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Libero Rassegna Stampa
02.08.2005 Ancora sulla polemica Israele-Vaticano
un intervento di Iuri Maria Prado

Testata: Libero
Data: 02 agosto 2005
Pagina: 15
Autore: Iuri Maria Prado
Titolo: «Su Israele Ratzinger si guardi dal Vaticano»
LIBERO di martedì 2 agosto 2005 pubblica un intervento di Iuri Maria Prado sulla polemica tra Israele e Vaticano.

Lo riportiamo:

Potevano spegnersi in fretta le polemiche intorno al Papa, che qualche giorno fa in un suo discorso di solidarietà verso i Paesi colpiti dal terrorismo dimenticava di citare Israele. Tutto poteva risolversi nel riconoscimento delle reciproche ragioni: il governo israeliano avrebbe potuto riaffermare il proprio disappunto per quella dimenticanza, considerandola un incidente da chiudersi nel quadro delle relazioni positive ultimamente sviluppatesi; e il Vaticano avrebbe potuto mettere una toppa, magari non riconoscendo l'errore ma concedendo a Israele il diritto di considerarlo tale. Non è successo. E semmai la questione ha trovato, dopo il discorso del Papa, e verosimilmente senza il suo contributo, ulteriore materia di controversia. Ormai non importa più nemmeno discutere sul fatto che Benedetto XVI abbia o no intenzionalmente omesso di citare Israele, e se fosse consapevole dei significati attribuibili a quell'omissione. Importa piuttosto denunciare che molti, negli alti ranghi della Chiesa, hanno reagito manifestando il convincimento che quell'omissione fosse giustificata e giustificabile: e magari non la voleva il Papa, ma loro ne reclamano adesso l'appropriatezza con argomenti tali, che le proteste originarie del governo israeliano meriterebbero di essere onorate quali intelligenti e fin troppo composte denunce di un pericolo tanto imminente quanto temibile. Cioè il pericolo che i propositi dello stragismo antisemita e antiisraeliano possano ambire a una sorta di franchigia nell'" opportuno" silenzio promanante addirittura dal vertice della cristianità cattolica. Ne era prova allarmante, giusto qualche giorno fa, un'intervista del Corriere della Sera al Cardinale Silvestrini, che dichiarava come solo un « pregiudizio filoisraeliano » avrebbe potuto determinare quella polemica intorno alle parole ( mancate) del Papa: come se l'essere " filoisraeliani"", e cioè difensori del diritto all'esistenza di Israele, unica isola di democrazia in quel deserto di schiavitù e tirannia, costituisse appunto un " pregiudizio", politicamente, civilmente e cristianamente assimilabile a un opposto pregiudizio " filopalestinese". E la riprova, ben più grave, veniva poi dalle dichiarazioni del portavoce vaticano NavarroValls, il quale non si è limitato a denunciare come « pretestuose » le doglianze israeliane, maha giustificato e riaffermato la doverosità della dimenticanza di Benedetto XVI, argomentando che siccome l'esercito israeliano condurrebbe azioni militari e di polizia « non sempre » compatibili con il diritto internazionale, allora « non sempre » sarebbe possibile condannare gli attentati terroristici contro gli israeliani. A dimostrazione che per la Chiesa, o almeno per chi ne porta la voce politica, l'atto del kamikaze che si fa esplodere inun bar o sopra un autobus è equiparabile a un'iniziativa militare di un esercito regolare, che fino a prova contraria non mira a fare vittime tra i civili e, se ne fa, non organizza festeggiamenti ma indagini. A dimostrazione, ancora, che per la Chiesa l'aspirazione all'esistenza di Israele vale quanto l'aspirazione di quei palestinesi che vogliono farne cenere. Quanto una simile impostazione possa aiutare non si dice Israele e gli ebrei, ma il cosiddetto mondo libero e democratico, ad affrontare con efficacia la minaccia terroristica, potranno dimostrarlo bene ( si fa per dire) le cronache dei prossimi anni. Certo, nel distinguere tra amici e nemici, bisognerebbe essere precisamente onesti: e ammettere che il nemico non ce l'abbiamo solo in casa, ma anche in Chiesa.
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