Per l'Onu in Iraq non c'è nessuna "occupazione". Magdi Allam sul Corriere sbugiarda L'Unità e Romano Prodi
Testata:Informazione Corretta Autore: la redazione Titolo: «Per l'Onu in Iraq non c'è nessuna "occupazione". Magdi Allam sul Corriere sbugiarda L'Unità»
Il CORRIERE DELLA SERA di martedì 2 agosto 2005 pubblica in prima pagina un editoriale di Magdi Allam, "L'occupazione in Iraq? Per l'Onu finì nel 2004", che riportiamo: «In Iraq siamo occupanti, lo dice l'Onu. Ecco perché l'Italia è a rischio». Lo scoop, urlato a caratteri cubitali sulla prima pagina dell'Unità di ieri, soffre ahimé di due mali diffusi nella nostra categoria: il poltronismo e l'ideologismo. Sarebbe bastato prendersi la briga di leggere le prime tre righe del preambolo della risoluzione 1546 delle Nazioni Unite, approvata all'unanimità l'8 giugno 2004, per sapere che per la comunità internazionale l'Iraq non è più uno Stato occupato per la precisione dal 28 giugno 2004. E se proprio costava troppa fatica rintracciare un documento ufficiale, andava ugualmente bene dare un'occhiata a un sommario a pagina 13 sull'Unità del 29 giugno 2004: «Il proconsole di Bush, dopo 13 mesi di occupazione, ha consegnato una cartella in pelle contenente la dichiarazione ufficiale del trasferimento di sovranità». Andiamo con ordine. Leggiamo insieme le prime tre righe del preambolo della risoluzione dell'Onu 1546: «Il Consiglio di Sicurezza saluta l'inizio di una nuova fase nella transizione dell'Iraq verso un governo eletto democraticamente, e in attesa della fine dell'occupazione e dell'assunzione di piena responsabilità e autorità da parte di un governo ad interim dell'Iraq pienamente sovrano e indipendente entro il 30 giugno 2004...». Il concetto della fine del regime di occupazione è chiarito nell'articolo 2: «Il Consiglio di Sicurezza... saluta il fatto che, sempre entro il 30 giugno 2004, finirà l'occupazione e l'Autorità provvisoria della Coalizione cesserà di esistere, e che l'Iraq riaffermerà la propria completa sovranità». La stessa risoluzione legittima pienamente la forza multinazionale in Iraq, perché — si specifica nell'articolo 9, la sua presenza «è una richiesta dell'entrante governo ad interim dell'Iraq», mentre l'articolo 10 stabilisce che «la forza multinazionale avrà l'autorità di prendere tutte le misure necessarie per contribuire al mantenimento della sicurezza e della stabilità in Iraq», nonché «la prevenzione e la dissuasione dal terrorismo in modo che, fra l'altro, le Nazioni Unite possano svolgere il loro ruolo di assistenza al popolo iracheno». La legittimazione internazionale della forza multinazionale era già insita nella risoluzione 1511 approvata il 16 ottobre 2003, laddove l'articolo 13 «autorizza, altresì, la Forza multinazionale sotto comando unificato a prendere tutti i provvedimenti necessari per contribuire al mantenimento della sicurezza e della stabilità in Iraq...» e dove l'articolo 14 «esorta i Paesi membri (dell'Onu, ndr) a dare il proprio contributo, in virtù di questo mandato delle Nazioni Unite, anche con l'invio di forze militari, alla Forza multinazionale...». Cari colleghi dell'Unità, ammesso che sia vero che scriviamo per la quotidianità e non per la Storia, possibile che siamo capaci di storpiare e rinnegare la realtà dei fatti a distanza di un anno solo? Il 29 giugno 2004 sia il Corriere sia la Repubblica, non a caso, titolavano allo stesso modo, «L'Iraq è uno Stato sovrano», con un sottotitolo che spiegava che gli Stati Uniti avevano anticipato di due giorni il passaggio dei poteri al nuovo governo iracheno. Dunque le «parole che fanno paura», a differenza di quanto scrive Bruno Gravagnuolo, sono quelle asserite senza verificarne la fondatezza e ripetute in modo martellante affinché s'imprimano nella mente di chi si fida della credibilità dei media. Finendo permietere vittime anche tra taluni intellettuali, come Gianni Vattimo, magistrati, come Clementina Forleo, politici, e qui i nomi abbondano, che non sanno o non vogliono sapere che secondo il diritto internazionale l'Iraq è uno Stato pienamente sovrano e che la Forza multinazionale è pienamente legittimata dalle risoluzioni 1511 e 1546 dell'Onu. E che pertanto se sono legali il governo iracheno e le forze multinazionali, non si può attribuire la patente di legalità a chi li combatte tramite il terrorismo. Di seguito l'apertura dell'UNITA' di lunedì 1 agosto 2005, cui l'editoriale di Allam si riferisce: In Iraq siamo occupanti, lo dice l’Onu Ecco perché l’Italia è a rischio
