Come Israele cerca la pace intervista a Shaul Mofaz, ministro della Difesa israeliano
Testata: L'Espresso Data: 03 agosto 2005 Pagina: 78 Autore: Gigi Riva Titolo: «Via da Gaza verso la pace»
L'ESPRESSO datato 4 agosto 2005 pubblica un'intervista di Gigi Riva al ministro della Difesa israeliano, Shaul Mofaz.
Ecco il testo: Shaul Mofaz ha un’idea molto precisa di quale sia il suo ruolo in questa caldissima estate mediorientale: deve far rispettare la data prevista per il ritiro da Gaza che, comunque, non avverrà in nessun caso sotto il fuoco". Apprezza gli sforzi che l’autorità palestinese ha compiuto contro le organizzazioni terroristiche e sis aspetta che vengano estesi. Ma manda, in questa intervista a "L’espresso", un segnale chiaro ad Abu Mazen: "qualunque cosa non farete voi in questo senso, la faremo noi2. Perché la priorità nella sua agenda riguarda la "sicurezza dei cittadini". Sa benissimo, il ministro della Difesa israeliano, di essere nel mezzo di una doppia sfida: una contro i nemici storici (Hamas, Jihad, Brigate Al Aqsa) e l’altra contro la guerra interna, estremista, contraria all’uscita dalla Striscia e che sta mobilitando migliaia e migliaia di coloni. Ricorda che chiunque ha diritto di protestare "in una nazione democratica quale siamo, ma senza infrangere la legge". Per cui incidenti come quelli successi, in futuro "non saranno tollerati". Forse non si immaginava, il generale Shaul Mofaz, 57 anni, nato in Iran ed emigrato con la famiglia in Israele nel 1957, che un giorno avrebbe dovuto schierare i suoi soldati contro la sua stessa gente. Mofaz è un uomo decisivo per la strategia politica e militare di Israele. Ha fama di duro. Ma dimostra, anche in questa occasione di saper interpretare le stagioni. Questo è il tempo delle dolorose concessioni, in virtù di quel bene superiore che si chiama "pace".
Ministro Mofaz, a che punto sono i preparativi per il ritiro unilaterale da Gaza? Israele sta facendo tutto il possibile per completare la preparazione del piano. Il governo si è impegnato a rispettare le scadenze che si è dato e così sarà.
Teme che nell’esercito ci possano essere molti obiettori che rifiuteranno die seguire gli ordini? No, non credo che ci saranno molti soldati che si rifiuteranno di fare il loro dovere. Finora abbiamo avuto solo alcuni casi isolati. La stragrande maggioranza dei soldati e delle forze di polizia eseguiranno i compiti loro assegnati con moralità e lealtà.
Tuttavia l’ala più intransigente dei coloni invita a disobbedire e ha già promosso scontri e cortei di protesta Si aspetta qualche altra iniziativa clamoroso da qui la 17 agosto? Essendo Israele una nazione democratica i suoi cittadini hanno il legittimo diritto di protestare, fino al punto che lo vorranno, senza però infrangere la legge. Ogni tentativo degli estremisti di procurare danno ai soldati della Idf (forze di difesa d’Israele), alla polizia o a chiunque altro agisce per conto del governo sarà punito secondo quanto previsto dalla legge, senza alcun compromesso. Non tollereremo incidenti, come quelli successi di recente e provocati da persone che si sono messe fuori dalla legge. Non c’è spazio per un tale comportamento nella società israeliana e lo contrasteremo con tutta la forza di cui disponiamo.
Sul versante "esterno", avete potuto apprezzare una collaborazione nei preparativi del ritiro da parte dell’Autorità palestinese? Il coordinamento è nell’interesse delle parti, ma non è una condizione per procedere col piano. Noi speriamo che tutto avvenga in collaborazione piena coi palestinesi affinché sia la premessa per un futuro migliore per entrambi. Siamo in costante contatto a tre livelli: ministeriale (ho tenuto rapporti con Muhammad Dahlan, ministro per la Sicurezza e Nasser Yusef, ministro dell’Interno), a livello di generali e anche sul terreno.
