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Il Messaggero Rassegna Stampa
30.07.2005 Come una certa sociologia non riesce a capire e riconoscere il terrorismo
ne è un esempio Franco Ferrarotti

Testata: Il Messaggero
Data: 30 luglio 2005
Pagina: 1
Autore: Franco Ferrarotti
Titolo: «Facce pulite sotto il chador»
Ferrarotti riflette sull’importanza di rilanciare il dialogo con l’islam moderato, per isolare le fazioni estremistiche. L’analisi presentata, se consistesse solo in questo, ci troverebbe consenzienti. Ma Ferrarotti, da vecchio terzomindista, va oltre, sposando le tesi di Sergio Romano,il pensiero del quale è ben noto ai nostri lettori. Segnaliamo un passo che rispecchia un vizio inveterato del giornalismo italiano del III millennio: quello di ritenere il terrorismo un fenomeno endemico del nostro tempo ma assai poco strutturato. Da qui la tendenza a raffigurarlo come un’attività propria di individui isolati (La retorica del pazzo solitario: il terrorista diventa un bohémien), alleanze episodiche di attentatori o, al massimo, di gruppuscoli simil-mafiosi. In realtà questo approccio nega l’esistenza di un fronte del terrorismo, unito da network transnazionali, con una strategia ben individuabile e vertici supportati persino da entità statuali (I famosi stati-canaglia). E’ chiaro che adottando questa prospettiva si finisce per delegittimare la guerra al terrorismo come la intende l’Amministrazione Bush, - ossia anche come "contrapposizione frontale" che richiede anche la mobilitazione dell’esercito - e, più in generale, di un’approccio più muscolare al problema. Il passo che segnaliamo è il seguente:
L’aspetto più inquietante [del terrorismo] è dato dalla natura segreta dei suoi adepti e quindi dalla sua essenziale imprevedibilità. In questo senso, non è una guerra come le altre, e anche il paragone con il kamikaze giapponese dell’ultima guerra non è sostenibile. In effetti, non è neppure una guerra. E’ un comportamento puramente e semplicemente criminale, come ancora recentemente è stato chiarito da Sergio Romano.
Ferrarotti dimostra così di non avere capito che le guerre contemporanee, come le stagioni, non sono più come quelle di una volta. La sociologia, interpreta ma quasi mai spiega. Lui, da buon sociologo, si ferma là dove invece è indispensabile andare avanti.
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