FORZE DI OCCUPAZIONE La definizione non se l’è inventata Prodi: è nelle risoluzioni delle Nazioni Unite, nelle parole di Bush e di Blair, e indirettamente, persino in quelle del ministro Martino. Il contingente italiano è arrivato in Iraq quando non c’era traccia di istituzioni irachene e a governare era Paul Bremer. Berlusconi e Fini fanno finta di ignorarlo per non ammettere quel che, assieme a Prodi, dicono tutti i maggiori analisti internazionali: i paesi occupanti sono quelli più esposti al terrorismo E l'articolo di Bruno Gravagnuolo, "Le parole che fanno paura". Si stracciano le vesti e insultano. E si accaniscono contro le parole demonizzando l’avversario. Per schiacciarne l’immagine, non solo metaforicamente, su quella del nemico. Sicché è bastato che Prodi parlasse di «truppe occupanti» in Iraq per scatenare la più violenta e furibonda delle reazioni. Con Berlusconi ad accusare il leader del centrosinistra di incentivare così gli attacchi della guerriglia ai nostri soldati. E con Fini a evocare il rischio di attacco terroristico al nostro paese, a seguito delle parole di Prodi. È il classico procedimento persecutorio di chi nega i fatti e gli atti compiuti. E allontana da sé le proprie responsabilità per rovesciarle su un terzo. Tacitandolo di intesa con il male. Ed è capitato proprio nel momento in cui larga parte dell’opposizione votava ed emendava in spirito «bipartisan» il decreto Pisanu! Già, incorreggibile questa destra di governo. Che invoca responsabiltà e contegno, ma che in realtà non ne ha mai avuti E che vorrebbe mettere il bavaglio alle idee degli altri. Come? Con la censura semantica. Una sorta di «politiccally correct» e pulizia del linguaggio, pronta a scattare come riflesso condizionato, quando le parole degli altri la colpiscono al cuore. Anche se sono pronunciate con estrema sobrietà e senza intenzioni contundenti. Che cosa ha detto Prodi? Che le truppe italiane in Iraq sono attualmente «un contingente di occupazione», e che come tale sarà ritirato dopo la vittoria del centrosinistra. Significa che la missione deve essere rivista in un senso umanitario e pacifico, e che in mancanza di un diverso quadro, sancito da un un nuovo accordo internazionale, le truppe non possono essere mantenute in quel paese. Un’impostazione chiara, sancita dal voto contrario in Parlamento al rifinanziamento della missione. Fondata su un dato incontrovertibile: l’esercito italiano in Iraq è di fatto e di diritto una forza di occupazione. Integrata in un «comando unificato» alle dipendenze degli angloamericani, il quale non è affatto un comando unificato a rotazione, come ad esempio accade in Afganisthan. Del resto, tutte le risoluzioni Onu ammettono il ruolo occupante delle forze integrate sotto il comando di chi ha promosso la guerra irachena, anche laddove parlano di funzioni di « stabilizzazione». Giusto quindi contribuire a chiarificare il quadro e a sciogliere le ambiguità. Prefigurando un ritiro che non è rinuncia a operare in una mutata situazione, internazionalmente rilegittimata. Perciò linea politica nitida quella prospettata da Prodi. L’esatto opposto di quella di Fini e Berlusconi. Che si nascondono dietro un dito. Occultano la loro adesione alla guerra preventiva di Bush (che ci espone essa sì a gravi rischi). E simulano una «exit strategy» che non hanno. Ma non è la prima volta che gli eroi del centrodestra se la prendono con le parole in spregio ai fatti. Capitò già con le grottesche polemiche contro la parola «resistenza», e contro chiunque la usasse. Anche se quelli che la adoperavano, analisti e non, la intendevano nel senso obiettivo di «contrasto» all’occupante, e non già in senso etico-politico e apolgetico in ricordo della Resistenza con la maiuscola. Poi, a sbugiardare l’isterismo della destra ci pensarono gli americani stessi. Quando sia a livello giornalistico che militare, cominciarono a parlare di «insurgents», dando per scontato che in Iraq c’erano dei resistenti in senso lato all’occupante. Con una parte dei quali, oltretutto, s’è scoperto che gli Usa già trattano da tempo. Non basta. Perché a scorrere le cronache ci è impossibile archiviare un particolare. Con l’arrivo a Baghdad delle truppe americane fu proprio il Ministro Giovanardi a parlare di un nuovo festante 25 aprile e di Liberazione. Sfigurando alla grande le parole e le cose. Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla direzione del Corriere della Sera e L'Unità. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.