Il che non esclude, soprattutto nella fase più delicata, una recrudescenza degli attacchi delle organizzazioni fondamentaliste. Hamas continua lanciare razzi kassam sulle colonie e anche sul territorio israeliano. La Jihad islamica ha firmato l’attacco kamikaze a Netanya. Negli scorsi mesi le nostre forze di sicurezza hanno sventato molti attentati. Sfortunatamente quello di Naetanya non siamo stati in grado di prevenirlo. Fa parte di una strategia volta far deragliare il piano di disimpegno. Voglio sottolineare che, in nessun caso, Israele procederà al ritiro sotto il fuoco Se le organizzazioni terroristiche proveranno a ostacolare il processo, la Idf saprà come agire e contrastare. Solo dopo che avremo risolto le questioni il disimpegno potrà cominciare.
Secondo la vostra valutazione il presidente palestinese Abu Mazen sta facendo tutto il possibile per fermare gli estremisti del suo campo? Penso che Abu Mazen abbia delle intenzioni oneste. Nelle ultime settimane l’Autorità palestinese ha fatto vedere i primi segni di azioni concrete contro le organizzazioni terroristiche. Israele si aspetta che si espanda la portata di queste azioni e si prendano decisioni aggressive contro il terrorismo. E’ un interesse comune. La leadership palestinese è sotto esame e ha questa opportunità per dimostrare non solo a Israele , ma al mondo intero, che ha le giuste intenzioni e vuole imboccare la strada del dialogo e della coesistenza con lo stato di Israele. Mandiamo un chiaro messaggio all’Autorità palestinese: "Qualunque cosa non farete voi, la faremo noi". Faremo tutto ciò che è necessario per difenderci, per impedire che i nostri cittadini siano sotto attacco.
Che cosa si aspetta dalle elezioni palestinesi previste per luglio e slittate a novembre? Teme un successo di Hamas? Stiamo facendo il possibile per aiutare la leadership palestinese a prendere le iniziative necessarie contro il terrorismo, in modo da poter continuare il dialogo e la collaborazione. Abbiamo anche preso una serie di iniziative per costruire la fiducia e portare beneficio al popolo palestinese . Il miglioramento delle condizioni socio-economiche all’interno dell’autorità palestinese ridurrà l’appoggio alla violenza e al terrorismo e favorirà la democratizzazione dell’Autorità palestinese. Al summit di Sharm el Sheik ci siamo impegnati in una serie di azioni volte a rafforzare e stabilizzare i palestinesi: abbiamo rilasciato 900 prigionieri , trasferito al responsabilità della sicurezza di Tulkarem e Gerico, nel corso delle prossime settimane faremo altrettanto con Kalkilya e Betlemme. In più abbiamo adottato molte misure che possono rappresentare un sollievo umanitario, come fornire permessi ai lavoratori e ai commercianti, migliorare l’accesso movimento di civili, turisti e commercianti, rimuovere check point. Abbiamo aperto 34 punti di passaggio lungo al barriera di difesa per la popolazione palestinese e naturalmente faremo tutto il possibile per frenare le reazioni israeliane in modo da non esacerbare la situazione.
