 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
04.08.2005 La protesta nonviolenta contro il disimpegno da Gaza
cronaca della manifestazione di Ofakim

Testata: Il Foglio
Data: 04 agosto 2005
Pagina: 1
Autore: Rolla Scolari
Titolo: «Giovani, carini, colorati. Ecco gli israeliani che non vogliono lasciare Gaza»
IL FOGLIO di giovedì 4 agosto 2005 pubblica un articolo sul movimento anti-ritiro in Israele.

Ecco il testo:

Gerusalemme. Il fronte israeliano contrario al ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza ieri ha manifestato a Ofakim. Gli abitanti della cittadina nel Negev che si trova a un passo dai Territori hanno accolto nei loro piccoli giardini i ragazzi venuti da tutte le città d’Israele per protestare contro il piano di disimpegno del premier Ariel Sharon. Sono poche migliaia. Ofakim si trova a sud del paese, a metà strada tra Bersheva e la Striscia. Il programma era di marciare, in serata, verso l’insediamento di Gush Katif, uno di quelli che verrà evacuato a breve.
La maggior parte dei manifestanti è composta da giovani (scuole e università sono chiuse per le vacanze estive). Sono tutti vestiti d’arancione, il colore della protesta. Sono arrivati in auto, pullman, autostop. Alcuni sono arrivati martedì notte, dopo la protesta che si è tenuta nella vicina cittadina di Sderot e hanno bivaccato nei giardini delle case di Ofakim. Le forze di sicurezza sono ovunque. I poliziotti arrivano da ogni parte d’Israele, così come i manifestanti, che ieri hanno bloccato per ore le strade principali del paese, generando più di un nervosismo. Gli elicotteri sorvolano la città e si sente la presenza degli agenti. Nel campo dove si sono raccolti i manifestanti gli stand vendono gadget arancioni di associazioni contro il ritiro e ci sono bancarelle di cibo e bevande fresche. Roi, che fa parte del Bnei akiva, un’importante organizzazione giovanile religiosa, spiega al Foglio che lui e i suoi compagni passano di casa in casa per convincere le persone a opporsi al ritiro. E’ questo uno dei modi con il quale, i ragazzi protestano contro il disimpegno, "itnatkut" in ebraico. "Suona come ‘it’s not good’ in inglese", scherza il ragazzo. Gli amici di Roi stanno seguendo una lezione di Torah sotto una grande tenda all’ombra. In un altro stand una ragazza vende magliette arancioni con la scritta: "Yehudi lo megaresh yehudi", "un ebreo non caccia un ebreo". E’ il nome di un’associazione che raccoglie fondi per gli abitanti di Gush Katif.

I comizi e le chitarre
I politici della destra israeliana anti Sharon non si sono fatti sfuggire l’occasione. Sia la manifestazione di Sderot sia quella di Ofakim sono terminate con un comizio e sono molti, anche tra i giovanissimi, i militanti di diversi partiti che animano la protesta. Ci sono i gruppi religiosi e quelli d’estrema destra. Ieri mattina a Ofakim ha parlato Matania Ben Artzi, il cognato del ministro delle Finanze, Benjamin Netanyahu, del Likud. In serata, su un palco installato ai lati di un polveroso terreno, tra stacchi musicali, diversi rabbini e portavoce di partiti hanno tenuto discorsi. Itzhak Levi, membro della Knesset, prima di salire sul palco ha detto al Foglio che il fronte antiritiro non smetterà di fare pressioni sul governo. L’obiettivo è annullare il ritiro. Levi non accetta il risultato degli ultimi sondaggi israeliani, secondo i quali la maggior parte della popolazione è favorevole al disimpegno da Gaza e appoggia il premier Sharon. "Le percentuali si equivalgono: alcune dicono che il 58 per cento è favorevole, altre parlano del 54, altre ancora del 51. Noi chiediamo che siano indette elezioni o che si tenga un referendum". A Sderot, due giorni fa, hanno preso la parola diversi rabbini, alcuni politici, tra cui l’ex dissidente sovietico Nathan Sharansky, alcuni membri di gruppi d’estrema destra come il Mafdal e Ihud Leumi, il raggruppamento nazionale, e Bentzi Lieberman, diventato il leader della protesta arancione, capo dello Yesha Council, l’associazione di destra che raggruppa gli abitanti degli insediamenti.
Da Gerusalemme ieri sono partiti diversi autobus per Ofakim, organizzati da Yesha. Con 20 shekel, circa 4 euro, era possibile arrivare a destinazione in poco meno di due ore di viaggio. Il pullman delle 13 e 30 non era pieno: meno di quaranta persone. Sono tutti giovanissimi. Atva ha 16 anni e, come tutti gli altri ragazzi sotto le tende a Ofakim, è in vacanza. Le scuole sono chiuse. Non abita negli insediamenti, ma dice al Foglio di voler andare alla protesta, perché vuole aiutare le persone "laggiù". "Fanno parte di noi. Non porterà la pace né agli israeliani né agli arabi – dice Atva – lo capisce anche una ragazzina di 16 anni come me". Sull’autobus dello Yesha Council l’età media è inferiore ai venti. Sembra una gita di classe: tra i sedili spuntano chitarre e zainetti da campeggio.
"Mia sorella abita negli insediamenti a Netzarim. Che cosa farà dopo il ritiro? – si chiede un ragazzo – Se hai fede in Dio sai che ti aiuterà. E noi speriamo ancora che l’evacuazione non avvenga", conclude. La sua famiglia si opporrà allo sgombero, senza usare violenza, come gli abitanti del settlement
di Netzer Hazani, che simbolicamente consegneranno le armi in loro possesso
all’esercito israeliano. Ma chi non lascerà la propria casa spontaneamente avrà diritto a un rimborso minore da parte del governo. "Stanno dando la terra ai terroristi", dice al Foglio un giovane diciottenne. Si rende conto che la maggior parte degli israeliani appoggia il premier Sharon e che a Ofakim protesta soltanto una minoranza del paese. Pensa però che molti nello Stato ebraico non capiscano a fondo le conseguenze del ritiro. "Fino a un anno fa le persone non sapevano neppure di che cosa si trattasse. Gli israeliani sono stanchi del terrorismo, pensano che avranno la pace se ci ritireremo da Gaza e allora se lo fanno andare bene". Se il programma sarà rispettato, il 15 agosto entrerà in vigore la legge sul disimpegno. Da quel momento sarà illegale per ogni israeliano rimanere all’interno della Striscia di Gaza. Sono previste però
48 ore di tolleranza. Il 17 agosto interverrà l’esercito. La prima zona a essere evacuata sarà quella in cui si trovano i centri di Netzarim, Morag e Kfar Darom, a sud di Gaza. Il secondo passo è il disimpegno da quattro insediamenti nella Cisgiordania settentrionale. La terza fase sarà la più impegnativa: evacuare Gush Katif. E’ l’area più vasta dei Territori: copre quasi il 20 per cento della Striscia di Gaza ed è un blocco (gush, in ebraico) di diversi centri abitati. L’ultima tappa vedrà infine lo sgombero degli insediamenti a nord di Gaza, lungo la linea verde. Nonostante i vari sondaggi favorevoli al piano di Ariel Sharon, Atva, come molti altri sul pullman che si è recato a Ofakim, è convinta che la stampa menta. "Non è vero che gli israeliani vogliono il ritiro, altrimenti perché il primo ministro teme di andare alle elezioni?", si chiede Lea, una signora che è andata alla manifestazione con la figlia di diciotto anni, che fra qualche settimana, come molte altre sue coetanee, entrerà nell’esercito e ci resterà per due anni.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.

lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT