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Il Giornale Rassegna Stampa
01.07.2005 I rabbini americani si dissociano da Israele nella polemica con il Vaticano? La realtà è un po' diversa
ma non serve a un titolo ad effetto

Testata: Il Giornale
Data: 01 luglio 2005
Pagina: 6
Autore: Massimilano Scafi
Titolo: «I rabbini Usa a Israele: Basta liti col Papa»
IL GIORNALE di lunedì 1 agosto 2005 pubblica a pagina 6 un articolo di Massimiliano Scafi, "I rabbini Usa a Israele: Basta liti col Papa".
In realtà la presa di posizione cui si riferiscono titolo e articolo, enfatizzandola oltre misura, non è dei "rabbini Usa", ma la "Pave the Way Foundation", definita da Scarfi "una delle più importanti lobby americane" e invece dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni "non molto importante", che comunque rappresenta certamente soltanto "alcuni" e non "i" rabbini statunitensi.

L'articolo, oltre che per l'eccesso di enfasi con il quale da notizia di una presa di posizione marginale, è criticabile perché ripropone come oggettiva l'interpretazione delle proteste israeliane come strumentali e pretestuose, legate ai negoziati per l'applicazione dell'accordo fondamentale del 1993 tra Israele e Santa Sede.

Segnaliamo anche che in un sommario dell'articolo compare una "disputa con Tel Aviv"; espressione che fa pensare che anche i redattori del GIORNALE, ignorino che la capitale di Israele è Gerusalemme.

Ecco il testo:

Basta liti, smettetela di
attaccare il Papa. «Noi, cantori
e leader delle comunità
ebraiche di tutto il mondo, manifestiamo
per dissociarci dalle
dichiarazioni del ministero
degli Affari esteri del 25 luglio
». Rabbini contro Israele,
notabili della diaspora che difendono
il Pontefice romano:
sì, succede anche questo. Proprio
mentre a Gerusalemme il
governo Sharon decide di «archiviare
la polemica» con la
Santa Sede, ecco la clamorosa
e inedita protesta di una delle
più importanti lobby americane,
la Pave the Way Foundation.
In una lettera personale
spedita a Benedetto XVI - come
rivela l’agenzia di stampa
Apcom - il presidente Gary L.
Krupp prende infatti le distanze
dalle dure accuse che da
una settimana autorità e giornali
israeliani rovesciano addosso
al Papa, accusato di vedere
soltanto i martiri di Londra
e Sharm el-Sheikh e di trascurare
il terrorismo palestinese.
No, nessuno strabismo e
nessun colpevole «silenzio»,
scrive Krupp, che ricorda
«l’operato sia di Giovanni Paolo
II che di Papa Ratzinger a
favore delle comunità ebraiche
e contro ogni forma di antisemitismo
».
Una lettera davvero senza
precedenti. Un evento che però
Riccardo Di Segni, rabbino
capo di Roma, minimizza:
«Chi si è dissociato? La Pave
the Way? Non è molto importante.
Più delle dissociazioni
poi serve il silenzio». L’iniziativa
della lobby Usa si può spiegare
con gli eccellenti rapporti
che ha con il Vaticano. Il 18
gennaio una delegazione di
160 rabbini della fondazione
era stata infatti ricevuta in
udienza da Karol Wojtyla, che
aveva nominato Krupp cavaliere
dell’ordine di San Gregorio.
E Krupp, il settimo ebreo
della storia a ricevere l’alta
onorificenza papale, aveva
ringraziato il Santo Padre, «la
cui voce si è sempre levata in
difesa degli ebrei in ogni occasione,
da prete in Polonia e durante
i ventisei anni di pontificato
». Quanto a Ratzinger, insiste
il presidente della PtW,
«non ha fatto mai mancare il
suo sostegno alla causa ebraica
». La Pave the Way ora «si
aspetta che il governo Sharon
tenga fede ai suoi impegni e
rafforzi i rapporti con la Santa
Sede».
Dietro il gelo calato tra Gerusalemme
e il Vaticano c’è infatti
qualcosa di più di una
omissione o di una dimenticanza
in un discorso. C’è soprattutto
«l’infinita trattativa
» per la definizione dello status
giuridico della Chiesa cattolica
in Israele. Un negoziato
avviato agli inizi del 1999 ma
continuamente procrastinato
e interrotto da parte israeliana.
«In pratica - spiega padre
David Jaeger, uno dei consulenti
della commissione bilaterale
per parte vaticana - l’Accordo
fondamentale del 1993,
per quanto ratificato da Israele,
non è mai stato applicato
nella sua interezza. Ad oggi è
ancora bloccata l’intesa sugli
aspetti economici e giuridici
benché contemplati nell’articolo
10. Proprio in questi giorni
era attesa la fase finale, ma
evidentemente qualcuno del
ministero degli Esteri non era
tanto d’accordo...». In Israele
la Chiesa cattolica e le sue istituzioni
(scuole, ospedali, case
per anziani etc.) non hanno
mai goduto di uno status giuridicamente
definito. «La Chiesa
è sempre stata trattata alla
stregua di un problema di ordine
pubblico - racconta padre
Jaeger -, e questa situazione
ha di fatto esposto i cristiani
nei tribunali all’arbitrio di
funzionari che si muovevano
in una situazione di legalità incerta
».
Adesso le diplomazie sono
al lavoro. Dopo gli scontri dei
giorni scorsi, Gerusalemme ha
deciso di non replicare all’ultima netta
presa di posizione
della
Santa Sede sull’«impossibilità
di ricevere insegnamenti e
direttive da alcuna autorità circa
l’orientamento e di contenuti
delle proprie dichiarazioni».
«Israele vuole una tregua con
il Vaticano», titola il Jerusalem
Post, e fonti del ministero degli
Esteri concordano sostanzialmente
con questa analisi. E il
rabbino capo di Tel Aviv Meir
Israel Lau, intervistato dallo Yediot
Ahronot, ha detto che
«dobbiamo dare credito a papa
Benedetto XVI, non dobbiamo
trasformarlo in un nostro
nemico». A Roma anche Di Segni
spera che «dopo i rilanci da
ambo le parti, ora la polemica
finisca».
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