C’è Gaza e c’è un dopo Gaza. Sono da sempre tre i punti su cui naufragano tutte le iniziative di pace: confini, ritorno dei profughi, status di Gerusalemme. Dopo il ritiro, sarà possibile rimettere in carreggiata la Road Map? "Noi intendiamo muoverci nel rispetto della Road Map, l’ho detto spesso e lo ribadisco. Dopo il disimpegno possiamo cominciare con lo "Stage A" che prevede lo smantellamento delle infrastrutture terroristiche e un seria guerra contro le organizzazioni terroristiche. Senza questo essenziale passo sarà molto difficile far progredire il processo politico. Consideriamo Hamas, senza ombra di dubbio, un’organizzazione terroristica e così sarà finché non cambierà completamente strada e la finirà di incoraggiare gli assassinii e vorrà aprire un onesto e reale dialogo. Anche recentemente, abbiamo accettato un "periodo di calma", Hamas continua a fare incetta di armi e può riprendere a sferrare attacchi terroristici non appena consideri di non avere interesse a protrarre la "calma". Lo voglio sottolineare ancora: Lo Stato di Israele stende le sue braccia in pace. Il popolo di Israele cerca e prega per la pace ed ha già dato prova di essere pronto a un doloroso compromesso per raggiungere questo fine. Ma in ogni caso non faremo nessun compromesso che pregiudichi la sicurezza dei nostri cittadini.
Quale influenza avrà sulla regione la vittoria alle presidenziali in Iran del candidato conservatore Ahmadinejad? Le lezioni iraniane sono un problema interno iraniano sul quale Israele non ha preso posizione né intende interferire. Comunque Israele si aspetta che l’Iran, sotto questa nuova leadership, non sostenga il terrorismo globale e non prenda parte al conflitto israelo-palestinese. Speriamo che l’Iran la smetta di sostenere, assistere e finanziare le organizzazioni terroristiche, specialmente Hezbollah e Hamas. L’ho già detto da diverso tempo: il problema nucleare deve essere affrontato da Europa e Stati uniti con pressioni economiche e diplomatiche adeguate.
Dopo il ritiro dal Libano, che ruolo si aspetti che giochi ora la Siria? La Siria, nonostante abbia ritirato le sue truppe dal Libano, mantiene una forte influenza in quel Paese. Spero che il governo libanese sia indipendente, forte e pragmatico. Un governo che si assuma il carico di combattere il terrorismo e rivolga le sue attenzioni alla ricerca della pace. Israele non ha problemi col popolo libanese e speriamo che il governo libanese segua l’esempio di Egitto e Giordania e voglia arrivare a un accordo di pace.
Ha citato l’Egitto, paese strategico scosso da forti tendenze fondamentaliste. Teme la destabilizzazione di un vicino così importante? La pace con l’Egitto è di strategico interesse per entrambi, e tutto deve essere fatto per mantenerla e accrescerla. Tuttavia non ci sono dubbi che oggi il terrorismo globale colpisce dappertutto (come abbiamo visto a Londra) e tutte le nazioni del mondo devono contribuire a un’inflessibile guerra contro il terrorismo. Da quando ha firmato il trattato di pace, l’Egitto ha rispettato tutti i suoi impegni ed è un alleato importante per Israele. Il processo che abbiamo intrapreso (e il ruolo che l’Egitto gioca all’interno di esso) è un incoraggiante segnale per la relazione tra i due paesi basata sulla fiducia.
Dopo Londra e vista la vostra esperienza, ha qualche suggerimento da dare all’Occidente su come affrontare il terrorismo? Non credo ci sia bisogno di dare consigli agli italiani. Sfortunatamente il terrorismo è diventato una questione internazionale. Colpisce dappertutto (Londra, Turchia, Madrid, Egitto) e non c’è paese che può dirsi immune. Quindi tutti i paesi devono combattere insieme una seria battaglia. Israele fa parte della coalizione contro il terrorismo.
Oggi, nove mesi dopo la morte di Arafat, lei è più o meno ottimista circa le prospettive di pace? Nonostante tutti problemi che abbiamo analizzato, io spero realmente che la direzione intrapresa dalla nuova leadership palestinese differisca da quella di Arafat, che ha condotto il suo popolo in una tragica situazione e ha prodotto spargimento di sangue nell’intera regione. Abbiamo colto segnali per i quali si può facilmente affermare che il popolo palestinese è stanco della violenza e del terrore e vuole una leadership che prenda un’altra strada. Sono certamente ottimista e credo che il passo coraggioso fatto dal governo israeliano porterà un futuro più luminoso nell’intera regione. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione dell'Espresso. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.